venerdì 28 febbraio 2014

Saving Mr. Banks (e Mary Poppins)

Saving Mr. Banks

★★½
Fonte foto: www.movieplayer.it
1961. La scrittrice Pamela Lyndon Travers (Emma Thompson) è in viaggio per Hollywood dove ha un appuntamento con il magnate del cinema Walt Disney (Tom Hanks) che è da circa vent'anni che tenta di convincerla a cedergli i diritti del best seller che vede protagonista Mary Poppins pubblicato nel 1934 per farne una trasposizione cinematografica. Disney si trova davanti una sessantenne con le idee ben chiare sul progetto e che non cederà ad alcun compromesso e durante il suo soggiorno in California i ricordi della sua infanzia si intrecceranno con la realizzazione del film Mary Poppins, uno dei più grandi successi targati Disney.


"Cosa devo fare per avere i diritti del suo libro?"
"Smettere di recitare, grazie."
Saving Mr. Banks è studiato, male, secondo un furbesco e pesantissimo passaggio dai ricordi dell'infanzia della piccola, graziosa e sognatrice P. L. Travers al tempo presente in cui la vede adulta, saccente, precisa, dubbiosa e impegnata a decidere se cedere o meno i diritti del suo libro a Walt Disney che lei trova insopportabile come tutto il mondo da lui creato. Un film della Disney sulla Disney (o quantomeno su un episodio legato alla famosa casa di produzione cinematografica) poteva essere un'operazione commerciale disastrosamente zuccherosa e fallimentare (in alcune scene questo è riscontrabile) invece ne è venuta fuori una pellicola che mi ha lasciato del tutto indifferente come una di quelle piogge estive poco convincenti che bagnano appena la pelle. 

"Non ho ben capito dove vuole arrivare."
Gli attori non sono presi in considerazione per il ruolo scomodo e umiliante di problema di resa del film: Emma Thompson convince nei panni di P. L. Travers, eterna zitella madre di Mary Poppins e dei Banks che lei considera la sua famiglia e che ha sempre rifiutato le richieste pressanti di Disney, ripresentatesi ogni anno per ben ventuno al fine di ricavarne i diritti, per timore che ne facesse uno dei suoi stupidi cartoni, come dice lei. Inoltre assistiamo alla sua infanzia non troppo rosea: il trasferimento in campagna con un padre sognatore e giocherellone con problemi di alcol, una madre depressa che tenta il suicidio e l'arrivo improvviso di una tata che assomiglia in maniera impressionante alla Travers del presente che mette in ordine il domicilio famigliare, ma non riesce a salvare il padre dal suo male. Ed è interessante l'attaccamento della scrittrice per il personaggio di Mr. Banks che viene salvato appunto dalla tata Mary Poppins - da qui il titolo del film.

"Ehi ragazzi, assomiglio a Disney solo in quel posto."
Tom Hanks nel ruolo di uno dei più importanti uomini del XX secolo funziona fino a un certo punto, infatti non basta impomatargli i capelli e fargli crescere dei baffetti sdraiati sul labbro superiore per renderlo somigliante a Disney. Quell'aria gigionesca nell'entrata in scena è decisamente vista e rivista. Avrei preferito una scelta meno hollywoodiana e più scanzonata e audace come un sosia sconosciuto infarinato di quella quantità sufficiente di recitazione per superare il film con dignità e convinzione. 

"Ma guarda te: sto citrullo non mi ha manco citato."
Sono abbastanza sicuro che il problema sia riscontrabile in alcune scelte registiche che fanno di Saving Mr. Banks un film appena sopra la soglia della discrezione. I continui flashback inseriti a caso senza collante narrativo non fanno che appesantire la storia curiosa, ma di per sé poco accattivante avente forse un unico scopo: quello di invogliare a rispolverare un classico disneyano come Mary Poppins con l'indimenticabile Julie Andrews. Non mi resta nient'altro da dire. Poco altro ricordo. E questo è sempre un brutto segno.


Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia): 

Titolo originale: Saving Mr. Banks
Lingua originale: inglese
Paese di produzione: Stati Uniti d'America, Regno Unito, Australia
Anno: 2013
Durata 126 min
Genere: biografico, commedia, drammatico
Regia: John Lee Hancock
Soggetto: Kelly Marcel, Sue Smith
Sceneggiatura: Kelly Marcel
Produttore: Ian Collie, Alison Owen, Philip Steuer
Produttore esecutivo: Christine Langan, Troy Lum, Andrew Mason
Casa di produzione: Walt Disney Pictures, BBC Films, Ruby Films, Essential Media & Entertainment, Hopscotch Features
Distribuzione (Italia): Walt Disney Pictures
Fotografia: John Schwartzman
Montaggio: Mark Livolsi
Effetti speciali: Sam Dean
Musiche: Thomas Newman
Scenografia: Michael Corenblith
Costumi: Daniel Orlandi
Trucco: Jenni Brown Greenberg, Don Rutherford

Interpreti e personaggi:

Tom Hanks: Walt Disney
Emma Thompson: Pamela Lyndon Travers
Ruth Wilson: Margaret Goff
Colin Farrell: Travers Robert Goff
Paul Giamatti: Ralph
Rachel Griffiths: zia Ellie
Bradley Whitford: Don DaGradi
Jason Schwartzman: Richard Sherman
B.J. Novak: Robert Sherman
Kathy Baker: Tommie
Melanie Paxson: Dolly
Ronan Vibert: Diarmuid Russell
Andy McPhee: Mr. Belhatchett
Annie Rose Buckley: P.L. Travers da bambina

