giovedì 24 dicembre 2015

Star Wars: Episodio VII - Il risveglio della forza (2015)

★★★

Sono passati trent'anni da quando Luke Skywalker e l'Alleanza Ribelle hanno sconfitto le forze dell'Impero e ora la pace della risorta Repubblica della Galassia è minacciata da un nuovo pericolo: il Primo Ordine. Quest'ultima forza malvagia, nata dalle ceneri dell'Impero, è alla ricerca di Luke (Mark Hamill), l'ultimo cavaliere Jedi rimasto, soprattutto il misterioso Kylo Ren sembra essere ossessionato dall'idea di trovarlo a ogni costo, ma anche la Resistenza, guidata dal generale Leia Organa (Carrie Fisher), sta perlustrando la galassia al fine di trovarlo.  

L'attesa è ormai finita da più di una settimana e quasi in tutti i cinema del mondo è uscito Star Wars: Episodio VII - Il risveglio della forza che, oltre ad aver infranto svariati record d'incassi, ha fatto infervorare i fan più accaniti, battere il cuore a chi lo vide per la prima volta al cinema o in VHS, incuriosire i neofiti, fino a spingere a frotte questo pubblico variegato nelle sale, chi con aspettative alle stelle e chi invece con la semplice speranza di godersi un buon prodotto. Il successo della saga di Star Wars non si è mai sopita negli anni, ma è normale chiedersi se la forza si sia davvero risvegliata. 

J. J. Abrams si è rivelato rispettoso nei confronti dell'universo creato da George Lucas, ma la paura di sbagliare lo ha spinto ad andare sul sicuro senza prendersi troppi rischi (tranne uno che più che un rischio è una MINCHIATA) lasciando la patata bollente ai registi dei successivi capitoli della nuova trilogia. Il risveglio della forza è, senza tanti giri di parole, Una nuova speranza mischiato a Il ritorno dello Jedi con una spolverata de L'impero colpisce ancora. Più che immaginare nuovi pianeti (possibile che ne esistano solo di tre tipi?), percorrere strade mai battute, farsi prendere da una fantasia sfrenata, il regista ha preso in consegna un mondo non suo e da fan con gli occhi sberluccicanti (e la paura di essere linciato dalla folla) ha deciso di deliziare gli amanti di vecchia data con un'abbondante dose di fan service riuscendo però a immergere anche le nuove generazioni in una mitologia epica e immortale. 

Perché Il risveglio della forza, preso singolarmente, è un ottimo film d'intrattenimento: divertente, a tratti emozionante e visivamente spettacolare. Ma l'effetto nostalgico surclassa spessissimo la già non poco originalità della trama finendo, in alcuni punti, per far sbadigliare anche lo spettatore più navigato. 

I nuovi personaggi inseriti in questo settimo capitolo sono in linea di massima validi: Rey (interpretata da una convincente Daisy Ridley) è una delle eroine che oggi vanno di moda (vedasi Katniss e Furiosa): indipendente, forte, coraggiosa e determinata. Finn (John Boyega) ha del potenziale e visto e considerato che è un ex stormtrooper può, nel proseguire della storia, offrire maggiori dettagli sulla sua storia personale e sul suo arruolamento nelle forze del Primo Ordine. E il robottino rotolante BB-8 è una new entry tenera e simpatica. Tutti questi personaggi interagiscono con quelli vecchi - Han Solo, Chewbecca e Leia - senza venir sminuiti o peggio fatti scomparire dall'aura di mito che li circonda e li preserva dai dardi nemici. Soprattutto Harrison Ford, rivestendo i panni dell'irresistibile Han Solo, si dimostra essere in gran forma e quei capelli bianchi donano eccome al personaggio. 

Chi convince poco e nulla è Kylo Ren (quando si toglie la maschera e compare il volto di Adam Driver viene spontaneo esclamare con un certo ribrezzo "Per l'amor del cielo rimettitela") ovvero il Darth Vader dei poveri il quale indossa una maschera veneziana, una tunica nera da druido, e ha la spada laser a croce e, come i film di Star Wars ci hanno insegnato, chi ha un'arma diversa dal solito la sua profondità psicologica è inversamente proporzionale alla particolarità della spada. Infine il Leader Supremo Snoke più che essere la versione albina e anoressica di Thanos dei Guardiani della Galassia è un ghoul ferale troppo cresciuto: imponente non vuol dire automaticamente pauroso e carismatico infatti Palpatine era uno scricciolo ingobbito e rugoso, ma metteva decisamente più timore di un qualsiasi Snoke e Kylo Ren.

Il film pone delle domande che per ora rimangono insolute: chi è stato (e come ha fatto) a recuperare la spada laser di Luke Skywalker persa durante il primo duello con Darth Vader? Come mai i Jedi addestrati da Luke non hanno partecipato alla lotta contro il Primo Ordine? Erano in congedo per malattia? E com'è rinata la Repubblica e quale ruolo ricopre nella Galassia? Ma soprattutto: possibile che la Repubblica non abbia un suo esercito da utilizzare in casi di estrema minaccia alla democrazia?

