venerdì 29 agosto 2014

S1m0ne (2002)

S1m0ne

★★★½

Victor Taransky (Al Pacino) è un regista che dopo tre insuccessi freschi alle spalle, tanto che anche la moglie produttrice lo ha lasciato, viene avvicinato un giorno da Hank Aleno, un esperto informatico che gli propone di fare un film insieme utilizzando una sorta di realtà virtuale, ma Victor non accetta. Pochi giorni dopo però Hank muore per via di un tumore all'occhio e Victor riceve dal suo avvocato un pacco contenente un software in grado di creare un personaggio virtuale. Ed è così che Victor crea una donna bionda bellissima di nome Simone (Rachel Roberts) che fa esordire in un film diretto da lui. Il film è un successo e i media e il pubblico vogliono vedere dal vivo questa Simone, ma Viktor riesce a mantenere il segreto inventandosi via via scuse fino a quando il regista non comincerà a provare odio per la sua stessa creatura. 


S1m0ne, scritto, diretto e prodotto da Andrew Niccol (sceneggiatore del capolavoro The Truman Show) è una satira apparentemente comica sullo star system hollywoodiano e sul cinema in generale che ha il sapore della premonizione: se non ci fosse stato questo film forse The Congress e il magnifico Her non sarebbero esistiti o quantomeno avrebbero il primato di essersi posti domande sulla differenza tra attore reale e virtuale e sul futuro del mezzo cinematografico, non più bisognoso di persone n carne e ossa, e anche sull'amore nei confronti di ciò che non potremo mai toccare con mano fremente. Il virtuale che tenta di sopperire al nostro bisogno insanabile di realtà concreta. 


Victor Taransky, due volte candidato all'Oscar per il miglior documentario, è reduce da tre flop clamorosi che hanno portato la moglie nonché produttrice a chiedere il divorzio e a non finanziare più il film a cui Victor sta lavorando quando l'attrice protagonista pianta in asso il regista da un giorno all'altro. Una sera Victor viene avvicinato da uno strano tizio con una benda sull'occhio, Hank, che gli comunica l'amore per i suoi film e l'intenzione di farne uno assieme a lui utilizzando attori virtuali. Il regista, credendolo un invasato, si allontana seppur Hank gli confessi di avere poco tempo da vivere. Pochissimi giorni dopo Victor riceve un pacco da Hank, morto per un tumore all'occhio, che contiene un software curioso che permette a Victor di creare una donna virtuale bellissima, Simone (Simulation One), il cui debutto sul grande schermo avviene mesi dopo nella parte che era dell'attrice capricciosa che lasciò il film a metà riprese. 


Il film riscuote un enorme successo e i media e il pubblico impazziscono letteralmente per Simone. Tutti vogliono vederla, intervistarla, toccarla, fotografarla. Ma ogni cosa a suo tempo. Presto Victor svelerà al mondo che Simone non esiste. Così facendo spera di riuscire a dimostrare che gli attori non sono nulla, che non sono altro che creta nelle mani di Dio ovvero il regista. Sarà la fine del divismo; dei divi che impongono al regista le inquadrature che premiano i loro volti; che possono lasciare un film a metà solo perché la loro roulotte è più bassa di mezzo centimetro rispetto a un'altra. Tutto questo finirà. Si tornerà ai vecchi tempi del "Tu reciti mentre io ti dirigo". Peccato che Victor finisca per essere diretto dalla sua stessa creatura. 


Simone (la bellissima Rachel Roberts) non esce mai perché è agorafobica. Passa tutto il suo tempo di fronte al computer. Rilascerà delle interviste solo se precedentemente registrate. Un'esibizione dal vivo davanti a centinaia e centinaia di persone? Si può fare, ma il palco deve essere inondato di fumogeni. Victor, per non svelare il suo segreto, inventa delle scuse, dei pettegolezzi, utilizza una sua controfigura all'uscita da un hotel per solleticare la stampa e i paparazzi, e impone delle regole precise perché deve avere il tempo di comandare Simone tramite un computer: le aggiusta le espressioni facciali, la voce e i gesti copiando-e-incollando quelle di attrici celebri quali Sophia Loren, Lauren Bacall, Audrey Hepburn. Da un microfono dal quale Victor parla esce fuori invece la voce suadente e impostata di Simone che fa inlanguidire il suo pubblico adorante (non è un caso che la canzone che l'attrice canta è You Make Me Feel). 


Victor si fa da sé i complimenti che escono a sua volta puntuali dalla bocca di Simone. Andrew Niccol dosa bene la goliardia e le piccole escrescenze drammatiche che s'intravedono nella prima parte crescono durante la seconda in cui Victor si confida con la moglie, ancora innamorati l'uno dell'altra, e non viene creduto. Allora cosa fa? Dirige un nuovo film con Simone protagonista e regista. Alla prima del film il pubblico sembra schifato da una delle scene che vede Simone con un abito da sposa grufolare con i porci. Victor pregusta già l'insuccesso di Simone come regista invece il pubblico si alza in piedi e comincia ad applaudire sonoramente. Il film di Simone s'intitola I Am a Pig. Questa scena è arguta e tagliente: Niccol descrive il pubblico - privo di senso critico - come una mandria di porci che s'ingozza di qualsiasi merda spacciata per grande opera cinematografica solo perché vi è al suo interno la diva del momento. Fanatismo di massa. E' come se ci dicesse che i film non li guarda nessuno. Ciò che si guarda è il divo.

