martedì 25 agosto 2015

Invisible Monsters di Chuck Palahniuk


Questa non è una recensione che fa "e poi, e poi, e poi" ficcatelo bene nella testa. Non sarà affatto lineare, passerà di palo in frasca allegramente come una bambina che gioca ai giardinetti mentre la mamma si fa la manicure o spettegola con le amiche. Se vuoi una critica letteraria, guarda, prendi per mano chiunque tu abbia vicino, e recati in un posto diverso da questo in cui stai curiosando ora. Se ne vuoi una profonda allora fai prima a guardare in fondo a un pozzo. Se invece vuoi un qualcosa di superficialmente incrinato che ti dica cosa diamine leggerai, senza riflessioni troppo cariche di veli di chiffon coprenti, beh, allacciati la cintura, e salta con gli occhi dopo il punto. 

Vai a quando leggo l'incipit sul treno mentre è fermo a una delle tante stazioni lungo il tragitto che devo percorrere: "Ecco dove dovresti essere, a un grande ricevimento di nozze in una enorme villa di West Hills, composizioni floreali e funghi farciti sparsi per tutta la casa. Questa si chiama ambientazione di scena: dove ci sono tutti, chi è vivo, chi è morto. Questo è il grande momento di Evie Cottrell al suo ricevimento nuziale. Evie è in piedi a metà della grande scalinata nell'atrio della villa, nuda dentro quel che rimane del suo vestito da sposa, col fucile ancora in mano. Quanto a me, io sono in piedi, ma solo fisicamente, in fondo alle scale. La mia mente chissà dov'è". So dov'è la mia, però: all'inizio di Kill Bill. Nancy Sinatra mi canta Bang Bang. Il treno riparte. Metto via il libro. So che l'occhio in copertina continua a fissarmi da dentro la borsa di carta. 

Torna a quando ho acquistato Invisible Monsters di Chuck Palahniuk. 13 agosto. Feltrinelli Express. Stazione Milano Centrale. Quaranta minuti a disposizione prima di prendere la Freccia che mi porti sempre più vicino all'unica persona per la quale il cuore mi batte così forte (il così è accentuato più dell'aggettivo). Pesante trolley a seguito che spingo manco fosse un mulo recalcitrante tra le corsie della libreria spoglia di umane genti. Su di un tavolo, tra un Hemingway (sopravvalutato) e un Kerouac (leggerò Sulla strada quando ci starò sdraiato come una striscia pedonale) spicca lui, Palahniuk, "quello di Fight Club", il cui Cavie ho abbandonato dopo una settantina di pagine. Tutti si meritano una seconda chance, no? Afferro il libro con la testa fasciata e l'occhio truccatissimo in copertina che mi fissa, prendo al volo un Philip K. Dick che mancava alla mia collezione, pago, corro fuori, e arrivato al binario salgo sulla Freccia sperando sia scagliata a tutta velocità da quell'elfo con i capelli alla Lady Gaga normal-style di cui ora mi sfugge il nome. 

Ora vai alla protagonista di questa storia: Shannon McFarland. Una modella bellissima che ha tutto: un fidanzato (Manus), un lavoro in cui è fenomenale e una migliore amica (Evie). Un giorno però mentre è in auto gli arriva dritta in faccia una fucilata che le porta via la mandibola. Mutilata per sempre. Incapace di parlare se non per frasi incomprensibili tipo "fghrt ghriwi otyrsn". Come se non bastasse il fidanzato, dopo aver visto in che condizioni è ridotta, la molla, mentre la migliore amica ne approfitta subito per "prendere in prestito" i suoi abiti, sformandoli tutti, mostrandosi peraltro distaccata come un obiettivo fotografico. Dammi un volto interrogativo. Flash. Chi cazzo l'ha ridotta così? Flash. 