Tolte tutte queste domande si ha, per ora, il dubbio che Il risveglio della forza sia più il primo capitolo di una trilogia mirata a essere un'operazione nostalgia che il primo tassello di una macro-storia originale e appassionante in grado di arricchire e ampliare l'universo di Star Wars. Si sente un fremito nella forza e per ora non promette nulla di eccellente. 


L'ANGOLO dello SPOILER ergo state alla larga, voi che non l'avete ancora visto:
Il fatto che Rey impieghi meno di un secondo a duellare con la spada laser, e ancora meno a utilizzare il potere persuasivo della Forza, è degradante nei confronti di Luke (si è fatto un mazzo tanto sul pianeta Dagobah in compagnia di Yoda) che lo fa passare più come l'ultimo degli sfigati che dei cavalieri Jedi. Come se non bastasse Kylo Ren - che è carismatico quanto Darth Maul, viene sconfitto da una che ha impugnato per la prima volta una spada laser, ciò non lo fa scadere un bel po' come villain?
Eliminare dalla storia Han Solo, oltre a essere una fucilata al mio tenero cuoricino, vuol dire togliere di mezzo il personaggio più carismatico dell'intera saga, quello che con una battuta sempre ben piazzata e quel modo di muoversi e sparare che sa di anni spesi nel contrabbando è sempre stato l'elemento che ha impedito alla saga originale di prendersi troppo maledettamente sul serio.

giovedì 17 dicembre 2015

Sense8 - Serie Tv (Prima stagione)

★★★½

Guardo più serie Tv che film in questo ultimo periodo e per fortuna tutte di qualità ottima se non eccelsa (vedasi The Leftovers, Fargo e Bloodline) e Sense8 è la penultima in ordine di visione/recupero (l'ultima, Black Mirror, mi ha fatto desiderare l'autodistruzione immediata di qualsiasi forma di tecnologia incluso il tostapane) avvenuto per la mia ammirazione nei confronti dei fratelli Wachowski i quali figurano come produttori, sceneggiatori e registi di questa serie Tv composta da ben dieci episodi. La trama è tanto semplice quanto criptica: in un casolare abbandonato una donna sta soffrendo terribilmente quando, visitata da un certo Jonas e braccata dal poco amichevole Whispers, che le appaiono sotto forma di visioni, decide di comparire agli otto protagonisti, così da attivare i loro misteriosi poteri, prima di togliersi la vita. 

Gli otto sono sparsi per il mondo e non potrebbero essere l'uno più diverso dell'altro: Will (Brian J. Smith) è un poliziotto che vive a Chicago, Riley (Tuppence Middleton) fa la deejay a Londra, Sun (Doona Bae) lavora nell'azienda di suo padre a Seoul, Lito (Miguel Angel Silvestre) è un celebre attore di film di dubbia qualità a Città del Messico, Nomi (Jamie Clayton) vive l'amore con Amanita a San Francisco, Kala (Tina Desai) sta per sposarsi con il figlio del suo datore di lavoro a Bombay, Wolgang (Max Riemelt) è uno scassinatore professionista a Berlino e infine Capheus  (Aml Ameen) fa l'autista a Nairobi. 

I folli e visionari fratelli Wachowski (quelli di Matrix e del tanto bello quanto massacrato Cloud Atlas) passano con nonchalance da una scena di orgia sensoriale in cui alcuni dei protagonisti provano un orgasmo simultaneo, tutto ciò farebbe arrossire qualsiasi regista di film a luci rosse, alla scena bellissima in cui tutti e otto rivivono, a un concerto, il momento della loro nascita. Senza contare il momento più magico dell'intera prima stagione di Sense8 ovvero quando i protagonisti cantano la medesima canzone - What's Up dei 4 Non Blondes - in una sequenza di condivisione e partecipazione che riempie il cuore (chiaro omaggio alla scena più bella di Magnolia di Paul Thomas Anderson). 

Con il proseguire delle puntate si capisce che il contesto fantascientifico è solo un pretesto per parlare di ben altro: del bisogno umano di contatto fisico e di comunicazione; della determinazione che si mette in campo per ottenere un'occasione di vita migliore; che si è esseri umani al di là del colore della pelle, della religione e della cultura d'origine; e poi dell'amore, l'amore che ci travolge e ci fa rinascere uomini migliori. 

In Sense8 ci sono spesso due persone che sedute l'una accanto all'altra parlano finendo per confidarsi paure, segreti o incontri fortunati. Eppure non l'ho mai trovato così appassionante e adrenalinico come quando avviene un dialogo tra gli otto protagonisti. Al di là delle scene d'azione (girate sempre con occhio di riguardo) e dei combattimenti coreografati con mano esperta l'adrenalina e l'interesse scorre soprattutto quando i protagonisti dialogano tra loro nello stesso luogo pur essendo lontani chilometri e chilometri di distanza. 