Al Pacino S1m0ne

I tentativi da parte di Victor di distruggere la sua attrice non raccolgono il risultato sperato. Succede, come ho scritto sopra, il contrario. Il successo continuo di Simone oscura sempre di più quello già fioco di Victor Taransky. Quando alle serate di gala lui esce dalla limousine non accompagnato da Simone i fotografi interrompono i frenetici scatta-scatta. L'interesse per i suoi film è inesistente e le uniche domande che gli rivolgono i giornalisti riguardano sempre e solo Simone. Il povero Victor è un'altra vittima del cinema: non voleva dimostrare al mondo l'inesistenza di Simone, bensì rendere il mondo partecipe dell'esistenza di Victor Taransky. A una prima visione Al Pacino sembra costretto in un personaggio che non riesce ad esprimere come vorrebbe. Non è propriamente corretto. Anche qui Al Pacino è perfetto; Victor è un uomo di cinema impegnato in un progetto di rivalsa personale che non va per il verso giusto. Al Pacino non ha bisogno di esagerare, di rompere i fragili confini del suo personaggio.  


S1m0ne, pur non essendo esente da mancanze (una regia più solida e magari una caratterizzazione dei personaggi di contorno più gustosa), sfrutta ottimamente l'idea geniale della morte del reale e delle sue inevitabili conseguenze nel mondo del cinema (e non solo). Un film da rivalutare immediatamente e senza indugi. Spoiler: mi si permetta di essere duro con coloro che hanno tirato un sospiro di sollievo durante il finale solo perché avviene il ricongiungimento della famiglia Taransky (più nel nome del lavoro e del profitto che dell'amore), decidendo quindi di di sfruttare questa volta tutti assieme l'immagine dell'entità virtuale creduta scomparsa, non hanno capito nulla del film dimostrando di avere le pigne al posto del cervello. Il finale di S1m0ne è amaro, drammatico, da brividi. In una parola: sconcertante. Simone in un videomessaggio si mostra su un divano accanto a Victor con in braccio il bambino avuto dal regista e annuncia inoltre la sua entrata in politica. Davvero inquietante per noi che siamo gli unici a sapere la verità oltre alla famiglia manipolatrice. La telecamera stacca e inquadra nuovamente l'inganno mai come in questo caso premonitore e terribile: Victor Taransky seduto sul divano con dietro il green panel finge di giocare col bambino; lo sappiamo bene: Simone non esiste e non esiste neanche il bambino. C'è soltanto un uomo sorridente seduto su un divano. E siamo davvero così sicuri che almeno lui sia reale?

Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: S1m0ne
Paese di produzione: USA
Anno: 2002
Durata:113 min
Genere: fantascienza, commedia
Regia: Andrew Niccol
Soggetto: Andrew Niccol
Sceneggiatura: Andrew Niccol
Produttore: Andrew Niccol
Casa di produzione: New Line Cinema
Distribuzione (Italia): Nexo
Fotografia: Derek Grover, Edward Lachman
Montaggio: Paul Rubell
Musiche: Carter Burwell
Scenografia: Jan Roelfs

Interpreti e personaggi:
Al Pacino: Viktor Taransky
Rachel Roberts: Simone
Catherine Keener: Elaine
Evan Rachel Wood: Lainey Christian
Winona Ryder: Nicola Anders
Pruitt Taylor Vince: Max Sayer
Jay Mohr: Hal Sinclair
Elias Koteas: Hank Aleno
Jeffrey Pierce: Kent
Jason Schwartzman: Milton

Doppiatori italiani:
Giancarlo Giannini: Viktor Taransky
Stella Musy: Simone
Cristiana Lionello: Elaine
Letizia Ciampa: Lainey Christian
Ilaria Stagni: Nicola Anders
Ennio Coltorti: Max Sayer
Massimiliano Manfredi: Hal Sinclair
Gianluca Tusco: Hank Aleno

Denny B.










mercoledì 27 agosto 2014

Lo Hobbit - La desolazione di Smaug

Lo Hobbit - La desolazione di Smaug


★★½

Continua il viaggio della compagnia dei nani verso la Montagna Solitaria dove dorme il temibile drago Smaug, ma prima di arrivarci dovranno superare molte insidie e contrattempi: attraversando il Bosco Atro cadono nelle grinfie dei ragni giganti salvo essere liberati da una squadra di elfi silvani guidati da Legolas (Orlando Bloom) e Tauriel (Evangeline Lilly) che li imprigionano a loro volta nelle segrete del Reame Boscoso. Nel frattempo Gandalf (Ian McKellen) giunge a Dol Guldur dove invia Radagast (Sylvester McCoy) a informare Galadriel (Cate Blanchett) dell'imminente scontro con il Negromante.



Che desolazione. Avevo preventivato un calo in questo sequel - tutto nella norma, salvo alcune eccezioni -, ma non così brusco e addirittura defraudante. Mi sento preso per il naso dal signor Peter Jackson. Il primo film di questa trilogia pur non essendo brillante a me aveva fatto ben sperare di gustare nuovamente le atmosfere, la magia e l'epicità della Via Crucis dell'Anello. Gli elementi c'erano tutti: personaggi quali Gandalf di cui ho molta fiducia, Thorin che è un re bello deciso, il simpatico e saggio Balin e poi Bilbo che in Lo Hobbit - La desolazione di Smaug è ridotto quasi a un personaggio di contorno, benché il film s'intitoli "Lo Hobbit" e non "La compagnia dei Nani" perché il regista è impegnato ad allungare il brodo con ammiccamenti al pubblico, storie d'amore improbabili, la preparazione di Sauron alla guerra, il tutto facendo infuriare i tolkeniani, quelli che sono andati al cinema con il libro de Lo Hobbit aperto sulle ginocchia per controllare se una scena c'era o no nel romanzo, deludendo i nostalgici della Trilogia dell'Anello e deliziando forse quelli che non sono né l'uno né l'altro perché ehy ragazzi! ma avete visto che drago?!