Torna indietro ai momenti in cui sono sulla Freccia. Prima classe. Niente aria condizionata. Ci vogliono morti? A ogni stazione tiro fuori dalla borsa il libro e ne leggo uno stralcio. Che stile, questo Chuck. Sembra che voglia ballare un tango scatenato con il lettore. Lui che ti si abbarbica addosso come un polpo o come centinaia di anguille elettriche. Intanto il treno ha 34 minuti di ritardo. "Trenitalia è così invidiosa di noi che non ci vuole far incontrare" dice il mio amore. Ehy, Trenitalia. Ho un Palahniuk nella mano destra e non ho paura di usarlo. 


Vai assolutamente alla suprema Principessa Brandy Alexander che Shannon incontra durante la sua degenza in ospedale: una transgender a cui manca l'ultima operazione per dare all'anima femminile il suo corpo adeguato. E così favolosamente favolosa che, dopo averle scritto dell'incidente che l'ha orribilmente sfigurata, le risponde dicendo "cara, la tua calligrafia è terribile". Dammi ammirazione. Flash. Dammi un on the road folle con due protagoniste (a cui si aggiunge un certo Seth) che trafugano i medicinali dalle ville in vendita, parlano della vita, di Dio, delle scelte che farebbero le persone messe di fronte a un viaggio o a un set da salotto mentre le loro identità sventolano dal finestrino come lunghe sciarpe o bandiere di paesi saccheggiati. Beh, ce l'hai aperto davanti agli occhi. Flash.


Quando scopro chi è veramente Seth. Chi è veramente la Principessa Brandy Alexander. La verità su tutti e nessuno. Non è Shannon ad aver ricevuto la fucilata, ma sono io, io la vittima di Palahniuk, che cerca a terra i denti e i frammenti sanguinolenti franati dalla faccia con la frenesia di un sarto a cui gli si è staccata una spallina due minuti prima della consegna dell'abito. Questo libro è la leggendaria pistola fallace del film The Mexican: quando premerete il grilletto la pallottola vi si conficcherà nel cranio. 

Vai all'apparire che surclassa l'essere. Fatto? Bene, ora immagina l'apparire come il vestito haute couture completamente in fiamme addosso al corpo attentamente modellato di una ragazza da copertina di Vogue, Glamour, Marie-Claire ed Elle all'interno di un set stile Hollywood la quale è abituata a prendere gli ordini da un fotografo che gli dice in continuazione che cosa deve provare di fronte l'obiettivo affamato di pose. "Puoi mantenere un sorriso autentico solo per un po', dopodiché è solo denti". Fatto anche questo? Molto bene, sei come la modella, hai visto? Sta di fatto che se ti sforzi un po' puoi vedere in un angolo un po' in ombra del set un tipo che se la ride mentre ripone nella borsa l'alcol e i fiammiferi. Non devo dirti chi è. Lo sai già. 

"Quando capisci" dice Brandy "che quella che racconti è solo una storia. Che non sta più succedendo. Quando realizzi che la storia che stai raccontando sono solo parole, quando puoi sbriciolarla e gettare il tuo passato nel secchio dell'immondizia" dice Brandy, "allora riusciremo a capire chi sarai". E tu, che sei arrivato fin qui grazie a un'iniezione endovenosa di pazienza, chi diamine sei? Quale esecrabile azione compiresti pur di ricominciare da capo una nuova vita? Ma soprattutto: ne avresti il coraggio? Dammi un altro libro come Invisible Monsters. Flash. Dammi Palahniuk che mi deve restituire la mandibola. 

venerdì 21 agosto 2015

Le correzioni di Jonathan Franzen è un libro bellissimo, vero?


"Qualcosa di terribile stava per accadere, lo si sentiva nell'aria."
"Stavo per mettermi a leggere Le correzioni. E le gonadi 
non sarebbero mai più state le stesse". 