Tra un'incomprensione e un mistero si finisce per emozionarsi per una cosa apparentemente semplice come un padre che all'aeroporto accoglie la figlia che non vede da anni con una dolce canzone; oppure si sorride, mentre il cuore piange, quando un uomo sofferente telefona all'amore della sua vita e in lacrime gli comunica "Ho perso una pantofola... l'idromassaggio non funziona"; arrivando a provare uno strano magone durante gli ultimi minuti finali. 

Per la puntata finale i cari fratelli Wachowski sfoderano una puntata solidissima che ha tutte le carte in regola per essere la migliore dell'intera stagione: ti gonfia i muscoli per l'adrenalina e ti riempie il cuore di sentimento. Io agli 8 mi ci sono affezionato. Davvero. Sono una combriccola splendidamente assortita e non ho dubbi che la seconda stagione saprà riservarci grandi sorprese e altrettanti pericoli da affrontare. Ma quando si è un Sense8 non si è mai soli e un ostacolo incontrato sul cammino si rivela essere molto più semplice da superare. 

martedì 15 dicembre 2015

The Leftovers: parole sparse su una grande serie Tv che non svanirà nel nulla

★★★★

E' la prima volta che parlo di una serie Tv e il motivo per cui non ne ho mai parlato finora è riscontrabile nel semplice fatto che detesto scrivere cinque o sei paragrafi su Breaking Bad, Game of Thrones o Daredevil quando capolavoro, mediocrità e sorpresa-spacca-mascella li descrivono rispettivamente in maniera più esauriente rispetto a una recensione dettagliatissima e logorroica. Con The Leftovers è successa una cosa che mi è capitata assai raramente: sentivo costantemente il bisogno di parlarne, scriverne, discuterne, gioire della decisione delll'HBO di rinnovarla e intristirmi allo stesso tempo per il fatto che la terza stagione sarà anche l'ultima, e il risultato è stato questo post per nulla esauriente, soprattutto banale, stando attento a non spoilerarvi nulla, che ha un unico semplice scopo ovvero quello di consigliarvene caldamente il recupero. 

Il 14 ottobre (di un anno imprecisato) all'improvviso sparisce nel nulla il 2% della popolazione mondiale, circa 140 milioni di persone. L'accaduto è quantomai inspiegabile: c'è chi ipotizza a un esperimento dei governi, chi afferma sia avvenuto il Rapimento della Chiesa (dottrina basata sull'Apocalisse secondo cui Gesù scenderà sulla Terra per portare con sé i cosiddetti nati di nuovo) o chi pensa semplicemente sia un evento mistico. Nella cittadina di Mapleton (dove si svolgono le vicende della prima stagione) sono sparite oltre cento residenti e qui, chi è rimasto, tenta di vivere in un mondo scosso, impaurito, bisognoso più che mai di qualcosa in cui credere. 

A Mapleton iniziamo a fare la conoscenza del capo della polizia Kevin Garvey (Justin Theroux), forse il poliziotto più sfortunato e scalcagnato che sia mai apparso sul piccolo schermo: istintivo, spesso insicuro, oltre a dover aver a che fare con una complicata figlia adolescente, Jill (Margaret Qualley), il cui sorriso non è mai invitato sul suo pallido volto, è tormentato da strani sogni e visioni inquietanti che gli fanno temere di finire come suo padre: matto e rinchiuso in un istituto psichiatrico. Kevin ha anche un altro figlio, Tom (Chris Zylka), che ha lasciato il college per seguire un uomo misterioso chiamato Santo Wayne (Wayne Gilchrest) il quale, si dice, riesca a eliminare il dolore delle persone soltanto abbracciandole. 

La cittadina di Mapleton è piagata dalla presenza di una specie di setta, i Colpevoli Sopravvissuti, i cui membri sono facilmente riconoscibili: vestono di bianco, fumano una sigaretta dietro l'altra, si appostano a coppie di fronte alle case dei residenti, prendendosi ingiurie, improperi e spesso qualche pugno o calcio, e soprattutto non parlano mai; per comunicare utilizzano carta e penna. A capo di questa organizzazione c'è Patti Levine (una straordinaria Ann Dowd). 

Per ultimi abbiamo il reverendo Matt Jamison (Chrisopher Eccleston), una volta figura di spicco della comunità, ora ridotto a officiare messa davanti a una schiera di fedeli sempre più misera e a distribuire nel tempo libero volantini recanti le malefatte delle persone scomparse a Mapleton al fine di dimostrare che, non essendo affatto dei santi, l'implicazione religiosa non c'entra affatto con la sparizione. Ha una moglie, Mary, che da quel 14 ottobre non è più autosufficiente, ma Matt si prende cura di lei con un amore commovente. Infine abbiamo Nora Durst (Carrie Coon) il cui marito e i due figli sono scomparsi nel nulla mentre era in cucina: lavora per il governo nel Dipartimento dell'Improvvisa Dipartita e si porta dentro un dolore così pesante che la rende sarcastica e spesso cinica. In realtà è una donna forte, determinata, con una grande paura: affezionarsi di nuovo a qualcuno e perderlo. 