Doppiatori italiani:

Angelo Maggi: Walt Disney
Emanuela Rossi: Pamela Lyndon Travers
Giuppy Izzo: Margaret Goff
Fabio Boccanera: Travers Robert Goff
Massimo Rossi: Ralph
Roberta Pellini: zia Ellie
Marco Mete: Don DaGradi
Emiliano Coltorti: Richard Sherman
Massimiliano Manfredi: Robert Sherman
Roberta Paladini: Tommie
Micaela Incitti: Dolly
Franco Mannella: Diarmuid Russell
Toni Orlandi: Mr. Belhatchett
Arianna Vignoli: P.L. Travers da bambina

Denny B.







mercoledì 26 febbraio 2014

Monuments (ai caduti) Men (Clooney e tutti gli altri)

Monuments Men 

Fonte foto: www.movieplayer.it
Non è mai successo da quando ho aperto questo mio spazio virtuale (e vitale) che io abbandonassi neanche a metà la visione di un film. E di film brutti ne ho visti parecchi, ma in quei frangenti era differente: già mi aspettavo che fossero brutti, non riponevo in loro alcuna speranza. Non era questo il caso di Monuments Men, l'ultimo film di George Clooney, che lo vede nuovamente nei panni di attore, regista, sceneggiatore e produttore, incentrato su un episodio storico di cui non tutti erano a conoscenza e che aveva stuzzicato la mia immortale curiosità; non sapevo però che avrebbe stuzzicato anche il mio nero senso critico che non conosce sonno. 

"Portiamoci avanti con il lavoro: impacchettiamo le nostre
cose e andiamocene finché siamo in tempo."
Durante la seconda guerra mondiale un plotone dell'esercito americano composto da critici d'arte, direttori di musei e simili sono incaricati di cercare e recuperare le opere d'arte trafugate dai nazisti per salvarle dal rogo d'ignoranza in cui ha intenzione di gettarle Adolf Hitler. 

"Ehi Matt, ho già in mente in prossimo film."
"Non ci sarà nessun prossimo film, George. Né ora né mai."
Monuments Men è un mediocre film storico gigioneggiante con attori che non fanno altro che crogiolarsi nel loro status di star e strizzare l'occhio alla telecamera e che di fatto non sono chiamati a interpretare alcun personaggio perché la sceneggiatura è inesistente, non-scritta da Clooney e dal suo amico Grant Heslov che sembra appena uscito dal primo anno del Dams. Le scene ridicole che ho visto vengono messe in risalto da una scanzonata colonna sonora pomposamente militaresca e fastidiosissima: il brevissimo viaggio in mare prima dello sbarco è talmente finto che può può perdere il confronto con qualsiasi fiction tv italiana e la pressione mi è crollata al pian terreno quando all'inizio del film un barbuto George Clooney dice, con sottofondo fail-epic in crescendo, "Chi si assicurerà che la Monnalisa sorrida ancora?". 

"Ci ha fatto un culo grande quanto San Pietro.
Una stroncatura senza possibilità di ricorso."
E in fondo basterebbe solo questa frase per rendervi conto di cosa voleva essere Monuments Men: un insipido intruglio di Ocean's Eleven unito alla spocchia tutta stelle e strisce, un po' di humour qua e là che faccia ridere se si ha già il cervello sul viale del tramonto, un bel po' di amore per la sacra divisa militare e il pensiero fisso per cui l'esercito americano è il migliore del mondo (ricordiamo loro quello schifo chiamato "Guerra del Vietnam"), un cast sprecato di star gongolanti e avrete Monuments Men: un film semplicemente imbarazzante. Un flop su tutto il fronte occidentale. Uno dei film più brutti dell'anno, e siamo solo all'inizio: peccato perché la storia meritava tutt'altro trattamento. 


Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):


Titolo originale: The Monuments Men
Lingua originale: inglese
Paese di produzione: Stati Uniti d'America, Germania
Anno: 2014
Durata: 118 min
Genere: drammatico
Regia: George Clooney
Soggetto: Robert M. Edsel, Bret Witter
Sceneggiatura: George Clooney, Grant Heslov
Produttore: George Clooney, Grant Heslov
Produttore esecutivo: Barbara A. Hall
Casa di produzione: Smokehouse Pictures, Studio Babelsberg, Columbia Pictures (co-produzione), 20th Century Fox (co-produzione)
Distribuzione (Italia):  20th Century Fox
Fotografia: Phedon Papamichael
Montaggio: Ruy Diaz, Stephen Mirrione
Effetti speciali: Christoph Gartlacher, Mathias Spannagel, Thomas Thiele, Sebastian Venhus
Musiche: Alexandre Desplat
Scenografia: James D. Bissell
Costumi: Louise Frogley

Interpreti e personaggi:
George Clooney: Frank Stokes
Matt Damon: James Granger
Cate Blanchett: Rose Valland
Bill Murray: Rich Campbell
John Goodman: Walter Garfield
Jean Dujardin: Jean-Claude Clermont
Hugh Bonneville: Donald Jeffries
Bob Balaban: Preston Savitz
Diarmaid Murtagh: Capitano Harpen
Dimitri Leonidas: Sam Epstein
Sam Hazeldine: Colonnello Langton