Sono piuttosto sicuro quando affermo che Jonathan Franzen è una delle persone che più detesto assieme a Steven Spielberg, Lars (Von Caghé) Trier e Barbara d'Urso. Guai a toccarlo però. "Come osi toccare l'unico scrittore che ha resuscitato il romanzo fino a quel momento morente?", "Il più grande scrittore contemporaneo". Eh, certo, come se Roth, DeLillo, McCarthy, Pynchon, McEwan, Busi fossero stati lì a grattarsi gli zebedei sotto l'ombrellone per tutto il tempo in cui il piccolo Franzenino nasceva, cresceva e correva senza purtroppo però schiantarsi contro un muro. Nonostante la mal sopportazione che riverso su quel suo viso da radical snob altezzoso mi sono preparato alla lettura de Le correzioni in una prima edizione un po' consunta ma neanche troppo e in pochi giorni, dopo vari mal di stomaco, sbuffi annoiati stile treno a vapore, ma-li-mortacci-tua, ho concluso la lettura di tal pomposo volume

Il suo romanzo che l'ha - ingiustamente - consacrato nell'Olimpo dei (veramente) grandi scrittori americani, Le correzioni (edito Einaudi, traduzione di Silvia Pareschi) - considerato tutt'oggi, dopo quattordici anni dalla sua pubblicazione, un "capolavoro della letteratura americana" - è tremendamente pedante, noioso, tracima dettagli inutili dai bordi della pagine fittissime, e sopra ogni cosa inconcludente. Anche quando si arriva alla 599esima pagina - perché sì, cari lettori, Franzen, per dire ciò che Lev Tolstoj aveva scritto in due righe all'inizio di Anna Karenina, ci impiega quasi seicento pagine stoppose in cui i personaggi, i membri della famiglia Lambert, ne escono per quello che sono in realtà: fili di fieno su cui il "funambolo del nulla" cammina con la cieca convinzione di star compiendo un'impresa da record - ci si ritrova a esclamare col volto più stremato mai sfoggiato "e allora? Tutto qui quello che sai fare, Jonathino?". 

La famiglia Lambert è la peggior famiglia della letteratura in cui mi sia imbattuto in anni di lettura. Il capofamiglia, Alfred, ora affetto da una forma iniziale di Parkinson, è stato nella vita un ingegnere in una compagnia ferroviaria dedito al lavoro e contrario all'ozio. Un uomo riservato - "il più grande favore che si potesse farli era rispettare la sua privacy" -, discepolo di Schopenhauer, (perché l'uomo intelligente deve avere a che fare con gli stupidi?), incapace di riversare affetto fisico sulla moglie Enid e i figli. La moglie invece è lo Chanel n°5 della più bieca borghesia: nasconde sotto cumuli di discorsi la sua insoddisfazione sessuale; la classica mamma che avrebbe voluto che i figli assomigliassero tutti a lei o che almeno fossero l'esemplificazione dei sani valori della famiglia americana; Una donna fastidiosa come un moscone che sfodera il suo entusiasmo solo per delle piramidi di gamberetti viste durante l'inaugurazione di una casa borghese e con un unico pensiero fissi in testa: raggruppare tutta la famiglia attorno alla tavola per un ultimo Natale insieme. Chip, il primo figlio che fa la sua comparsa nel capitolo "Il fallimento", esprimendo perfettamente ciò che penso sul personaggio, è un professore di un college espulso per essere andato a letto con una studentessa. Una specie di sessuomane impelagato nella stesura di una sceneggiatura intitolata La porpora accademica, dove la parola "seni" compare un numero spropositato di volte, che è la più brutta copia delle più brutte copie dei personaggi di Philip Roth. Jonathino tenta di copiare il maestro, ma come il più imbranato degli alunni si merita di andare dietro la lavagna in ginocchio sui ceci. 

Poi abbiamo Gary, dirigente di banca, l'unico dei tre Lambert che s'è costruito una famiglia, depresso, simpatizzante dell'alcol e così paranoico che è convinto che la moglie Caroline - una cheer-leader con il cervello di Peter Pan - gli stia mettendo i tre figli contro di cui uno, Jonah di sette anni, a proposito di un volume de Le Cronache di Narnia così si esprime "è letteratura per ragazzi di ottima qualità". Capperi, un piccolo Jonathan imberbe, praticamente. E infine c'è Denise, chef di successo fotografata dal New York Times, tanto competitiva quanto sentimentalmente complicata, eterosessuale parecchio lesbica che, cercando di portarsi a letto il suo datore di lavoro, finisce per andarci con la moglie di quest'ultimo. Tutti e tre i figli hanno un particolare rapporto con i genitori. Chip se ne discosta totalmente tanto che un Natale, accortosi che non aveva inviato i regali alla famiglia, incarta i primi oggetti trovati nell'appartamento, e li spedisce incartati grossolanamente. Gary invece è legato alla madre ed è l'unico ad aver ereditato la sua concezione di famiglia portandola avanti come meglio ha potuto e Denise ha moti d'affetto verso il padre. Peccato che tali personaggi siano come dei pulviscoli che svaniscono quando alzi la tapparella da cui filtrano i raggi del sole la mattina. 