The Leftovers è un dramma tratto dal libro di Tom PerrottaSvaniti nel nulla, e adattato per la televisione da quest'ultimo assieme a Damon Lindelof che tutti conosceranno per essere uno degli sceneggiatori e creatori della serie Lost (di cui non ho mai visto una sola puntata forse perché mi hanno violentemente spoilerato il finale?). Questo gioiello di serie Tv non riflette soltanto sulla religione, ma vuole indagare il modo in cui reagiscono le persone dopo la scomparsa di un proprio caro e la conseguente elaborazione del lutto. Spesso, per il dolore insopportabile, ci si aggrappa a qualsiasi guru o eletto, non importa che sia colui che ci libera dal dolore con un abbraccio o chi dall'impronta di una mano è in grado di predirci il futuro, al fine di rivedere la vita sotto un'altra luce dopo le vicende che ci hanno messo in ginocchio. 

All'inizio consideravo la regia troppo piatta e anonima, poi ho capito che il dolore, per essere ripreso, non ha bisogno di chissà quali carrellate o piani sequenza, ma ha necessità di prove attoriali forti, che si spingano oltre a una semplice e facile espressione facciale, che facciano parlare il corpo e la postura, e il cast di attori di The Leftovers compie questo sforzo eccellendo in tutto: Christopher Eccleston, Justin Theroux e Carrie Coon sono superbi e Ann Dowd in due scene fa venire i brividi per quanto è brava; per non parlare dell'interpretazione sentita e fisica di Wayne Gilchrest - il cui personaggio è un omaggio a Il miglio verde - mai citato da nessuna parte. 

Se la prima stagione poneva tanti di quegli interrogativi da esasperare il pubblico nella seconda stagione il mio atteggiamento è stato decisamente diverso: ho smesso di desiderare delle risposte, ho smesso di alambiccarmi tanto Damon Lindelof & Co. non mi avrebbe mai accontentato e mi sono goduto il viaggio che si è rivelato essere tra le cose più belle viste quest'anno. Mi sono fidato di quest'uomo e del suo valido team di sceneggiatori e sono stato ripagato. 

Infatti è durante la meravigliosa seconda stagione di The Leftovers (perfetta sotto ogni aspetto) che vi imbatterete in non uno bensì due tra gli episodi più belli che possiate vedere in tutta la vostra vita. Due episodi che possono senza problemi essere accostati ai mostri sacri quali Caccia al russo de I Soprano (ne cito uno, ma sono dal primo all'ultimo dei capolavori), La mosca di Breaking Bad (idem come prima), Quattro casi di Dr. HouseIl segno dei tre di Sherlock e il Christmas Special di Black MirrorVorrei tanto raccontarveli, questi due, rendervi partecipi della potenza delle immagini che vedrete (spero), di una sceneggiatura assolutamente magistrale che ammirerete in ogni sua sfaccettatura, non dimenticando le lacrime che verserete nel primo e le espressioni di stupefatta incomprensione che avrete durante il secondo. Ma è solo arrivati all'episodio finale di The Leftovers che in due momenti avrete gli occhi rotti dal pianto come nel finale di Una storia vera di David Lynch. Quella frase, che viene pronunciata prima che lo spettatore sia lasciato a contemplare i titoli di coda tra le lacrime, davanti a quel viso stravolto che si è meritato tutte le seconde possibilità che la vita può riservare, è soltanto il miglior finale che si potesse sognare per una grande serie come questa. 

venerdì 11 dicembre 2015

Star Wars: Episodio III - La vendetta dei Sith (2005)

★★★½

Sono passati tre anni da quando il Conte Dooku (Christopher Lee) è riuscito a fuggire dalla spada laser del Maestro Yoda e la Repubblica Galattica ha subito danni non da poco per di più il Conte, con la complicità del generale Grievous, il comandante cyborg dei droidi, riescono a rapire il Cancelliere Supremo Palpatine (Ian McDiarmid). Anakin Skywalker (Haydeen Christensen) e il suo maestro Obi-Wan Kenobi (Ewan McGregor) sono incaricati di salvarlo. La Repubblica però è in grave pericolo e quest'ultimo non arriva di certo dal di fuori bensì dal di dentro. Chi sta tramando affinché i Jedi escano sconfitti e la Repubblica cada nelle mani dei Sith?