Doppiatori italiani:
Francesco Pannofino: Frank Stokes
Massimiliano Manfredi: James Granger
Cinzia Villari: Rose Valland
Mario Cordova: Rich Campbell
Massimo Dapporto: Walter Garfield
Marco Rasori: Jean-Claude Clermont
Luca Biagini: Donald Jeffries
Mino Caprio: Preston Savitz
Davide Perino: Sam Epstein

Enrico Di Troia: Colonnello Langton

Denny B.







lunedì 24 febbraio 2014

12 anni schiavo: la storia vera di Solomon Northup

12 anni schiavo

★★★½
Fonte foto: www.cinema-tv.guidone.it
Nel 1841 Solomon Northup (Chiwetel Ejiofor), un talentuoso violinista di colore, vive libero con la sua famiglia nella contea di Saratoga (New York), ma un giorno viene ingannato da due falsi agenti di spettacolo e rapito, privato dei documenti e portato in Lousiana da alcuni venditori di schiavi dove rimarrà in schiavitù fino al 1853 cambiando per tre volte padrone e lavorando nelle piantagioni di cotone del perfido latifondista Edwin Epps (Michael Fassbender). 



Esistono argomenti trattati e abusati dal cinema di tutto il mondo: schiavitù, nazismo, guerra in generale. E la mia paura è sempre la stessa quando esce un nuovo film sui temi sopra citati: che un eventuale messaggio del regista o la sua poetica venga immersa nel buonismo melanconico al sapore di melassa scaduta e produca un'operetta senz'arte né parte da buttare nell'indifferenziata. Non è il caso di 12 anni schiavo diretto da Steve McQueen.



12 anni schiavo è tratto da una storia vera, come la maggior parte dei film candidati all'Oscar (mai come quest'anno la verità è stata la miglior ispirazione dei cineasti d'oltreoceano), e penso che sia uno dei film sulla schiavitù più belli che siano mai stati fatti. Solomon Northup è un buon padre di famiglia, un ottimo marito, ed è un talento nel suonare il violino nonché rispettato appartenente alla comunità di Saratoga che dall'oggi al domani - mai frase è stata così calzante - si vede svestito dei suoi diritti, e del suo nome (ora Platt) frustato, messo in vendita come un quarto di bue e acquistato da William Ford, un latifondista discretamente umano, assieme a una madre di famiglia che si vede portar via i suoi figli impotente; terribile ciò che le dice la moglie di Ford: "Presto dimenticherai i tuoi bambini". Le parole pronunciate dai ricchi personaggi femminili fanno più male delle numerose frustate o torture che subisce Platt o che è costretto, in un tragico frangente, a infliggere alla schiava preferita del perfido Epps (rispettivamente la commovente quanto sconosciuta Lupita Nyong'o e il talentuoso Michael Fassbender che non riesce però a superare DiCaprio nella parte del latifondista, ed entrambi nominati all'Oscar). 


Dopo aver tentato di ribellarsi al suo capo lavoro viene appeso con una corda al ramo di un albero e lasciato per ore sulle punte dei piedi per impedirsi di strozzarsi mentre gli altri schiavi svolgono le loro mansioni e i bambini giocano sul prato e solo una donna si arrischia a portargli dell'acqua. Steve McQueen si lascia andare a piani sequenza (alcuni brevi di malickiana memoria) e con assoluta consapevolezza del mezzo e delle proprie capacità non indugia sulle lacrime e sul dolore dei coinvolti in questa barbarie e le musiche di Hans Zimmer e i canti degli schiavi cesellano le inquadrature sempre di ottima fattura.  



E' una piacevole chicca la curiosa assonanza dei versi della vile canzoncina del capo lavoro (Paul Dano) che canta "Corri, negro, corri" e il commovente canto funebre "Scorri, Giordano, scorri" dove il climax del film raggiunge una splendida vetta emotiva grazie a uno straziante Chiwetel Ejiofor (nominato all'Oscar) che infine chiede perdono alla sua famiglia quando riesce finalmente a riabbracciarla. Dopo anni di soprusi, di vane speranze, di crudeltà inflitta e subita, dopo un'esistenza di sopravvivenza, lui chiede perdono ed è incredibile che conosca ancora il suono e significato di tale forte parola. 



12 anni schiavo non è il più bel film tra quelli candidati all'Oscar, ma commuoverà a tal punto l'Academy che sono pronto a scommettere che la statuetta dorata ha già inciso il suo nome, ma, tolte queste congetture festaiole, la pellicola di McQueen è un esempio di delicata bellezza che non può far restare indifferenti noi e le nostre cornee sbucciate dalla frusta schioccante di una condizione storica che mai più dovrà ripetersi. Non sviscererà in maniera definitiva il tema della schiavitù e non offrirà un punto di vista differente a riguardo, non sarà originale, ma 12 anni schiavo è talmente bello esteticamente, talmente belle sono alcune scene che sono pronto ora a perdonargli alcune mancanze, in fondo la storia è tratta da una biografia scritta e pubblicata dal vero Solomon Northup e McQueen si è limitato a darle vita con la cinepresa: nel bene e nel male.



Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):


Titolo originale: 12 Years a Slave
Lingua originale: inglese
Paese di produzione: Stati Uniti
Anno: 2013
Durata: 134 min
Generedrammatico
Regia: Steve McQueen
Soggetto: Solomon Northup (libro)
Sceneggiatura: John Ridley
Produttore: Brad Pitt, Dede Gardner, Jeremy Kleiner, Bill Pohlad, Steve McQueen, Arnon Milchan, Anthony Katagas
Produttore esecutivo: John Ridley, Tessa Ross
Casa di produzione: Plan B Entertainment, New Regency Pictures, River Road Entertainment
Distribuzione (Italia): BiM Distribuzione
Fotografia: Sean Bobbitt
Montaggio: Joe Walker
Effetti speciali: David Nash
MusicheHans Zimmer
Scenografia: Adam Stockhausen
Costumi: Patricia Norris
Trucco: Ma Kalaadevi Ananda

Interpreti e personaggi:
Chiwetel Ejiofor: Solomon Northup
Michael Fassbender: Edwin Epps
Benedict Cumberbatch: William Ford
Paul Dano: John Tibeats
Paul Giamatti: Theophilus Freeman
Brad Pitt: Samuel Bass
Lupita Nyong'o: Patsey
Alfre Woodard: Harriet Shaw
Sarah Paulson: Mary Epps
Scoot McNairy: Brown
Taran Killam: Hamilton
Garret Dillahunt: Armsby
Michael Kenneth Williams: Robert
Quvenzhané Wallis: Margaret Northup
Ruth Negga: Celeste
Bill Camp: Ebenezer Radburn

Denny B.







venerdì 21 febbraio 2014

A proposito di Davis, un gatto e una chitarra

A proposito di Davis


★★★½


"Se non è mai stata nuova, ma non invecchia mai, 
è una canzone folk." 
(Llewyn Davis)


New York. 1961. Llewyn Davis (Oscar Isaac) è un cantante folk del Greenwich Village che non ha una fissa dimora, solo una lista di persone che chiama per chiedere un posto in cui dormire, una chitarra, un vecchia giacca beige che non lo ripara dal freddo invernale, e neanche un soldo nelle tasche dei pantaloni logori. Il suo album da solista non vende molto, Jean, la ragazza con cui fece l'amore solo una volta, è rimasta incinta e non sa se il bambino è suo, e in più deve momentaneamente badare al gatto dei coniugi Gorfein che lo ospitano una volta ogni tanto e che puntualmente scappa da una finestra lasciata aperta. Un giorno accetta un passaggio per Chicago per fare un'audizione davanti a Bud Grossman (F. Murray Abraham), manager di un'importante etichetta discografica.


A proposito di Davis, il nuovo lavoro dei fratelli Coen - che negli anni hanno diretto e scritto film eccellenti quali Fargo, Il grande Lebowski e Non è un paese per vecchi - è una piacevole storia diretta magistralmente dove negli ambienti dalla luce soffusa le chitarre accompagnano canzoni quasi sussurrate, per non disturbare il pubblico, scritte per cullare se stessi, per ricordarsi che in fondo in fondo vale la pena di essere vivi. 


Il film inizia con un bellissimo incrocio di immagini; la magra figura nera dell'uomo che se ne va dopo aver picchiato Davis diventa la dritta coda del gatto che si dirige nella camera dove sta dormendo il menestrello protagonista della pellicola: Davis, un vagabondo dagli occhi tristissimi a cui basta un divano su cui dormire dopo un'esibizione al Gaslight Cafe, che non ha tempo per amare una ragazza, ma per mettere incinta Jean sì (una Carey Mulligan talmente anonima che mi sono accorto che era lei dopo aver letto i titoli di coda), che non fa visita al padre molto spesso e che è un perdente proprio come la maggior parte di noi. Lui fa musica folk da solista dopo che il suo partner si è suicidato buttandosi dal George Washington Bridge, e non è schizzinoso quando si tratta di intascare qualche dollaro in più, quindi decide di incidere una canzone con Jim, il fratello di Jean, un convincente Justin Timberlake, in uno dei siparietti più coeniani assieme al viaggio in auto, e mi sarà difficile levarmi dalla mente Please Mr. Kennedy e quella "p" un po' da balbuziente sputacchiante. 



Il viaggio verso Chicago mi ha ricordato il loro capolavoro Fargo: il conducente di poche parole arrestato e portato in centrale tempestivamente ha diverse affinità con il socio biondo di Steve Buscemi; i tentativi di Davis di socializzare abbracciando la chitarra con il burbero Roland Turner, musicista jazz con problemi di deambulazione e non solo, che, tra un "Sei frocio?" indicando il suo gatto e la sua avversione verso qualsiasi cosa sia gallese, gli dice che fa musica medioevale oltre a minacciarlo di provocargli un dolore acuto al fianco se non dosa bene le parole. John Goodman riesce sempre a riempire lo spazio, e non mi sto riferendo alla sua mole, ma alla sua umile capacità di adattamento attoriale.