Ne Le correzioni non c'è mai un momento in cui un solo personaggio smetta di essere tale per diventare finalmente persona che viva al di là del gesto dell'aprire il libro. E quello che più mi fa diventare i capelli precocemente bianchi è che Franzen viene accostato a Charles Dickens, lo scrittore che più di ogni altro è riuscito a scolpire una galleria di persone viventi, non semplici personaggi adibiti alla carta, che puoi addirittura incrociare per strada per quanto sono reali e pulsanti di vita mentre ne leggi le vicende. Avrei voluto struggermi di dolore quando Enid scopre che il suo nipotino prediletto non è venuto assieme al padre il giorno di Natale, ma non ce la facevo, era impossibile; sarebbe stato uno struggimento vano per un semplice personaggio fatto di carta e inchiostro (e isterie). Volevo essere legato almeno a uno dei membri della deprimente famiglia Lambert, ma come si fa a essere legati a Chip, Gary, Denise, Enid o Alfred? Per quest'ultimo si ha quantomeno un briciolo di compassione per aver sopportato quarantotto anni quell'asfissiante piccola-borghese di sua moglie.

Il romanzo avrebbe dovuto avere come sottotitolo "o cosa succede quando uno scrittore preconfeziona un libro dall'inizio alla fine". Le correzioni non è nient'altro che una masturbazione, uno specchio in cui Franzen si è specchiato come Grimilde chiedendo all'immagine riflessa chi sia il più grande scrittore americano se non lui stesso. Ed è il suo terzo libro pubblicato, voi direte, "beh, deve essere migliorato dopo i due libri precedenti", invece no, la spocchia non s'è piegata manco di un grado: se è inconcludente il suo terzo romanzo figuriamoci quanto lo sono i primi due e soprattutto l'ultimo pubblicato, Libertà, che, oltre a volerlo riaffrontare in seguito, mi ha causato, solo dopo una ventina di pagine, una violenta influenza intestinale, il quale ha davvero la presunzione di voler essere il grande romanzo americano, definizione usata da molti critici col culo a stelle e strisce se li dovessi incontrare per strada. Eppure milioni di americani l'hanno letto, ci si sono rispecchiati (ma che famiglia disastrata hanno questi?), e ha raccolto solo e soltanto critiche entusiaste tranne dall'accorto Harold Bloom che da anni considera Franzen un mediocre scribacchino.  

Ma poi le metafore che incontrerete nella sfiancante lettura del romanzo sono qualcosa di un kitch allucinante: "Denise guardò il cielo che conficcava forchette di lampi nell'insalata di alberi all'orizzonte dell'Illinois"; "Quel cammello di delusione recalcitrò davanti alla cruna dell'ago della disponibilità di Enid a farlo passare"; "L'occhio aperto sembrava una goccia scura di aceto balsamico su un frammento di porcellana bianca"Seriamente, Jonathan? Con quale bevanda rinfrescavi la tua gola mentre eri curvo sul pc (ommiddio, usi il pc? ma lo sai che è tecnologia? opera del diavolo consumistico, liberatene al più presto) a battere i tasti che avrebbero formato tali pinzillacchere? La stessa con cui si è rinfrescato Spugna, sicuro come il fatto che Le correzioni non è affatto il capolavoro che tutti i lettori decantano come se fossero usignoli dediti ai canti entusiastici. E' un romanzo che lascia trasparire l'essere tronfio di chi ci sta dietro tralasciando di infondere soffio vitale ai personaggi che senza, invece, restano burattini cascanti come fili di ragnatela dalla penna del burattinaio. Che con Purity - suo nuovo libro in uscita a settembre in America di cui potete trovare un estratto quest'oggi su IL - possa farmi ricredere definitivamente sul suo conto? La vedo come Bossi vedeva le proboscidi leghiste: dura. 