Alla compagnia dei nani ne succedono di tutti i colori quando non v'è Gandalf a badar loro. Rischiano di essere ingoiati dai ragni giganti, per (s)fortuna Bilbo comincia a capire le potenzialità dell'anello rubato a Gollum e almeno una scena è coerente con quanto lo stregone gli dice nel primo capitolo: "Il vero coraggio si basa sul sapere non quando prendere una vita, ma quando risparmiarla". Bilbo uccide un cucciolo di ragno per riprendersi l'anello il cui influsso malefico porta già i suoi amari frutti. E dopo i ragni vengono gli elfi silvani dove ritroviamo una nostra vecchia conoscenza: Legolas. Interpretato da un Orlando Bloom totalmente inespressivo. Che dal quel che so c'entra come un hobbit in mezzo agli orchi. Ma non è l'unico personaggio inesistente nel libro che Jackson decide di inserire infatti abbiamo una nuova e bella elfa silvana di nome Tauriel che udite udite s'innamora (contraccambiata) del nano più piacente della compagnia. E così abbiamo aggiunto un altro po' di brodo nel calderone fantasy e le bimbeminkia hanno qualcosa di cui parlare durante l'intervallo. 



Il meccanismo di Lo Hobbit - La desolazione di Smaug, e anche del primo film, è questo: i nani cadono in trappola e Bilbo o Gandalf li trae in salvo. Tutto qui. E aggiungeteci solo dei combattimenti ben coreografati contro orchi più stupidi del solito che altro non sono che bersagli inamovibili facili per le frecce e le spade elfiche. A già dimenticavo che s'inserisce nella trama gonfiata un brandello di politica con annesso popolo beota che inneggia a Thorin, unico vero re sotto la montagna, perché ha la voce più alta di Bard contrario alla sua pretesa al trono poiché teme il risveglio del drago e la conseguente distruzione della piccola città portuale sotto la montagna. Si trae da un libro per ragazzi un film oscuro, buio e confuso dove l'unico barlume di emozione l'ho avuta quando Thorin e Balin entrano nella montagna, finalmente a casa, e si guardano commossi, e dove l'unico momento di soddisfazione l'ho riservato al favoloso drago Smaug, oggetto sicuramente di masturbazione da parte della massa, doppiato da Luca Ward, e con un design davvero notevole, che sarà l'antagonista principale dell'ultimo capitolo della trilogia di cui non ce n'era davvero bisogno. 

Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia): 


Titolo originale: The Hobbit: The Desolation of Smaug
Paese di produzione: Nuova Zelanda, USA
Anno: 2013
Durata: 161 min(versione cinematografica)[1], 185 min(versione estesa)[2]
Generefantastico, avventura, epico
Regia: Peter Jackson
Soggetto: J. R. R. Tolkien (romanzo)
Sceneggiatura: Peter Jackson, Fran Walsh, Philippa Boyens, Guillermo del Toro
Produttore: Peter Jackson, Fran Walsh, Carolynne Cunningham, , Zane Weiner
Produttore esecutivo: Alan Horn, Carolyn Blackwood Ken Kamins, Toby Emmerich Callum Greene
Casa di produzione: New Line Cinema, Metro-Goldwyn-Mayer, WingNut Films
Distribuzione (Italia): Warner Bros.
Fotografia: Andrew Lesnie
Effetti speciali: Weta Digital (Joe Letteri, Eric Saindon, David Clayton e Eric Reynolds)
Musiche: Howard Shore
Scenografia: Alan Lee, John Howe, Dan Hennah

Interpreti e personaggi:
Martin Freeman: Bilbo Baggins
Ian McKellen: Gandalf
Richard Armitage: Thorin Scudodiquercia
Ken Stott: Balin
Graham McTavish: Dwalin
Aidan Turner: Kíli
Dean O'Gorman: Fíli
Mark Hadlow: Dori
Jed Brophy: Nori
Adam Brown: Ori
John Callen: Óin
Peter Hambleton: Glóin
William Kircher: Bifur
James Nesbitt: Bofur
Stephen Hunter: Bombur
Benedict Cumberbatch: Smaug
Luke Evans: Bard l'Arciere
Orlando Bloom: Legolas
Evangeline Lilly: Tauriel
Lee Pace: Thranduil
Manu Bennett: Azog
Lawrence Makoare: Bolg
Mikael Persbrandt: Beorn
Sylvester McCoy: Radagast
Cate Blanchett: Galadriel
Stephen Fry: Governatore di Pontelagolungo
Ryan Gage: Alfrid
John Bell: Bain
Peggy Nesbitt: Sigrid
Mary Nesbitt: Tilda

Doppiatori originali:
Benedict Cumberbatch: Sauron

Doppiatori italiani:
Gigi Proietti: Gandalf
Fabrizio Vidale: Bilbo Baggins
Fabrizio Pucci: Thorin Scudodiquercia
Luca Ward: Smaug
Daniela Calò: Tauriel
Marco Foschi: Thranduil
Giorgio Borghetti: Bard l'Arciere
Massimiliano Manfredi: Legolas
Carlo Valli: Balin
Bruno Conti: Dwalin
Stefano Crescentini: Kíli
Corrado Conforti: Fíli
Roberto Stocchi: Dori
Luigi Ferraro: Nori
Edoardo Stoppacciaro: Ori
Andrea Tidona: Óin
Edoardo Siravo: Glóin
Francesco Sechi: Bifur
Antonio Palumbo: Bofur
Mauro Magliozzi: Bombur
Paolo Marchese: Beorn
Bruno Alessandro: Radagast
Cristiana Lionello: Galadriel
Massimo Lopez: Governatore di Pontelagolungo
Franco Mannella: Alfrid
Manuel Meli: Bain
Erica Necci: Sigrid
Arianna Vignoli: Tilda

Denny B.