Diciamo subito senza indugio così il dente ce lo togliamo una volta per tutte: La vendetta dei Sith fa parte della saga di Star Wars ed è degno di essere accostato alla trilogia galattica il cui mito e la cui epica non si è ancora estinta (e mai si estinguerà). Qui George Lucas, accorgendosi di avere per le mani la saga che lui stesso ha creato, si ricorda improvvisamente di volerle un mondo di bene e questo commovente sentimento riesce a infonderlo nel film facendo, finalmente, emozionare il pubblico. Sì, perché La vendetta dei Sith ha un elemento che gli altri due film non hanno: l'emozione. Porta con sé un carico di emozione lucente in un'atmosfera di buio presagio unendo tratti inaspettatamente violenti e cruenti a momenti di commozione sincera e nostalgico sentimento. 

Si scopre in questo film che il passaggio definitivo di Anakin Skywalker al Lato Oscuro della Forza avviene principalmente per amore. Dopo aver avuto una tragica visione in cui Padme moriva durante il parto il giovane allievo di Obi-Wan Kenobi si tormenta pensando a un modo per evitare che questo accada: Palpatine (che è in realtà il malvagio Darth Sidius, l'avevano capito tutti tranne i Jedi), da sempre affascinato dalla sua forza, lo incanta, conducendolo al Lato Oscuro con la promessa di poter salvare Padme dalla triste fine a cui sembra essere ormai destinata. 

Il duello tra Anakin e Obi-Wan è uno dei momenti più emozionanti di tutta la saga e assistere impotenti allo sterminio dei cavalieri Jedi, così come udire Yoda "Fallito ho, in esilio andare io devo" per non essere riuscito a fermare Palpatine, rende ancora più consapevole nonché ricca, per certi versi, la visione della trilogia canonica. E' come se Lucas aspettasse fin dal primo terribile episodio di poter dirigere questo film e raccontarci di come Anakin divenne Darth Vader, uno dei villain più iconici della storia della settima arte. 

Lo devo ammettere: a me il finale mi ha fato scendere una lacrima. Sarò un piagnone, ma pensare a Yoda in auto-esilio, l'ordine dei Jedi estinto, Obi-Wan vivere solitario su Tatooine con il compito di vegliare sul piccolo Luke il quale non vivrà mai la sua infanzia assieme a sua sorella Leila, l'ultima scintilla di bene ristagnare per anni nell'oscurità dell'anima di Darth Vader, la Repubblica schiacciata sotto il tacco appuntino dell'Impero, mi fa venire un magone indescrivibile. J. J. Abrams non commettere oscenità, te ne prego, ma fai tesoro di ogni cosa buona di questa saga e non farti tentare dal Lato Oscuro. Che la forza sia con te e con tutti noi. 

mercoledì 9 dicembre 2015

Star Wars: Episodio II - L'attacco dei cloni (2002)

★★

Sono passati dieci anni dalla rivolta della Federazione dei Mercanti la quale aveva messo in ginocchio il pianeta Naboo e ora Amidala (Natalie Portman), dopo aver lasciato la corona a un'altra, è diventata una rispettata senatrice nel mirino però di un nemico dietro le quinte che tenta più volte di mettere fine alla sua vita. Mentre La Repubblica è minacciata dal movimento dei separatisti capeggiati dal misterioso Conte Dooky (Christopher Lee) il giovane Anakin Skywalker (Hayden Christensen) non è più quel bimbo con la scodella bionda sulla testa, ma è un ragazzo sempre accigliato e cresciuto sia fisicamente sia nell'arte dei cavalieri Jedi grazie alla supervisione del suo maestro Obi-Wan Kenobi (Ewan McGregor). 

Se La minaccia fantasma era piatto che neanche un lanciatore professionista sarebbe stato capace di fargli prendere il volo con un lancio ben piazzato questo suo successore, intitolato L'attacco dei cloni, è ancora più piatto del precedente nonostante la battaglia finale dia un po' di spinta a un film che ti fa sentire in continuazione quel tremito nella forza che non è mai troppo piacevole percepire. 

Che George Lucas apprezzi le soap opere credo che sia chiaro a tutti - me lo immagino nel suo ranch imperiale struggersi di fronte alle vicende de Il segreto - e anche in questa prequel trilogy il suo vizietto gli ha fatto inserire una storia d'amore povera e maldestra qual è quella tra Anakin e Amidala: una storia d'amore ricolma di cliché i cui dialoghi schiferebbero pure coloro che si occupano di scrivere i biglietti dei baci Perugina. Lui è un futuro cavaliere Jedi (non possono essere legati sentimentalmente) e lei è una senatrice della Repubblica. Montecchi e Capuleti della povera galassia. Lei che gli sbatte le grazie al vento con sadica noncuranza e lui che sbava e non riesce a dormire la notte. 

Le loro scene su quel lago di Como, con annessa villa di George Clooney fatta al computer, sono insostenibili tanto che non ci si rende più conto di che film si stia guardando. Per metà del film assistiamo a questa sequela di zuccherosità artificiale inframmezzata dalla ricerca di un pianeta cancellato dagli archivi su cui poi scopre la presenza di un esercito di cloni ordinato da un maestro Jedi più di duecento anni fa. 