martedì 18 agosto 2015

NOTTE HORROR 2015: SUSPIRIA (1977)


★★★★

Ritorna la Notte Horror anche quest'estate gentilmente offerta dalla congrega di blogger più attiva della blogosfera. Nei precedenti appuntamenti in cui il caro pubblico non avrà di certo negato la sua cieca partecipazione abbiamo avuto i contributi dei blog Montecristo (Il conte Dracula), Solaris (La mosca), Director's Cult (The Wicker Man), Non c'è paragone (Cujo), White Russian (Candyman), In Central Perk (Hellraiser), Recensioni Ribelli (La covata malefica), Mari's Red Room (Buio Omega),  La fabbrica dei sogni (Big Bad Wolvese di Delicatamente perfido che alle 21 ci ha parlato di Cimitero vivente. Ora, alle 23 in punto, la palla passa a me: ho deciso di parlarvi di uno dei classici dell'horror che tutti voi avrete visto più volte mentre per il sottoscritto è stata la prima deliziosa inquietante volta: Suspiria di Dario Argento

"Susy Benner decise di perfezionare i suoi studi di balletto nella più famosa scuola europea di danza. Scelse la celebre accademia di Friburgo. Partì un giorno alle nove di mattina dall'aeroporto di New York e giunse in Germania alle 22:45 ora locale...". La voce fuori campo dello stesso Argento ci invita al suo Suspiria, spettacolo che promette visoni di pelle d'oca e notti rigorosamente in bianco. 

Ciò che mi ha inizialmente estasiato è stata la luce. "Da dove viene? E' surreale. Sembra un'aurora boreale impazzita" mi dicevo. Appena la protagonista Susy arriva di fronte alla scuola di ballo dove una ragazza, sconvolta, sulla soglia della porta parla con qualcuno all'interno prima di scappare sotto la pioggia attraversando un bosco tagliato dalle luci, sono stato immerso irreparabilmente in Suspiria. Con un mistero - cosa avrà detto la ragazza? perché è fuggita? cosa l'ha spaventata a morte? - Argento vi intriga spingendovi alla visione di quello che è a tutti gli effetti uno dei film horror per eccellenza. 

L'uso dei colori e della luce irreale, verde, blu, rossa, gialla, che giunge dalle direzione più impensabili, dei piani sequenza, gli omicidi diretti che sono frutto sia di un artigianato maturato unito al guizzo estetico, come il primo della ragazza impiccata con il cavo e quello ambientato nella piazza talmente vasta da provocarvi un attacco di agorafobia, sia frutto di un'intuizione che lascia il segno sull'attrice mal capitata come è successo girando il tremendo omicidio del fili di ferro, il tutto accompagnato dalla stupefacente colonna sonora dei Goblin rende Suspiria un tendaggio magistralmente cucito con l'ago dell'inquietudine. 

Dario Argento, fondendo l'espressionismo con il barocco, fa pura arte senza rendersene neanche conto, probabilmente. L'occhio viene travolto da colori incredibilmente accesi, da scenografie evocative (il condominio dove avviene il primo omicidio girato alla perfezione, la scuola di ballo con quei corridoi alla Shining e quella piazza enorme in cui il cieco è smarrito e alla mercé degli spiriti maligni) e da luci che riempiono la scena all'improvviso come api in cerca dell'alveare - merito sicuramente anche del direttore della fotografia Luciano Tovoli. Se per molti conoscitori e critici onesti del cinema argentiano i difetti dei suoi film sono le sceneggiature-groviera e i finali non sempre all'altezza di quanto visto precedentemente - è mia intenzione recuperare almeno tutta la sua produzione cinematografica pre-Opera, film che segna, a detta di tutti, la fine del genio di Dario Argento - il suo Suspiria, alla cui base troviamo una sceneggiatura semplice che più semplice non si può (ballerina va in una celebre scuola di danza che scopre poi essere gestita da streghe), ha il giusto finale raggiunto dopo un'escalation di ansia mista a un'inquietudine che non vi abbandonerà una volta che saranno comparsi i titoli di coda e ne vorrete dell'altra perché la paura, in fondo in fondo, resta una delle emozioni che più cerchiamo di vivere. Almeno davanti allo schermo. 