A proposito di Davis - impreziosito, oltre che da un'ottima colonna sonora, da una componente essenziale nella cinematografica coeniana, ovvero la fotografia, in questo caso fredda, dai riflessi quasi metallici e verdi come le banconote che si cerca di tirar su con le esibizioni - è una chiara parabola di Ulisse. Davis, come l'eroe greco, viaggia in cerca di fortuna, inciampando e scontrandosi con le avversità che non derivano da nessun Dio iracondo per poi tornare, come il gatto omonimo, a suonare nel locale, che è un po' la sua casa, da perdente, lontano dai riflettori, che si asciuga il sangue dalla faccia salutando la sfiga che se ne fugge dietro l'angolo solo per ritornare alla carica in una seconda occasione.



Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia): 


Titolo originale: Inside Llewyn Davis
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: USA
Anno: 2013
Durata: 105 min
Generedrammatico
Regia: Joel ed Ethan Coen
Sceneggiatura: Joel ed Ethan Coen
Produttore: Joel ed Ethan Coen, Scott Rudin
Casa di produzione: Mike Zoss Productions, Scott Rudin Productions, StudioCanal
Distribuzione (Italia): Lucky Red Distribuzione
Fotografia: Bruno Delbonnel
Scenografia: Jess Gonchor

Interpreti e personaggi:
Oscar Isaac: Llewyn Davis
Carey Mulligan: Jean Berkey
Justin Timberlake: Jim Berkey
John Goodman: Roland Turner
Garrett Hedlund: Johnny Five
F. Murray Abraham: Bud Grossman
Ethan Phillips: Mitch Gorfein
Robin Bartlett: Lillian Gorfein
Max Casella: Pappi Corsicato
Stark Sands: Troy Nelson
Jeanine Seralles: Joy
Jerry Grayson: Mel Novikoff
Adam Driver: Al Cody
Alex Karpovsky: Marty Green

Doppiatori italiani:
Gabriele Sabatini: Llewyn Davis
Domitilla D'Amico: Jean Berkery
Gabriele Lopez: Jim Berkery
Edoardo Siravo: Roland Turner
Ennio Coltorti: Bud Grossman

Alessandro Tiberi: Mitch Gorfein

Denny B. 


















mercoledì 19 febbraio 2014

PHILIP SEYMOUR HOFFMAN DAY: LE IDI DI MARZO

Le idi di marzo


★★★
Fonte foto: www.dduniverse.net
"La vita va avanti anche senza gli attori", dicono i più cinici che non comprendono il nostro più nobile e disinteressato attaccamento alla settima arte e a coloro che vivono le storie davanti a una macchina da presa regalandoci l'illusione che il film sia tutto reale. La morte di Philip Seymour Hoffman, uno dei più grandi attori della sua generazione, un attore vero capace di interpretare qualsiasi ruolo gli si proponesse, la sentiamo ancora sulla nostra pelle e ci sembrava doveroso - a me e ai miei colleghi - rendergli omaggio ricordandolo con la recensione di un film in cui aveva recitato. E' poco, ma questo sappiamo fare. 


Stephen Meyers (Ryan Gosling) è un giovane e brillante addetto stampa per la campagna elettorale del governatore della Pennsylvania e candidato democratico alla presidenza Mike Morris (George Clooney) in competizione contro il senatore dell'Arkansas Ted Pullman. I due candidati stanno lottando per avere dalla loro il voto dei cittadini dell'Ohio ed entrambi i loro collaboratori stanno cercando di ottenere i favori e l'appoggio politico del senatore democratico della Carolina del Nord Franklin Thompson (Jeffrey Wright) che può farli vincere senza troppi problemi. Dopo un dibattito Meyers viene contattato dal capo della campagna di Pullman Tom Duffy (Paul Giamatti) che gli propone di passare dalla sua parte perché secondo i loro sondaggi Morris è sotto di quattro punti, Meyers però rinuncia spiegandogli che crede in Morris e nelle sue idee, ma non dice nulla sull'incontro al responsabile della campagna, suo capo, Paul Zara (Philip Seymour Hoffman). Durante la campagna Meyers inizia una relazione con Molly Stearns (Evan Rachel Wood), una stagista che nasconde un piccolo segreto in grado di distruggere il candidato alle elezioni per il quale Meyers e Zara lavorano.


Le idi di marzo è un film su qualcosa che sappiamo bene, su un cadavere che abbiamo sotto il naso e ne sentiamo ancora la puzza quando viene occultato in una cella frigorifera: l'intrigo politico. Certo, non abitando in America, e non vivendo la massiccia campagna elettorale che riempie le città di volantini, le televisioni di interviste e spot politici spesso bersagli della satira, e i pian terreni dei palazzi di uffici adibiti a quartier generale dove i responsabili della campagna giocano una battaglia navale sganciando l'uno sull'altro qualsiasi bomba faccia saltare uno scandalo così forte da fare affondare la barca elettorale dell'avversario.


Credo non ci si abitui mai a vedere un candidato - in questo caso George Clooney - che di fronte a una platea sorride sciorinando battute brillanti e affermando con pathos teatrale che non è né cristiano né ateo e che crede invece fermamente nella costituzione americana e che dopo in privato, seduto in cerchio cogli addetti stampa, discute se sia meglio perdere in Ohio e avere dalla sua l'appoggio dei democratici e accettare la proposta di Thompson di farlo Ministro degli Esteri (anche se straccerebbe in due minuti ogni contatto con i paesi dell'Onu) o continuare la campagna rifiutando qualsiasi intrigo e rischiare di veder sfumare la vittoria. 