Fortunatamente per noi il ruolo di Jar Jar Binks viene ridimensionato, ma, paradossalmente, è lui che, conferendo al Cancelliere Supremo Palpatine il potere di disporre di un esercito in seno alla Repubblica, aiuta incoscientemente il processo inesorabile verso la formazione dell'Impero Galattico.

Sono solo due gli unici momenti validi di questa pellicola ed entrambi hanno un comune denominatore: Christopher Lee. Seppur appaia per la maggior parte del tempo un po' imbolsito e spaesato come il Confused John Travolta è lui il protagonista di duelli difficili da dimenticare come quelli tra il Conte Dooku e Obi-Wan, prima, e dopo con il Maestro Yoda. Vedere quest'ultimo duellare è stata sicuramente una sorpresa, si capisce perché sia il maestro dei maestri, ma i gesti di Lee sono teatrali, quasi regali: come sguaina la spada laser prima di affrontare Obi-Wan, con quell'ampio gesto d'altri tempi, o come quando compie, sempre con la spada, il saluto cavalleresco a Yoda prima di affrontarlo. Ancora siamo lontani dai fasti dei tre Star Wars: l'episodio finale di questa prequel trilogy saprà sorprendere o finirà in un bagno di critiche?
To be continued...

lunedì 7 dicembre 2015

Star Wars: Episodio I - La minaccia fantasma (1999)

½

La potente Federazione dei Mercanti, dopo la tassazione sulle rotte commerciali nella Repubblica Galattica, organizza un blocco navale sul pianeta Naboo governato dalla regina Amidala (Natalie Portman). Il Cancelliere Supremo invia il maestro Jedi Qui-Gon Jinn (Liam Neeson) e il suo giovane padawan Obi-Wan Kenobi (Ewan McGregor) per negoziare con i Vicerè della Federazione la fine del disastroso embargo. Ma una volta giunti sulla loro nave ammiraglia i due cavalieri vengono aggrediti, ma riescono a salvarsi senza troppi problemi. Nel loro peregrinare in giro per lo spazio alla ricerca di aiuto incontreranno Jar Jar Binks, che li condurrà nella città sottomarina di Otoh Gunga, fino a raggiungere il remoto pianeta desertico Tatooine dove incontreranno un bambino molto speciale: Anakin Skywalker. 

Lo dice bene il titolo: Minaccia fantasma. E' che se fosse fantasma, questa minaccia, almeno sarebbe impossibile vederla, invece è, purtroppo, ben visibile ai nostri occhi i quali verranno presto martoriati dalla visione del primo capitolo della nuova trilogia di Star Wars. Dopo aver visto Il ritorno dello Jedi, che tolti quei maledetti Ewok è la degna conclusione di una saga epica, guardarsi consapevolmente La minaccia fantasma è come ingurgitare uno yogurt scaduto da mesi dopo aver gustato una bella fetta di torta sacher: ci si ritrova con lo stomaco devastato. 

Con questa nuova trilogia l'intento di George "C'ho i soldi che mi escono dal buco del c**o" Lucas è quello di ampliare il mondo creato da lui stesso e, nello specifico, di andare a narrare le origini del malvagio Darth Vader, uno dei villain entrati maggiormente nell'immaginario collettivo, e lo fa con un primo film destabilizzante per tutti coloro che hanno visto e imparato ad amare quei film che dal '77 all'83 hanno iniziato a seminare nel mondo del cinema e nella mente degli spettatori il seme della conquista che, negli anni successivi con la crescita delle nuove generazioni, è cresciuto tanto da mettere radici colonizzatrici così potenti da far incassare all'imminente Star Wars VII già cinquanta milioni di dollari grazie ai biglietti in prevendita. Con queste premesse non si fa fatica a credere a un incasso globale superiore al miliardo (o anche due). 

La minaccia fantasma è un film per bambini: ci sono i mostriciattoli (non più pupazzetti pelosi) realizzati al computer (una vetusta CGA) come i Viceré della Federazione dei Mercanti (la cui parlata ha una cadenza russa), i Gungan di cui fa parte il detestabile e irritabile Jar Jar Binks il quale parla un misto di francese, spagnolo, tedesco, inglese e veneziano, i costumi bislacchi della regina Amidala, il volto truccato e la spada laser figa dell'inutile Darth Maul, le corse degli sgusci sul pianeta Tatooine e ovviamente il piccolo accigliato e logorroico, e nato dall'incontro della madre con lo spirito santo, Anakin Skywalker il cui padre sarà stato sicuramente una versione aliena di Vittorio Staffelli o Salvo Sottile. 