Ecco la particolare guida alla Notte Horror 2015 così da non perdervi gli appuntamenti successivi: 


martedì 11 agosto 2015

Predestination (2014)

★★★

Un agente temporale governativo di cui non sappiamo il nome (Ethan Hawke) compie dei viaggi nel tempo al fine di catturare un pericolo terrorista battezzato dalla stampa dell'epoca "Frizzie Bomber" che nel 1975 a New York metterà fine a migliaia e migliaia di vite. Purtroppo durante una missione l'agente rimane sfigurato e così gli viene impiantata una nuova faccia prima di compiere un'ultima missione. Si ritroverà nuovamente indietro nel tempo, barista in un locale, dove incontrerà il misterioso John (Sarah Snook) che gli racconterà una storia incredibile. Una storia che toccherà molto da vicino l'agente stesso. 

Con quale altro me scrivere questa brevissima recensione (se vi raccontassi troppo rischierei di essere arrestato per il tentato di spoiler) di Predestination? Con quello che sono stato quando avevo otto anni, diligente studioso di scuola elementare che nell'intervallo giocava a Yu-Gi-Oh e registrava le puntate dell'omonimo anime diventando un irritabile cactus qualora apparisse la scritta "smart card assente"? oppure con quell'infognato e sfigato fruitore di videogiochi che ero alle medie o l'aspirante scrittore/poeta degli ultimi anni delle superiori che ogni tempo era buono per vergare segni sulla carta? o meglio scrivere la recensione con quello che sono ora? Un uomo finalmente felice che percorre una via lavorativa ben tracciata con a fianco la donna che attendeva da circa vent'anni, che lo rende ogni giorno l'uomo più felice ed equilibrato che esista, e con cui può essere se stesso, pregi e difetti assortiti in un'unica confezione. Se tornassi indietro nel tempo e incontrassi uno dei me descritti qui sopra quali sarebbero le prime parole? Forse "abbi pazienza, non farti scoraggiare" e poi sicuramente "prendi il primo treno e raggiungila, così da incominciare ad amarvi già da più tempo". E poi un'altra cosa: "sii sempre te stesso". Ed è quello che fa l'agente temporale del film, pur in circostanze e sotto spoglie diverse. 

Tratto da un racconto breve di Robert A. Heinlein, Predestination dei fratelli Michael e Peter Spierig è un solido sci-fi thriller che fa delle interpretazioni dei due attori protagonisti il suo punto di forza tralasciando effetti speciali baracconi che non servono in una pellicola dove la regia, completamente a servizio della sceneggiatura, fa scorrere il nastro di questa storia impressionante e ricca di colpi di scena. 

Dopo aver tentato di fermare "Frizzie Bomber", quest'agente temporale viene gravemente sfigurato. Una volta ritornato alla sede gli viene impiantata una nuova faccia (e da qui in poi avremo Ethan Hawke) e dopo mesi di riabilitazione torna in missione: si ritrova come barista a New York mentre il terrorista imperversa come uno sgradito temporale. Una sera entra nel locale un uomo misterioso dal look un po' androgino, una sorta di Tilda Swinton invecchiata male, il quale scrive sui giornali di Confessioni storie false di dolore e amore con lo pseudonimo di Ragazza Madre, che promette al barista/agente di raccontargli la storia più incredibile che abbia mai sentito. E così sarà. Un racconto intimo - Sara Snook straordinariamente brava - di una donna il cui destino si è accanito rendendola divisa a metà (capirete guardandolo), diversa dalle altre fin dalla nascita. Ed è proprio durante la partita di biliardo, mentre continua a raccontare la sua storia, che ho cominciato a intravedere la complessità della trama imbastita, lasciandomi sfuggire uno scolato "cacchio, è lui". Sarebbe divertente sapere quali sono state le esclamazioni che vi siete lasciati sfuggire nel corso del film. 