Un luminoso credere nel lavoro che si svolge - anche se in anfratti bui dell'etica - e la seguente espressione visiva che segna la mancanza totale di speranza nella politica e negli uomini che la fanno coincide con quella che ha Ryan Gosling rispettivamente all'inizio e alla fine del film. Il suo personaggio, Meyers, è un po' un Bud Fox (Wall Street) della politica che si scontrerà con Paul Zara, uno straordinario Philip Seymour Hoffman, che in un'ottima scena del film elenca l'unica qualità necessaria per svolgere al meglio questo lavoro: la lealtà; che a poco gli servirà, come poi vedremo. 


Tom Duffy, invece, un convincente Paul Giamatti, è un Gordon Gekko della politica totalmente indifferente perché presto questo lavoro ti riduce così, gli confessa a Meyers in un frangente. La prima micidiale mossa vincente è la sua, noi non sappiamo come abbia fatto Meyers a ottenere il posto di Zara dopo il suo licenziamento, Morris è stato ricattato certo, ma Meyers non aveva alcuna prova del grave fatto di clintoniana memoria ("Puoi fare tutto, tranne scoparti le stagiste"), solo in un breve frammento vediamo una nuova stagista che di cognome fa Morris e quantomeno intuiamo che il caro governatore era un recidivo.   


Le idi di marzo è un elegante intrigo politico scritto e diretto da un George Clooney che è stato capace di vincere un Oscar per Argo e di produrre quest'anno uno dei film più belli dell'anno. Non aggiungerà nulla di nuovo, ma almeno descrive in maniera esemplare qualcosa che appunto sapevamo già. 


Ecco i blog che, oltre al mio, partecipano al Philip Seymour Hoffman Day: 


Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: The Ides of March
Paese di produzione: USA
Anno: 2011
Durata: 98 min
Generedrammatico
Regia: George Clooney
Soggetto: Beau Willimon
Sceneggiatura: George Clooney, Grant Heslov, Beau Willimon
Produttore: Grant Heslov, George Clooney, Brian Oliver, Beau Willimon (co-produttore)
Produttore esecutivo: Nigel Sinclair, Guy East, Stephen Pevner, Leonardo DiCaprio, Jennifer Killoran, Todd Thompson, Nina Wolarsky, Barbara A. Hall
Casa di produzione: Cross Creek Pictures, Exclusive Media Group, Smokehouse Pictures, Appian Way Productions
Distribuzione (Italia): 01 Distribution
Fotografia: Phedon Papamichael
Montaggio: Stephen Mirrione
Musiche: Alexandre Desplat
Scenografia: Sharon Seymour
Costumi: Louise Frogley

Interpreti e personaggi:
Ryan Gosling: Stephen Meyers
George Clooney: governatore Mike Morris
Philip Seymour Hoffman: Paul Zara
Paul Giamatti: Tom Duffy
Evan Rachel Wood: Molly Stearns
Marisa Tomei: Ida Horowicz
Jeffrey Wright: senatore Thompson
Max Minghella: Ben Harpen
Jennifer Ehle: Cindy Morris
Gregory Itzin: Jack Stearns
Michael Mantell: senatore Ted Pullman
Richard Rycart: Jill Morris
Yuriy Sardarov: Mike
Bella Ivory: Jenny

Doppiatori italiani:
Massimiliano Manfredi: Stephen Meyers
Francesco Pannofino: governatore Mike Morris
Pasquale Anselmo: Paul Zara
Massimo Rossi: Tom Duffy
Ilaria Stagni: Molly Stearns
Cristiana Lionello: Ida Horowicz
Luca Biagini: senatore Thompson
Emiliano Coltorti: Ben Harpen
Franca D'Amato: Cindy Morris
Dario Penne: Jack Stearns
Carlo Valli: senatore Ted Pullman

Denny B.




lunedì 17 febbraio 2014

Cuore di Nebraska

Nebraska

★★★½

Woody Grant (Bruce Dern) è un padre di famiglia di poche parole e un po' avanti cogli anni che crede di aver vinto un milione di dollari grazie a un concorso della Mega Sweepstakes Marketing e decide di mettersi in viaggio dal Montana al Nebraska a piedi. Ma suo figlio David (Will Forte), dopo aver tentato di farlo ragionare, decide di accompagnarlo in auto lasciandogli credere che il premio sia reale. La moglie Kate (June Squibb), contraria fin dall'inizio, li raggiungerà in seguito nella cittadina in cui viveva da giovane dove il marito e il figlio hanno deciso di sostare prima di andare a ritirare il premio a Lincoln. La notizia della vincita non passerà inosservata alla famiglia di Woody.


Nebraska è in bianco e nero e poco me ne importa perché la pretenziosità non è un difetto della pellicola di Alexander Payne. Nebraska è un malinconico viaggio tra i silenzi del passato che parte da una convinzione tenace che tiene in piedi le deboli gambe di Woody e mi ha ricordato il bellissimo Una storia vera di David Lynch. Nebraska parla di rivalsa, di rapporti genitore-figlio forti nonostante i muri di parole rudi e decise di Woody e di sua moglie Kate, che ne ha per tutti sopratutto per i morti. Nebraska è un ottimo film, sobrio, con inquadrature semplici senza arzigogoli come la vita tra i covoni di grano e una colonna sonora che accompagna con delicatezza i movimenti dei protagonisti.  