Il problema non è nemmeno tanto il fatto che sia un film per bambini (Lucas voleva avvicinare le nuove generazioni al mondo di Star Wars, è capibile), ma è il ritmo disastroso che rende La minaccia fantasma insostenibile senza contare scene assurde come la morte di Qui-Gon Jinn: ma i Jedi quando vengono colpiti dalla spada laser non svanivano all'istante? Boh. Quando i due Jedi atterrano su Tatooine il film si arena come una balenottera smarrita e neanche una secchiata d'acqua (rappresentata dal'ultima mezz'ora di azione) gettata sulla carcassa riesce a trarla in salvo. Il film peggiore della saga senza se e senza ma.  
To be continued...

venerdì 4 dicembre 2015

Star Wars: Episodio VI - Il ritorno dello Jedi (1983)

★★★½


Han Solo (Harrison Ford), prigioniero della grafite, è nelle mani di Jabba the Hutt. Un Luke Skywalker (Mark Hamill) più maturo e consapevole del nemico da affrontare per rendere la galassia finalmente libera dal giogo dell'Impero ha un piano per liberarlo con la complicità di Leila (Carrie Fisher), Chewbecca e Lando Calrissian (Billy Dee Williams). Nel frattempo una nuova Morte Nera è stata commissionata dall'Imperatore Palpatine (Ian McDiarmid) e grazie alle direttive del suo fedele Darth Vader è in fase di completamento. La resa dei conti è ormai vicina. 

Siamo giunti alla fine di questa prima retrospettiva dedicata a Star Wars (ahimè ve toccherà sorbirvi pure la prossima settimana la mia - non richiesta - opinione sulla prequel trilogy) con Il ritorno dello Jedi il quale chiude il cerchio iniziato con Una nuova speranza e continuato con L'impero colpisce ancora e che molto preso si riaprirà con l'uscita nelle sale dell'attesissimo VII capitolo intitolato Il risveglio della Forza. 

Il film è molto più divertente e godibile dei precedenti, questo è innegabile. Pur essendo il secondo film il mio preferito, Il ritorno dello Jedi ha un inizio decisamente più travolgente con i nostri eroi intenti a strappare Han Solo, divenuto un blocco di grafite, dagli arti verminosi del potente Jabba the Hutt e una parte finale che come intensità rivaleggia con quella del suo predecessore. Luke viene tentato dal Lato Oscuro della Forza che è simboleggiato da Palpatine, il quale esercita su di lui la sua forza, e infine si ha il percorso riabilitativo della figura di Darth Vader (Anakin Skywalker) che, riscoprendo di avere ancora una gemma di bene in quell'albero oscuro che dentro la sua anima ha messo radici, salva suo figlio dalla morte mettendo fine alla vita del malvagio Imperatore. 

Il ritorno dello Jedi sarebbe il mio preferito se non ci fossero quelle palle di pelo degli Ewok. Santo Cielo, Lucas, capisco che da bambino tua mamma ti ha riempito la stanza di peluche, ma perché ce li dovevi mettere per forza nell'ultimo film di una delle saghe più importanti della storia della settima arte? Per attirare frotte di bimbi al cinema? Ma allora perché illuderli prima di essere entrati in anticipo nella pubertà vedendo Leila (s)vestita da schiava e poi dar loro in pasto quegli orsacchiotti guerriglieri rigettandoli nell'innocenza dei pensieri da bambino? Mira il dito: non si fa, George. Non si fa. 

Capisco che "il film è mio e ci metto tutti i pupazzi che voglio", ma permettimi di dirti, caro George, du' palle: ho sopportato la pedanteria di D-3BO e i bip-bip di C1-P8, curato l'otite fattami venire dai lugubri versacci di Chewbecca e come se non bastasse devo pure vedere che i caccia dell'Alleanza Ribelle prendono gli ordini militari da un Ammiraglio pesce e che la luna boscosa di Endor è abitata dai peluche della Pupa? Oh, santo cielo, davvero. 

E' come se dopo le atmosfere dark e oscure del precedente capitolo si fosse voluto ritornare in parte a quell'innocenza che caratterizzava Una nuova speranza aggiungendo elementi più innocui come gli Ewok e aggiungendo alla soap Skywalker un ultimo tassello: Leila è la sorella di Luke. E lei ha anche il coraggio di dire, quando lo viene a sapere, che "l'ho sempre saputo". Risate dagli spalti, la folla è in delirio. Infatti se lo sai baci tuo fratello sulle labbra come se nulla fosse, normale amministrazione, vero? Nonostante queste boutade Il ritorno dello Jedi è la degna conclusione di una saga epica (l'uomo in gran parte responsabile dell'assegnazione dell'aggettivo "epica" è senza ombra di dubbio John Williams il quale si è guadagnato il paradiso con la sua immortale colonna sonora così come Ennio Morricone se l'è guadagnato con La febbre dell'oro e il Deborah's Theme) che avrebbe potuto concludersi con un grado di godimento assai maggiore, ma, visti gli scempi lucasiani futuri, come si dice: prendiamo e portiamo a casa con soddisfazione.
To be continued... ancora, sì...

mercoledì 2 dicembre 2015

Star Wars: Episodio V - L'impero colpisce ancora (1980)