Potrei raccontarvi la storia come prova che il film l'abbia visto - perché ci sono certi critici che i film manco fanno la "fatica" di vederli - ma vi dico solo che Predestination è in qualche modo la risposta seria a Looper. Un film di fantascienza che non la butta in caciara e sparatorie, ma che riflette sull'identità di un individuo, sul destino, spesso crudele, e le scelte che si compiono per migliorare se stessi e il mondo che verrà. Senza dubbio una sorpresa cinematografica più che gradita in questa torrida estate. 

venerdì 7 agosto 2015

Pixels (2015)

½

Nel 1982 la NASA ha inviato nello spazio una capsula contenente le immagini dei videogiochi di altre forme di cultura terrestre al fine di contattare altre forme di vita. Degli alieni però interpretano male le immagini sopratutto dei videogiochi scambiandole per una dichiarazione di guerra. Il presidente degli Stati Uniti d'America (Kevin James) chiede aiuto al suo amico Sam Brenner (Adam Sandler), campione di videogiochi, che mette in piedi una squadra di esperti videogiocatori per rendere impossibile l'invasione aliena. 

Chiariamo una cosa: Adam Sandler è la peste bubbonica della comicità. Accostare il suo nome alla comicità è un grave insulto a quest'ultima. Le commedie che sforna, pardon, tira fuori dal sacco dell'umido, quasi con regolarità sono tremende per due fattori ricorrenti: la sua fastidiosa presenza e l'innegabile fatto che non fanno assolutamente ridere. E cosa c'è di peggio di una commedia che non fa ridere? Soltanto un horror che non fa paura. E per fortuna non si è mai imbarcato nell'impresa di farne uno anche se già con il suo nome nei credits mette addosso dei brividi colossali. 

Pixels è diretto da Chris Columbus che in molti ricorderanno per essere stato il regista dei primi due film della saga di Harry Potter. Ciò è un bene, dirà qualcuno, insomma, coi bambini ha mostrato di saperci fare, in fondo come li dipinge i nerd questo film se non come dei bambinoni smanettoni con la mente andante ai favolosi anni '80? Anni in cui il più bel videogioco in circolazione era PacMan o Donkey Kong e per giocare gli allora giovani dovevano uscire dalla loro stanza e raggiungere gli amici nelle sale giochi dove oltre ad ascoltare la musica potevano provarci con le ragazze. 

Adam Sandler è coinvolto nel primo film non vergognoso dopo anni - incredibile come sia lo stesso attore che ha recitato così bene in Ubriaco d'amore - nel ruolo di un quasi campione del mondo di Donkey Kong, battuto negli anni '80 da Eddie Plant il quale nel presente è un galeotto interpretato dall'unica cosa davvero positiva del film: Peter Dinklage. Kevin James è un impacciato, balbettante e per nulla credibile presidente degli Stati Uniti d'America, e Josh Gad è il classico nerd vergine che vive ancora con la nonna e, oltre a essere fissato con le teorie del complotto ("a Dallas è stato JFK a sparare per primo") è innamorato perso di un personaggio donna di un videogioco. Questi tre, armati di cannoni fotonici come dei Ghostbusters mancati, avranno il compito di salvare il pianeta (o più propriamente una fetta d'America come al solito) dall'invasione di questi alieni che hanno visto nelle immagini dei videogiochi una chiara dichiarazione di guerra.

Pixels funziona come operazione nostalgia (e non vacanze) atta a riportare alla mente i videogiochi degli anni '80 e la musica che accompagnava quegli anni particolari a chi li ha vissuti e dall'altra avrebbe voluto essere in tutto e per tutto una rivincita dei nerd mettendo addirittura nell'ufficio ovale niente meno che un nerd stesso che dice a soldati addestrati alla guerra vera e propria "lasciate il controllo ai nerd" o facendo esclamare a un bambino, dopo essere stato salvato da "soltanto uno sfigato che gioca ai videogiochi""allora che Dio sia lodato". I nerd salveranno il pianeta. Sì, ma solo in questo film. 