lunedì 25 agosto 2014

ROBIN WILLIAMS TRIBUTE: LA LEGGENDA DEL RE PESCATORE

La leggenda del re pescatore


★★★½

Jack Lucas (Jeff Bridges) è un deejay che conduce un programma radiofonico di successo dove riceve chiamate di persone insicure, problematiche o prostitute che si sono intrattenute in un parcheggio con un senatore e a cui risponde con sagacia e sarcasmo pungente. Vive in un attico e presto gli faranno delle riprese dal vivo: non sarà solo più Jack Lucas, la voce; ma Jack Lucas, la faccia dietro la voce. Ma la disgrazia gli viene servita sullo schermo del televisore: uno psicopatico che lui aveva incitato durante il suo programma è entrato in un locale alla moda e a ha fatto una strage. Tre anni dopo Jack lavora come commesso nel videonoleggio della sua ragazza Anne Napolitano (Mercedes Ruehl), annega la depressione e l'irritazione nell'alcol fino a quando una sera tenta il suicidio e viene invece aggredito da alcuni ragazzi che lo scambiano per un barbone, ma gli viene in suo soccorso uno strano barbone, Parry (Robin Williams), che parla come un cavaliere errante dei miti di Re Artù che il mattino seguente gli racconta di essere in missione per conto di Dio: deve recuperare il Santo Graal nel centro di Manhattan, però non ce l'ha fa da solo ed è qui che entra in gioco Jack: lui è l'eletto. Inoltre Jack viene a conoscenza della tragedia che ha investito Parry quando tre anni fa uno psicopatico entrò in un locale e uccise tra gli altri anche sua moglie, e Jack, sentendosi responsabile, lo aiuta affinché riesca a far colpo sulla donna che lui ama, Lydia Sinclair (Amanda Plummer).
Sarà l'inizio di una bizzarra, ma splendida amicizia.



Non c'è un film giusto o sbagliato per scrivere di quell'attore geniale che era Robin Williams. Avrebbe potuto recitare in un film dove si narravano le vicende di un vegano che si avventura in una steakhouse e la mia attenzione sarebbe stata incondizionata. Basti pensare al mediocrissimo Licenza di matrimonio: ogni qualvolta passa in tv lo guardo solo perché c'è Robin Williams nella parte del prete che insegna il catechismo ai bambini come fosse un quiz televisivo ("Non desiderare la donna del vicino perché se lo scopre il vicino succede un bel PATA TRAC"). Molti altri suoi film bellissimi sono stati recensiti dai blogger di questa solida congrega che hanno partecipato a questo tributo e mi si permetta di essere un "cuorcontento" in un simile momento di commemorazione dove ho l'occasione di parlarvi di uno dei miei film preferiti, quelli di cui si fa più fatica a scriverne, forse perché parlando di essi si finisce sempre o quasi a parlare di se stessi.



Jeff Bridges interpreta il deejay radiofonico Jack Lucas. Ricco, famoso, egoista, cinico, misantropo con nessun obiettivo nella vita. Robin Williams interpreta il clochard Parry. Folle, altruista, generoso, allegro con una missione da compiere. Cosa avranno mai in comune questi due uomini totalmente diversi che finiscono per incontrarsi? Una disgrazia. La moglie di Parry è una delle vittime della strage compiuta dal pazzo che Jack incitò tre anni fa. Questo fatto convince Jack ad aiutarlo più per "pagare la multa e andarsene" che per riconoscenza o carità nuda e cruda, ma spesso il cuore dell'uomo più egoista può essere soggetto a cambiamenti positivi. Amo questo film perché fa bene al cuore. 



Gli attori sono nel pieno del loro splendore artistico. Jeff Bridges in una delle sue migliori interpretazioni. Mercedes Ruehl, che interpreta Anne Napolitano, è la fidanzata di Jack, una donna emancipata, forte e indipendente, è stata premiata con l'Oscar come miglior attrice non protagonista. Amanda Plummer, che interpreta Lydia Sinclair, invece è l'opposto di Anne: insicura, senza amici, sbadata, fissata con i giornaletti rosa, riceve ogni settimana la telefonata di sua madre la cui prima domanda che le pone è "Hai incontrato qualcuno di interessante?". Si sente sempre fuori posto, scombinata e indesiderata; Parry dichiarerà il suo amore per lei in un momento così dolce e ben scritto che Richard LaGravenese (I ponti di Madison County, Dietro i candelabri) firma una delle dichiarazioni più romantiche della storia del cinema mentre il regista Terry Gilliam dirige con cognizione di camera e generosità, ne è una dimostrazione la fantastica scena del valzer che altro non è che un dono tutto per noi. Infine da ricordare assolutamente lo splendido Michael Jeter che canta vestito da donna sopra una scrivania.



A Central Park, Parry (completamente nudo altrimenti non s'irradia l'energia psicofisica) convince Jack a rilassarsi e giocare con lui allo spaccanuvole e mentre sono distesi sull'erba gli racconta la leggenda del re pescatore. A un giovane re gli venne mostrato il Santo Graal e ordinato di custodirlo "onde possa guarire il cuore degli uomini", ma lui, accecato da una vita di ricchezza e potere si sentì onnipotente e fece per prendere il Graal che gli lasciò la mano tremendamente ustionata. Passarono gli anni e la ferita non si rimarginava e un giorno il re, vecchio e solo privo di fede negli altri e in se stesso, stava seduto in un angolo quando un giullare, essendo un povero di spirito, non vide il re, ma solo un uomo sofferente, e gli chiese che cosa lo addolorasse e il re rispose che aveva sete e che voleva un po' d'acqua. Il giullare riempì una coppa e la porse al re e bevendo scoprì che la ferita era guarita e che la coppa tra le sue mani altro non era che il Santo Graal e allora chiese stupito al giullare come aveva potuto trovare ciò che i suoi cavalieri non erano mai riusciti a trovare e lui rispose che non lo sapeva; sapeva soltanto che aveva sete.