★★★★

Darth Vader è riuscito a sopravvivere alla distruzione della Morte Nera da parte di Luke Skywalker (Mark Hamill) e ora l'Impero è deciso a distruggere una volta per tutte le ultime forze ribelli le quali si sono rifugiate sul freddo pianeta Hoth. Qui Leila (Carrie Fisher), Han Solo (Harrison Ford) si ritroveranno a fronteggiare nuovamente le forze imperiali mentre Luke, dopo una sanguinosa battaglia, decide di seguire le indicazioni della visione di Obi-Wan Kenobi e di dirigersi sul pianeta Dagobah dove risiede Yoda, il grande maestro dei cavalieri Jedi, che lo istruirà a dovere al fine di affrontare Darth Vader la cui vera identità sarà come una fucilata per il giovane Skywalker. 

Iniziamo subito con le certezze: L'impero colpisce ancora è il miglior capitolo della saga nonché il mio preferito (avrebbe potuto esserlo il successivo se solo non fosse stato per una determinata scelta); i toni leggeri e innocui del primo film sono stati abbandonati preferendo al loro posto toni oscuri, dark e maturi con conseguenti scene di difficile dimenticanza; si nota un cambio di rotta positivo nella sceneggiatura la quale, oltre ad avere un piglio più deciso, offre più riflessioni sul discorso della Forza e inserisce un altro personaggio diventato un cult ovvero Yoda che in particolare modo lui parlare e al giovane Luke maestro lui sarà; si scopre che il malvagio Darth Vader prende gli ordini direttamente dall'altrettanto malvagio Imperatore Palpatine il quale darà il meglio/peggio di sé ne Il ritorno dello Jedi; uno dei colpi di scena più memorabili della storia è contenuto in questo film; ai due insopportabili droidi si aggiunge colui che mi fa venire in una botta sola l'esaurimento nervoso e l'otite: Chewbecca. 

Le due scene più belle de L'impero colpisce ancora non sono quelle bellicose su Hoth, pianeta completamente innevato con picchi ghiacciati, dove le forze Ribelli si ritrovano a fronteggiare i camminatori (AT-AT) dell'Impero, e neanche il tradimento di Lando Carissian ai danni di Han Solo e Leila sulla stazione aerospaziale tra le nuvole, ma sono quelle che riguardano gli allenamenti di Luke sotto la supervisione di Yoda e l'atteso duello tra Darth Vader e Skywalker. Quando Luke, consigliato dal suo maestro, si addentra nella parte più oscura della foresta e affronta una visione di Darth, il giovane riesce a sconfiggerla decapitandola. Solo a terra il casco rivela in realtà essere abitato dal volto di Luke. Nel frattempo sul volto di Yoda, rimasto seduto su una radice, si dipinge un sentimento di preoccupazione misto a orgoglio e con una punta di amarezza. In quel momento Yoda diventa forse l'attore più valido della pellicola. 

E' Chewbecca ad essere il problema e non, come avreste potuto immaginare, C1-P8 e D-3BO: ma come diamine si fa ad essere secondi ufficiali e a comunicare con le Forze Ribelli emettendo solo dei lugubri ululati? Non si poteva trovare un modo per rendere il personaggio un po' più utile e cresciuto rispetto al precedente capitolo? Chissà quali interessanti conversazioni Han Solo ha avuto con questo cugino Itt geneticamente modificato. 

Il vecchio George "Amante delle soap e dei pupazzetti" Lucas all'inizio de L'impero colpisce ancora mostra ancora indecisione su a chi Leila debba concedersi - prima bacia il Luke redivivo, illudendolo come un pirla, e poi bacia appassionatamente Han - facendo passare il giovane Skywalker per il friendzonato di turno il quale può consolarsi con una mano nuova di zecca, dopo l'amputazione a opera di Darth Vader, che gli sarà molto utile a, insomma ci siamo capiti, no? Ma gli sceneggiatori da lui ingaggiati (Leigh Brackett, morta prima della revisione completa richiesta da Lucas, e Lawrence Kasdan) hanno dato nel complesso più spessore psicologico ai personaggi, soprattutto Kasdan, limitando le gag, approssimando la storia d'amore, ma aumentando, ahimè, i versacci insopportabili di Chewbecca. 

Ogni volta che guardo Star Wars finisco col desiderare di discutere se sia meglio L'impero o Lo Jedi Randall di Clerks, l'unico uomo sulla faccia della terra che ha tirato fuori il discorso degli operai e degli appalti riguardanti la costruzione della seconda Morte Nera lasciandomi stupefatto come un baccalà, ma poi finisco col rimanere della mia idea: L'impero colpisce ancora è un film oscuro, addirittura politicamente scorretto con i suoi personaggi, sul quale un velo di profondità è caduto come manna dal cielo andando a discostarsi in parte dal primo innocente (e più ingenuo) Episodio IV. 
To be continued...