Poteva essere il The Avengers dei videogiochi. Ciò si vede soprattutto nell'ultima parte del film in cui v'è l'invasione: una schiera indefinita di personaggi che scendono sulla terra dalla bocca dell'astronave come i Chitauri dal portale spaziale e i nerd pronti alla battaglia all'ultimo pixels. Cosa sarebbe diventato Pixels se fosse stato affidato a un regista come Joe Dante (suo quel gioiellino di Small Soldiers) e se al posto di questi attori ce ne fossero stati altri? Magari i personaggi di The Big Bang Theory. Tanto tra una decina d'anni ci sarà un remake quindi mai dire mai. 

martedì 4 agosto 2015

La recensione "Meno di zero" del romanzo di Bret Easton Ellis


- "La gente ha paura di buttarsi..."
- Dove?
- Qui c'è scritto "nel traffico a Los Angeles".
- Ah, credevo nel traffico di Roma. Chi è che l'ha scritto?
- Bret Easton Ellis, sai no?
- No.
- No cosa?
- No, non so chi è.
- Come non sai chi è? Ma dove vivi?
- Sai benissimo dove vivo, in quella topaia vicino a...
- Lascia perdere. E' quello che ha scritto American Psycho.
- Mai sentito nominare. 
- Andiamo bene. 
- Dov'è che andiamo?
- E' un modo di dire, scemo. 
- Grazie per il complimento. 
- Comunque con il libro del "buttarsi" è diventato famoso.
- Come si chiama?
- Cosa?
- Il libro.
- Meno di zero.
- Se il libro è come il titolo...
- Da quando sai fare del sarcasmo?
- Da quando mi sono sbattuto tua sorella sul tavolo della cucina. 
- Ma io non ho una sorella.
- Io sarò scemo, ma tu non capisci una ceppa. 
- Lo vuoi?
- Cosa?
- Il libro. Da leggere.
- Di che parla?
- Non so. Dei ragazzi tutti biondi, belli, ricchi, che scopano e si drogano. 
- Wow. 
- E poi ci stanno i coyote che ululano nella notte.
- I che?
- I coyote. Tipo dei cani. 
- Sti ricchi tengono in casa animali strani.
- Scorrazzano tra le colline dove stanno loro, mica sono animali domestici. 
- E poi?
- Poi cosa?
- Di cos'altro parla il libro?
- Non lo so. E' tutto un passare da una festa all'altra. Droga. Sesso. Musica. 
- 'na palla, insomma. 
- C'è pure uno che fa le marchette per pagare i debiti. 
- Le che?
- Le marchette. Va con altri uomini a pagamento. 
- L'ho detto che sti ricchi sono strani. 
- Però è scritto bene. 
- Cosa?
- Il libro.
- E' il minimo. Ma t'è piaciuto?
- Non lo so. Sono tutti così nichilisti sti personaggi. 
- Nichiche?
- Nichilisti. La vita per loro non ha senso. Si annoiano in fretta. Non hanno un obiettivo. 
- Perché noi sì, eh?
- C'è che volevo scuoterli a un certo punto. Urlargli contro "vai a fare una passeggiata, abbraccia un albero".
- Abbracciare un albero?
- Ma sì, fare qualcosa di diverso oltre all'infilarsi l'ago nel braccio.
- Hai abbracciato un albero?
- Ma che sei matto? Quelle sono cazzate New Age. 
- E sti nichicosi dove vivono?
- Negli anni '80. Mtv Generation, li chiamavano. 
- Esiste ancora Mtv?
- Boh.
- Comunque non lo voglio.
- Cosa?
- Il libro.
- Come mai?
- Non voglio averci a che fare con sti ricchi tutti strambi. 
- Come vuoi. 
 - Ehy.
- Cosa?
- Noi non siamo come loro, vero?
- Ricchi no di sicuro. 
- Uhm.
- Andiamo a bere qualcosa?
- Dove?
- In un posto.
- Scegli tu. 
- Non lo so. Per me è uguale.
- Anche per me.