Woody (il bravissimo Bruce Dern) è convinto di aver vinto un milione di dollari e sa già come li impiegherà: nell'acquisto di un furgone nuovo (pur non avendo più la patente) e di un compressore (oltre a un nobile proposito) perché quello che aveva l'ha donato a un suo vecchio socio (una viscida sanguisuga). I figli tentano in tutti i modi di fargli capire che non ha vinto un bel niente, ma non sente ragioni, Woody è nel suo mondo, non risponde subito quando gli viene posta una domanda, sta lì fermo con lo sguardo che vaga alla ricerca di chissà quale feticcio con i capelli in disordine mossi dal vento. 



La persona che riesce a tenere un po' a freno le sue manie, ma non questa volta, è sua moglie Kate (una esilarante e rubiconda June Squibb), "senza peli sulla lingua" - mai frase fatta le si addice di più - che in una divertente scena al cimitero luterano (senza essere cinici) dopo aver sciorinato vita morte e miracoli dei parenti di Woody al figlio David si alza le sottane di fronte alla lapide di un suo ex spasimante dicendo "Vedi cosa avresti potuto avere se non avessi parlato sempre e solo di frumento?". Una donna che sa gestire bene una imbarazzante situazione e che zittisce l'avida famiglia di suo marito con un "Andate tutti quanti affanculo" perché questa notizia della vincita milionaria fa alzare dal trespolo molti affamati avvoltoi - tra cui i parenti stessi di Woody, il vecchio socio che arriva anche alle minacce - e fa scaturire una serie di azioni deplorevoli tra cui il furto spinto dalla più cieca ingordigia.



Ma Woody può contare, oltre sua moglie, sui suoi due figli (uno interpretato tra l'altro dal mitico Saul Goodman di Breaking Bad), pronti a fargli riavere il compressore in una scena molto comica, a difendere il suo onore (lo sfogo di David che mi sono trovato a incitare) e alla fine, pur non avendo vinto nulla, lo sappiamo dall'inizio ma speriamo comunque che sia un biglietto autentico e veicolo di una fortuna monetaria, lui non se ne va da perdente: sfila da vincitore guidando il suo furgone vecchio solo di cinque anni carico di un compressore nuovo volgendo lo sguardo con fierezza e gioventù ai conoscenti del suo paese - stupiti, che si congratulano o tacciono arrabbiati -, sfilata dignitosa questa inaugurata e chiusa con un cambio figlio-padre e padre-figlio, una staffetta generazionale, una delicata carezza che scivola sulla strada del ritorno.  



Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):


Titolo originale: Nebraska
Lingua originale: inglese
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 2013
Durata: 110 min
Colore: Bianco e nero
Generedrammatico
Regia: Alexander Payne
Sceneggiatura: Bob Nelson
Produttore: Albert Berger, Ron Yerxa
Produttore esecutivo: George Parra, Julie M. Thompson
Casa di produzione: Bona Fide Productions
Distribuzione (Italia): Lucky Red Distribuzione
Fotografia: Phedon Papamichael
Montaggio: Kevin Tent
Scenografia: J. Dennis Washington
Costumi: Wendy Chuck
Trucco: Robin Fredriksz

Interpreti e personaggi:
Bruce Dern: Woody Grant
Will Forte: David Grant
June Squibb: Kate Grant
Bob Odenkirk: Ross Grant
Stacy Keach: Ed Pegram
Missy Doty: Noel
Devin Ratray:
Rance Howard:

Doppiatori italiani:
Sergio Graziani: Woody Grant
Gianfranco Miranda: David Grant
Graziella Polesinanti: Kate Grant
Franco Mannella: Ross Grant
Ugo Maria Morosi: Ed Pegram

Denny B.

  

venerdì 14 febbraio 2014

Captain Phillips - Tensione in mare aperto

Captain Phillips - Attacco in mare aperto

★★★
Fonte foto: www.ondacinema.it
28 marzo 2009. Richard Phillips (Tom Hanks) è il comandante della portacontainer Maersk Alabama e lascia la sua famiglia nel Vermont per prendere parte a una spedizione umanitaria al largo del corno d'Africa. Con venti membri dell'equipaggio parte dal porto di Salalah (Oman) alla volta di Mombasa (Kenya), ma durante un'esercitazione di routine anti-pirateria Phillips nota sul radar l'avvicinarsi di due puntini che scopre poi essere due motoscafi. Grazie al sangue freddo, all'esperienza e a un tocco brillante un motoscafo fugge e l'altro resta in panne. Il giorno successivo i quattro pirati capitanati da Abduwali Muse (Barkhad Abdi) armati di AK-47 si dirigono nuovamente verso la nave e riescono a salire a bordo dopo che Phillips ha ordinato all'equipaggio di nascondersi nella sala macchine. 


La mia intenzione è quella di arrivare alla notte degli Oscar (se qualcuno sa già dove lo guarderà - e non mi sto riferendo a canali televisivi a pagamento - è pregato gentilmente di comunicarmelo, grazie) con tutti i film candidati passati al setaccio dal mio occhio critico che ha visto sberluccicare gaiamente autentiche pepite d'oro in quest'annata cinematografica buona come non mai. Quindi, mettendo momentaneamente nello sgabuzzino il mio astio nei confronti di Tom Non-li-voglio-i-tuoi-cioccolatini Hanks mi sono lasciato convincere dal me stesso più giudizioso a vedere questo film tratto da una storia vera.