Jack scopre la volontà di fare qualcosa per qualcun altro che non sia lui stesso mentre Parry scopre la vera amicizia e bontà disinteressata. Come in questa leggenda i due protagonisti si porgono l'un l'altro la coppa colma d'acqua perché hanno sete non sapendo che così ricevono entrambi il Santo Graal. La coppa che si trova all'interno di un castello al centro di Manhattan (un trofeo di football giovanile appartenente a un ricco imprenditore) non è che un fantasioso pretesto per narrare una splendida storia d'amicizia reale, tangibile, che non lascia le mani ustionate.  


Tuttavia La leggenda del re pescatore subisce un calo nella seconda parte, proprio dopo la dichiarazione d'amore, di cui non sono mai riuscito a venire a capo almeno fino a questa decima visione. Ora ho la risposta. Il calo è dovuto alla momentanea assenza di Robin Williams dalla storia. Si nota la sua mancanza, e si fa sentire irrimediabilmente anche quest'oggi (e per sempre). Il suo ruolo è umano, commovente, sfacciato, folle, disperato e doloroso. Forse il personaggio di Parry è quanto di più vicino ci fosse al vero Robin Williams. Quello fuori dallo schermo, a servizio solo della sua vita e dei suoi conseguenti affanni e dolori.



Ecco gli altri blog, oltre al mio, che partecipano al Robin Williams Tribute:

Bollalmanacco di cinemaAl di là dei sogni
Non c'è ParagoneGood Morning Vietnam
Montecristo - Il Mondo Secondo Garp
In Central PerkWill Hunting - Genio Ribelle
Viaggiando MenoThe Angriest Man in Brooklyn
Pensieri Cannibali & White RussianHook & Hook
SolarisL'uomo Bicentenario
Combinazione Casuale - Jumanjii
Director's Cult Toys
Recensioni RibelliL'attimo Fuggente

Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: The Fisher King
Paese di produzione: Stati Uniti
Anno: 1991
Durata: 137 min
Generedrammatico, psicologico
Regia: Terry Gilliam
Sceneggiatura: Richard LaGravenese
Fotografia: Roger Pratt
Montaggio: Lesley Walker
Musiche: George Fenton

Interpreti e personaggi:
Robin Williams: Henry Sagan "Parry"
Jeff Bridges: Jack Lucas
Mercedes Ruehl: Anne Napolitano
Amanda Plummer: Lydia Sinclair
Michael Jeter: Cantante senzatetto
David Hyde Pierce: Lou Rosen
Lara Harris: Sondra
Christian Clemenson: Edwin
Carlos Carrasco: Dott. Mandeville
Tom Waits: Veterano disabile
Kathy Najimy: Cliente del "Video Spot"

Doppiatori italiani:
Marco Mete: Henry Sagan "Parry"
Sergio Di Stefano: Jack Lucas
Emanuela Rossi: Anne Napolitano
Cristina Boraschi: Lydia Sinclair
Francesco Vairano: Cantante senzatetto
Sandro Acerbo: Lou Rosen
Barbara Doniselli: Sondra
Roberto Del Giudice: Edwin
Francesco Pannofino: Dott. Mandeville
Claudio Fattoretto: Veterano disabile
Ida Sansone: Cliente del "Video Spot"

Denny B.


mercoledì 20 agosto 2014

Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato

Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato

★★★

Il film inizia poco prima dei fatti narrati ne Il Signore degli Anelli. Bilbo Baggins è intento a scrivere le memorie dei suoi viaggi così che suo nipote Frodo possa conoscerle. Il vecchio hobbit narra la storia del regno di Erebor, la roccaforte dei nani Thror dov'erano conservate enormi ricchezze, e del periodo di prosperità che s'interruppe quando il drago Smaug, attirato dall'oro, conquista il regno costringendo i nani alla fuga che non ricevono l'aiuto degli elfi del Reame Boscoso. La storia si sposta nel momento in cui un giovane Bilbo (Martin Freeman) seduto sulla panca di fronte a casa Baggins riceve la visita di Gandalf il Grigio (Ian McKellen) che tenta di convincerlo, invano, a partire con lui per un'avventura. Quella sera Bilbo riceve la visita di un nano, anzi ben tredici nani. Lo stregone recluta Bilbo nella compagnia guidata da Thorin Scudodiquercia (Richard Armitage) intenzionato a riconquistare il regno dei suoi avi e sconfiggere il drago Smaug. Dapprima scettico l'indomani Bilbo entra a far parte della compagnia e il viaggio verso la riconquista di Erebor ha inizio. 


Più che di fedeltà al romanzo io parlerei di rispetto al romanzo. E' frustrante spaccarsi la testa e insultare neanche mentalmente un regista o sceneggiatore perché in una scena quel dato personaggio non è vestito come nel libro o non pronuncia le esatte parole contenute a pag. 125. Un regista quando si approccia a un romanzo o a qualsiasi opera da cui si vuole trarre una trasposizione cinematografica dovrebbe avere una atteggiamento rispettoso e non vuol dire che non possa prendersi delle liberà, tutt'altro: ormai tutti sanno che i tempi letterari sono mostruosamente differenti dai tempi cinematografici e Peter Jackson questo lo sa bene e ha svolto un lavoro eccellente per quanto riguarda la sua prima trilogia. Ora però è rimasto accecato dal Dio Denaro e ha deciso di trarre da Lo Hobbit di Tolkien (poco più di trecento pagine) ben tre film andando a formare una nuova trilogia. Felicitazioni.


Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato è lento e la spiegazione viene da sé: il regista non può sviscerare subito l'intera storia, essendo divisa in tre parti come ho detto sopra, quindi se la prende comoda infarcendola con aneddoti tratti (correggetemi pure) da Il Silmarillion e altri libri riguardanti le vicende della Terra di Mezzo. A tratti è persino spossante. "Ora Jackson inquadra per mezz'ora Gandalf che fuma l'erbapipa così tanto per allungare il brodo" ho pensato tra me. E ho rilevato delle ingenuità registiche nella sequenza in cui sono presenti Gandalf, Saruman e due elfi Elrond e Galadriel: l'alternarsi di inquadrature a mezzo busto e giri di macchina attorno al portico rialzato all'aperto dove discorrono i personaggi è fastidioso; come anche alcune battute fuori luogo dette dai nani e da Saruman che essendo un saggio dovrebbe quantomeno risparmiarsele. 


Tuttavia Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato mi è piaciuto. A partire dal cast con un inossidabile Ian McKellen (doppiato da Gigi Proietti dopo la scomparsa del grande Gianni Musy) nei panni di un Gandalf più rilassato e con la mente meno occupata dal ritorno di Sauron, un simpaticissimo nano di nome Balin, fedele consigliere e compagno d'armi dell'accigliato Thorin Scudodiquercia, fino alla new entry Martin Freeman a suo agio nell'interpretare un giovane Bilbo Baggins alle prese con la voglia di ritornare a casa, troll, orchi e il personaggio più interessante dell'intera epopea tolkeniana che è Gollum, nuovamente interpretato da Andy Serkis, protagonista della sequenza più memorabile del film dove appunto sfida Bilbo a una gara di indovinelli. Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato è un inizio che pur non reggendo assolutamente il confronto con la Trilogia dell'Anello, sa intrattenere mettendo in scena luoghi, personaggi, leggende e miti che hanno tutto il sapore di un viaggio atteso e mai intrapreso. 

Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: The Hobbit: An Unexpected Journey
Paese di produzione: Nuova Zelanda, USA
Anno: 2012
Durata: 169 min (versione cinematografica), 184 min (versione estesa)[1]
Generefantastico, avventura, epico
Regia: Peter Jackson
Soggetto: J. R. R. Tolkien (romanzo)
Sceneggiatura: Peter Jackson, Fran Walsh, Guillermo del Toro, Philippa Boyens
Produttore: Peter Jackson, Fran Walsh, Carolynne Cunningham
Produttore esecutivo: Alan Horn, Ken Kamins, Toby Emmerich, Zane Weiner, Callum Greene
Casa di produzione: New Line Cinema, Metro-Goldwyn-Mayer, Warner Bros. Pictures, WingNut Films
Distribuzione (Italia): Warner Bros. Pictures
Fotografia: Andrew Lesnie
Effetti speciali: Joe Letteri, Eric Saindon, David Clayton, R. Christopher White
Musiche: Howard Shore
Scenografia: Alan Lee, John Howe, Dan Hennah

Interpreti e personaggi:
Martin Freeman: Bilbo Baggins
Ian McKellen: Gandalf
Richard Armitage: Thorin Scudodiquercia
Ken Stott: Balin
Graham McTavish: Dwalin
Aidan Turner: Kíli
Dean O'Gorman: Fíli
Mark Hadlow: Dori
Jed Brophy: Nori
Adam Brown: Ori
John Callen: Óin
Peter Hambleton: Glóin
William Kircher: Bifur
James Nesbitt: Bofur
Stephen Hunter: Bombur
Manu Bennett: Azog
Sylvester McCoy: Radagast
Andy Serkis: Gollum/Sméagol
Cate Blanchett: Galadriel
Hugo Weaving: Elrond
Christopher Lee: Saruman
Barry Humphries: Grande Goblin
Ian Holm: Bilbo Baggins (anziano)
Bret McKenzie: Lindir
Elijah Wood: Frodo Baggins
Lee Pace: Thranduil

Doppiatori originali:
Mark Hadlow: Berto
William Kircher: Maso
Peter Hambleton: Guglielmo
Benedict Cumberbatch: Il Negromante/Sauron

Doppiatori italiani:
Gigi Proietti: Gandalf
Fabrizio Vidale: Bilbo Baggins
Fabrizio Pucci: Thorin Scudodiquercia
Carlo Valli: Balin
Bruno Conti: Dwalin
Stefano Crescentini: Kíli
Corrado Conforti: Fíli
Roberto Stocchi: Dori
Luigi Ferraro: Nori
Edoardo Stoppacciaro: Ori
Andrea Tidona: Óin
Claudio Fattoretto: Glóin
Francesco Sechi: Bifur
Antonio Palumbo: Bofur
Mauro Magliozzi: Bombur
Francesco Vairano: Gollum/Sméagol
Bruno Alessandro: Radagast
Cristiana Lionello: Galadriel
Luca Biagini: Elrond
Omero Antonutti: Saruman
Gaetano Varcasia: Grande Goblin
Vittorio Congia: Bilbo Baggins (anziano)
Massimo Triggiani: Lindir
Davide Perino: Frodo Baggins
Francesco De Francesco: Berto
Francesco Meoni: Maso

Gianfranco Salemi: Guglielmo

Denny B.

lunedì 18 agosto 2014

Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie

Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie


★★★½

Dieci anni dopo gli eventi di L'alba del pianeta delle scimmie la popolazione umana è stata quasi decimata a causa del virus T-113, progettato per curare l'Alzheimer, ma rivelatosi benigno per le scimmie, capace di aumentare l'intelligenza, e maligno per gli umani. Nella foresta di sequoie del Muir Woods lo scimpanzé evoluto Cesare (Andy Serkis) ha fondato una colonia di scimmie che vivono in pace tra loro come una famiglia. Un giorno un gruppo di umani si inoltra nella foresta e uno di loro, Carver (Kirk Acevado), spara a uno scimpanzé, col risultato di farsi circondare da scimmie furiose placate però da Cesare che decide di risparmiarli e ordina loro di andarsene dal suo territorio. Gli umani tornano nella fortezza dei sopravvissuti situata nelle rovine di San Francisco e raccontano ciò che hanno visto al loro capo Dreyfus (Gary Oldman) il quale permette a Malcolm (Jason Clark), uno del gruppo di cui si fida delle scimmie, di proporre alla colonia di aiutarli a ottenere energia elettrica per la città aggiustando la diga che si trova proprio vicino alla foresta di sequoie. Riusciranno gli umani e le scimmie a collaborare? o la guerra è inevitabile?



Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie è un sequel intelligente, ancora più del precedente, che unisce riflessioni antropologiche a pathos shakespeariano e componente puramente action ottenendo il vero blockbuster dell'estate. Il regista Matt Reeves dirige in maniera solida e competente il desolato e apocalittico presente dopo la decimazione della popolazione dovuta al virus T-113. Gli umani rimasti e immuni dal virus, guidati da Dreyfus, vivono in una fortezza nelle rovine di San Francisco. Le case sono abbandonate e ricoperte di vegetazione, le strade deserte, e l'elettricità pare solo un ricordo luminoso del passato che sbeffeggia il presente buio e incerto. Nella foresta di sequoie invece la colonia di scimmie evolute guidate da Cesare prospera in pace come una famiglia. Ma è quando gli umani si spingono nel loro territorio, e propongono a Cesare di poter far ripartire la diga così da garantire una fonte d'energia di partenza, che l'odio di Koba verso di loro s'interpone con il rispetto e la fedeltà a Cesare che invece concede loro il permesso e l'aiuto necessario. 



E' così che Koba indaga per conto suo e viene a scoprire che gli umani, sotto gli ordini di Dreyfus, stanno lustrando le armi rimaste nell'evenienza di una guerra contro le scimmie. Non ci si può proprio fidare degli umani. Bastano pochi individui violenti e doppiogiochisti per sporcare la fiducia di altri individui buoni e in pace con gli altri guadagnata con difficoltà dal capo delle scimmie. Koba diviene il principale antagonista degli umani e dei suoi simili quando con un piano che ha dello shakespeariano colpisce Cesare, il suo capo, la sua guida, facendo così ricadere la colpa sugli umani e avendo il motivo principe per scatenare una sanguinosa guerra. 



E la guerra è proprio il centro dal quale si dipanano sei raggi di conflitto e (dis)uguaglianze: Koba contro gli umani; gli umani contro le scimmie; Koba contro le scimmie fedeli a Cesare; Malcolm contro i suoi stessi simili; Koba contro Cesare; e infine il vincente tra i due contro l'esercito imminente. Durante i conflitti la riflessione sventola davanti ai nostri occhi come una bandiera strappata: essendo l'essere umano l'unico essere vivente a uccidere i propri simili la distinzione tra scimmie e umani cessa di esistere quando una scimmia uccide un'altra scimmia. Qui è doveroso uno spoiler quindi fermatevi se non l'avete visto. Cesare, uccidendo Koba, non è più una scimmia e il suo sguardo finale che riempie lo schermo è chiaramente lo sguardo di un umano carico di rabbia, risentimento e spirito guerresco. Il terzo capitolo, che uscirà nel 2016, narrerà lo scontro tra la razza umana senza più distinzioni di sorta.



Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie è il punto dal quale bisogna continuare a produrre blockbuster con intelligenza, capacità, e la prospettiva - certo - di un incasso alto, ma fatto però con dignità partecipando all'attività neuronale dello spettatore (qualora ci fosse).



Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: Dawn of the Planet of the Apes
Lingua originale: inglese
Paese di produzione: Stati Uniti
Anno: 2014
Durata: 130 min
Generefantascienza, drammatico, azione
Regia: Matt Reeves
Soggetto: Pierre Boulle
Sceneggiatura: Mark Bomback, Rick Jaffa, Amanda Silver
Produttore: Amanda Silver, Rick Jaffa, Peter Chernin, Dylan Clark
Produttore esecutivo: Thomas M. Hammel, Mark Bombak
Casa di produzione: Chernin Entertainment
Distribuzione (Italia): 20th Century Fox
Fotografia: Michael Seresin
Montaggio: William Hoy, Stan Salfas
Effetti speciali: Weta Digital
Musiche: Michael Giacchino
Scenografia: James Chinlund
Costumi: Melissa Bruning

Interpreti e personaggi:
Andy Serkis: Cesare
Jason Clarke: Malcolm
Gary Oldman: Dreyfus
Keri Russell: Ellie
Toby Kebbell: Koba
Keir O'Donnell: Finney
Kodi Smit-McPhee: Alexander
Enrique Murciano: Kemp
Kirk Acevedo: Carver
Judy Greer: Cornelia
Karin Konoval: Maurice
Nick Thurston: Occhi Blu
Jocko Sims: Werner
Jon Eyez: Foster

Doppiatori italiani:
Massimo Corvo: Cesare
Sandro Acerbo: Malcolm
Angelo Maggi: Dreyfus
Tiziana Avarista: Ellie
Nino Prester: Koba
Federico Campaiola: Alexander
Simone Mori: Carver

Edoardo Siravo: Foster

Denny B.

venerdì 15 agosto 2014

L'alba del pianeta delle scimmie

L'alba del pianeta delle scimmie

★★★

Nell'umida giungla del Congo tre scimpanzé vengono catturati e condotti a San Francisco dove lo scienziato Will Rodman (James Franco) della Gen-Sys sta sperimentando un medicinale generico per curare la malattia di Alzheimer e altri disturbi neurologici. Testando il farmaco su dodici scimpanzé scopre che una femmina, chiamata Occhi Luminosi, mostra lo sviluppo di un'intelligenza superiore alla media e un giorno in cui doveva essere mostrata ai finanziatori scappa dalla sua cella e viene uccisa dalle guardie per ordine del capo della Gen-Sys Steven Jacobs (David Oyelowo). Pulendo la cella di Occhi Luminosi il capo settore Robert Franklin (Tyler Labine) scopre uno scimpanzé neonato di cui si prenderà cura Will. Cesare, questo il nome datogli, cresce in fretta e con le stesse capacità cognitive della madre se non addirittura superiori. Nessuno poteva immaginare che qualche anno dopo sarebbe diventato il capo di una rivolta di scimmie. 


Ciao Darwin! Il fatto che il tuo nome sia stato utilizzato per l'omonimo programma televisivo di successo di cui adoro riguardare le repliche quando le passano in tv non è così avvilente come pensi tu. Guardando quest'umanità marcia che fa a gara a chi si distrugge per prima e con quali armi più fantasiose e mortali converrai con me, caro Darwin, che invece di dedicare anni al tuo immenso lavoro sulle origini della specie avresti potuto tranquillamente prendere il sole sdraiato sotto una palma di un'isola caraibica in mezzo all'oceano. 


Cosa c'entra questa pacata filippica con L'alba del pianeta delle scimmie? C'entra, perché il reboot della serie cinematografica degli anni '60, diretto da Rupert Wyatt, è un science-fiction intelligente che spinge volente o nolente a diverse riflessioni socio-antropologiche. Se le scimmie avessero un quoziente intellettivo pari o superiore al nostro vivrebbero nelle nostre città come stimati dottori o meccanici? Sarebbero possibili matrimoni tra umani e scimmie? Ma soprattutto: un clima di pace abbraccerebbe il pianeta Terra? o si finirebbe a pietre, clave e mitragliatori per la conquista definitiva dello stesso da parte dell'una o dell'altra fazione dominante? 


James Franco interpreta Will Rodman, uno scienziato che pare abbia sviluppato la cura (il farmaco ALZ-112) per il devastante morbo di Alzheimer. Dopo la morte della cavia che aveva dimostrato progressi cognitivi mai visti prima, accetta di prendersi cura del piccolo Cesare, che cresce con un padre, come una scimmia particolarmente agile e intelligente, che conosce la lingua dei segni, gioca a scacchi, e intuisce piacere sessuale (grazie al rilascio dei feromoni?) tra il suo padrone e una piacevolissima veterinaria interpretata da Freida Pinto che in due anni di relazione non si è mai chiesta che tipo di lavoro facesse l'uomo con cui ha condiviso il letto. Il successo di Will però non contempla l'ottima crescita di Cesare (un Andy Serkis che non si decideranno mai a far recitare in carne e ossa), ma la celere guarigione del padre affetta da Alzheimer. 


Ma non è tutto farmaco ciò che cura infatti i sintomi del morbo si ripresentano più aggressivi, Will crea il T-113 col consenso del suo capo, un farmaco ancora più potente del precedente, tuttavia suo padre muore ed è costretto ad affidare Cesare a una struttura riabilitativa che in realtà nasconde un vero e proprio "manicomio" per scimmie. I drammi umani per nostra fortuna non sono la parte interessante del film. Non lo è neanche il loro modo di interagire con le scimmie ("Torniamo a casa Cesare"/"Levami le tue zampe luride di dosso"). E' il rapporto che s'instaura tra Cesare e i suoi sfortunati compagni di prigionia con successiva dimostrazione della scimmia dominante e fuga dal centro che ho apprezzato maggiormente. Componente action unita a una trama intelligente e a ottimi effetti speciali: formula vincente per un prodotto d'intrattenimento che non passi e via. 


L'alba del pianeta delle scimmie ha già nel titolo un possibile sequel che è tutt'oggi nelle sale cinematografiche (lunedì la mia recensione). Il film di Wyatt è una preparazione al conflitto tra uomini e scimmie. I pensieri di quest'ultime, raggiunte le sequoie oltre al ponte di San Francisco (ottima la sequenza contro le forze dell'ordine), e arrampicatesi sugli alti alberi, mi sono ben chiari: "Oggi San Francisco. Domani il mondo". In questo le scimmie sono tali e quali agli uomini.  

Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia): 

Titolo originale: Rise of the Planet of the Apes
Lingua originale: inglese
Paese di produzione: Stati Uniti
Anno: 2011
Durata: 105 minuti
Generefantascienza, drammatico, azione
Regia: Rupert Wyatt
Soggetto: Pierre Boulle
Sceneggiatura: Amanda Silver, Rick Jaffa, Jamie Moss
Produttore: Amanda Silver, Rick Jaffa, Peter Chernin, Dylan Clark
Produttore esecutivo: Thomas M. Hammel
Casa di produzione: Chernin Entertainment
Distribuzione (Italia): 20th Century Fox
Fotografia: Andrew Lesnie
Montaggio: Conrad Buff IV, Mark Goldblatt
Effetti speciali: Weta Digital
Musiche: Patrick Doyle
Scenografia: Claude Paré
Costumi: Renée April
Trucco: Emanuela Daus, Naomi Hirano, Emma Julia Jacobs
Sfondi: Helen Jarvis

Interpreti e personaggi:
Andy Serkis: Cesare
James Franco: Will Rodman
Freida Pinto: Caroline Aranha
John Lithgow: Charles Rodman
Brian Cox: John Landon
Tom Felton: Dodge Landon
David Oyelowo: Steven Jacobs
Tyler Labine: Robert Franklin
David Hewlett: Douglas Hunsiker
Jamie Harris: Rodney

Doppiatori italiani:
David Chevalier: Will Rodman
Domitilla D'Amico: Caroline Aranha
Pino Insegno: Cesare
Stefano De Sando: Charles Rodman
Paolo Buglioni: John Landon
Flavio Aquilone: Dodge Landon
Fabrizio Vidale: Steven Jacobs
Marco Baroni: Robert Franklin
Christian Iansante: Douglas Hunsiker

Denny B.