Captain Phillips - Attacco in mare aperto è un thriller marittimo irrimediabilmente patriottico, è così quando si ha a che fare con gli americani, in cui ci si dimentica per un attimo la sensazione piacevole della terra sotto ai piedi. Onde evitare attacchi feroci da parte di chi si appassiona al mondo di fuori con i suoi rapporti politici ambigui e quant'altro mi limito a recensire l'esperienza del comandante Phillips e del suo equipaggio narrata dalle inquadrature di Paul Greengrass che riesce a trasmettere tensione e ansia fino alla fine dei giochi perché è questa la sensazione trasmessa dai tiratori scelti che chiudono nelle loro sacche i fucili di precisione e se ne vanno come dopo la fine di un normale turno di lavoro e le parole meccaniche del medico "Non c'è di che".



Il comandante Phillips (interpretato - lo ammetto - da un ottimo Tom Hanks) è un uomo intelligente, capace nel suo mestiere e dotato di una buona dose di furbizia che lo aiuterà a far fuggire e desistere i somali nella loro prima manche a questa lotta bucaniera tra le onde dell'oceano che continuerà sulla nave quando i pirati riusciranno a salire a bordo convinti di trovarci denaro in quantità (nella cassaforte sono presenti 30.000 dollari) e non intenzionati a fare del male, "No, Al Qaeda. No, Al Qaeda" afferma molte volte Abduwali Muse (il bravissimo quanto sconosciuto Barkhad Abdi che incassa una nomination agli Oscar) come la frase "Noi siamo pescatori" o la sua speranza di andare in America e vedere New York mentre Phillips lo guarda cercando di convincerlo ad arrendersi finché è in tempo. 



Nella seconda parte del film Phillips è il protagonista di una costretta Odissea su una gialla scialuppa dove di acqua potabile ce n'è poca, di aria ancora meno e la speranza di ritornare sulla terra ferma e riabbracciare i propri cari non è che un piccolo miraggio negli occhi giovani del ragazzo diciassettenne a cui il comandante ha medicato il piede e che è il meno spietato dei quattro disperati che hanno assaltato l'anno scorso una nave greca con un carico di sei milioni di dollari di cui non hanno visto neanche l'ombra di un dollaro, ipotizziamo noi assieme allo stupito comandante che gli chiede "E sei ancora qui?"


Captain Phillips - Attacco in mare aperto è un altro ottimo film che raggiunge un climax emozionale tra i più intensi dell'anno quando alla fine dell'incubo in mare un Tom Hanks molto provato e dolorante non riesce ad articolare nessuna frase se non uno strascicato "Non è mio" riferendosi al sangue sulla sua pelle.



Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):   


Titolo originale: Captain Phillips
Lingua originale: inglese
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 2013
Durata: 134 min
Generebiografico, thriller, avventura, drammatico
Regia: Paul Greengrass
Soggetto: Richard Phillips e Stephan Tatty (libro Il dovere di un capitano)
Sceneggiatura: Billy Ray
Produttore: Scott Rudin, Dana Brunetti, Michael De Luca
Produttore esecutivo: Kevin Spacey, Eli Bush, Gregory Goodman
Casa di produzione: Michael De Luca Productions, Scott Rudin Productions, Translux, Trigger Street Productions
Distribuzione (Italia): Sony Pictures
Fotografia: Barry Ackroyd
Montaggio: Christopher Rouse
Effetti speciali: Robert Benavidez, James Parsons, Karol Stachowicz
Musiche: Henry Jackman
Scenografia: Paul Kirby
Costumi: Mark Bridges
Trucco: Tricia Heine, Joseph P. Hurt, Nichole Pleau, Sara Seidman, Jennifer Traub

Interpreti e personaggi:
Tom Hanks: capitano Richard Phillips
Barkhad Abdi: Abduwali Muse
Barkhad Abdirahman: Bilal
Faysal Ahmed: Najee
Mahat M. Ali: Elmi
Catherine Keener: Andrea Phillips
Michael Chernus: primo ufficiale Shane Murphy
David Warshofsky: ingegnere Mike Perry
Corey Johnson: timoniere Ken Quinn
Chris Mulkey: membro dell'equipaggio anziano John Cronan
Yul Vazquez: comandante Frank Castellano
Max Martini: comandante DEVGRU
Omar Berdouni: Nemo
Issak Farah Samatar: Hufan
Mohamed Ali: Asad
Stacha Hicks: ufficiale della UK Maritime Trade Operation

Doppiatori italiani:
Angelo Maggi: capitano Richard Phillips
Martin Chishimba: Abduwali Muse
Djibril Kebe: Najee
Roberta Pellini: Andrea Phillips
Sergio Lucchetti: primo ufficiale Shane Murphy
Paolo Marchese: ingegnere Mike Perry
Massimo Bitossi: timoniere Ken Quinn
Rodolfo Bianchi: terzo ingegnere John Cronan
Roberto Certomà: comandante Frank Castellano
Roberto Pedicini: comandante DEVGRU
Gianfranco Miranda: Nemo
Barbara Castracane: viceammiraglio Michelle Howard

Denny B.