venerdì 27 giugno 2014

Fantastic Mr. Fox

Fantastic Mr. Fox

★★★½

La volpe Mr. Fox e la sua compagna Felicity sono ingabbiati in una trappola per volpi quando la seconda rivela al primo di essere incinta e gli ordina, se si fossero salvati, di cambiare professione. Due anni dopo (dodici anni volpe dopo) i coniugi Fox vivono in una umile tana assieme al figlio adolescente parecchio scontroso di nome Ash. Mr. Fox è un giornalista, ormai non ruba più pollame, e decide di trasferirsi con la famiglia in una casa più grande all'interno di un albero ignorando gli avvertimenti del suo avvocato Badger sui pericoli che quelli come lui, le volpi, corrono in quella zona. Infatti poco distante dall'albero posto sopra una collina vi sono tre grandi allevamenti gestiti da tre avidi e pericolosi agricoltori: Walter Boggins, un grasso allevatore di polli; Nathan Bunce, un nano allevatore di anatre e oche e infine Frank Bean, il più pericoloso dei tre, un alto e secco allevatore di tacchini che produce un prelibato sidro di mela. Quando Mr. Fox confiderà a Kyle, un ingenuo opossum pescatore di sanguinelle, di voler derubare i tre allevatori, non immagina neanche le conseguenze funeste del suo gesto, che coinvolgerà la sua famiglia e le vite degli altri animali selvatici in una lotta per la sopravvivenza. 


Fantastic Mr Fox Fantastic Mr Fox Film

Fantastic Mr. Fox è un bellissimo e caldo film d'animazione basato sul racconto Furbo, il signor Volpe di Roald Dahl  e girato in stop motion con la collaborazione di Henry Selick (Night Before Christmas) che viaggia sul binario tipico di Wes Anderson: personaggi eccentrici dalle abilità notevoli nascoste o mostrate con fierezza; inquadrature perfettamente geometriche; la storia di sopravvivenza e di adattamento di un gruppo di animali selvatici che per ben due volte si adattano a vivere in un habitat molto diverso da quello abituale a causa di tre uomini che danno loro la caccia per vendicarsi del furto organizzato proprio da Mr. Fox, che non rispetta la promessa fatta anni fa alla moglie perché lui è un animale selvatico e non è vita se non ha il collo di una gallina tra le fauci. 



Se nella versione originale le voci dei personaggi sono quelle di attori famosi quali George Clooney, Meryl Streep e Bill Murray, nella versione italiana possiamo contare su fior fior di doppiatori (Francesco Pannofino, Maria Pia Di Meo, Paolo Buglioni ecc) che hanno svolto un lavoro davvero egregio, soprattutto Pannofino che ha saputo risaltare in Mr. Fox quel suo essere scanzonato, furbo, irresistibile e incrollabilmente ottimista. Ciò che Mr. Fox adora, oltre a provare il brivido datogli dal furto, è essere fantastico agli occhi degli altri. Le sua azioni devono suscitare ammirazione e stima. La trama non è complessa, scorre bene, il rapporto tra Ash e suo cugino Kristofferson non è molto originale, se prima il figlio di Fox mostrerà una sorta di invidia nei confronti delle abilità atletiche del cugino in seguito andranno d'amore e d'accordo, ma ci sono delle piccolezze, delle le sfumature, delle attenzioni che Anderson riserva alle sue creature che rendono deliziosi i rapporti che intercorrono tra loro come quando Kristofferson insegna ad Ash il mantra "Peso meno di una fetta di pane" prima della lezione di karate.  


Prima della fine (a sorpresa) c'è una scena che ho trovato particolarmente magnifica: Mr Fox ha la fobia dei lupi. Mentre lui corre sul sidecar assieme ai due volpini e all'opossum quest'ultimo gli dice di non voltarsi. Neanche a dirlo che Fox si volta immediatamente e vede in lontananza, su di una piccola collina con lo sfondo innevato, un lupo nero. La volpe non parte sgommando come immagineremmo, ma gli dice "Canis lupus" e poi indicandosi "Vulpes vulpes". Peccato che non parli il latino, quindi prova a domandargli in francese se avranno un inverno rigido. Ancora niente. Allora Mr. Fox alza la zampa salutandolo e induce i suoi amici a fare altrettanto così da augurargli buona fortuna. Il lupo risponde a sua volta al gesto della volpe e se ne va. Non è un gesto politico, come molti ominidi hanno pensato errando, ma un gesto universale che abbatte qualsiasi diversità. Eppure i film di Anderson sono così adorabilmente diversi - e meno male. 

Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: Fantastic Mr. Fox
Lingua originale: inglese
Paese di produzione: USA
Anno: 2009
Durata: 87 minuti
Genereanimazione, avventura, commedia
Regia: Wes Anderson
Soggetto: Roald Dahl (romanzo)
Sceneggiatura: Wes Anderson, Noah Baumbach
Produttore: Allison Abbate, Scott Rudin, Wes Anderson, Jeremy Dawson
Produttore esecutivo: Steven Rales, Arnon Milchan
Casa di produzione: American Empirical Picture, Indian Paintbrush, Regency Enterprises
Distribuzione (Italia): 20th Century Fox
Fotografia: Tristan Oliver
Montaggio: Andrew Weisblum
Effetti speciali: Lip Sync Post
Musiche: Alexandre Desplat
Scenografia: Nelson Lowry

Doppiatori originali:
George Clooney: Mr. F. F. Fox
Meryl Streep: Felicity Fox
Jason Schwartzman: Ash Fox
Bill Murray: Badger
Wallace Wolodarsky: Kylie
Eric Chase Anderson: Kristofferson
Michael Gambon: Franklin Bean
Willem Dafoe: Rat
Owen Wilson: Coach Skip
Robin Hurlstone: Walter Boggis
Hugo Guinness: Nathan Bunce
Wes Anderson: Weasel
Adrien Brody: Rickity
Jarvis Cocker: Petey
Brian Cox: Giornalista

Doppiatori italiani:
Francesco Pannofino: Mr. F. F. Fox
Maria Pia Di Meo: Felicity Fox
Manuel Meli: Ash Fox
Emilio Cappuccio: Badger
Sergio Lucchetti: Kylie
Gabriele Patriarca: Kristofferson
Luca Biagini: Rat
Massimo De Ambrosis: Coach Skip
Gabriele Martini: Walter Boggis
Bruno Conti: Nathan Bunce
Carlo Valli: Weasel
Paolo Buglioni: Franklin Bean
Mirko Mazzanti: Petey
Alessandro Ballico: Beaver
Domenico Crescentini: Giornalista
Massimo Corizza: Figlio di Bean
Gianfranco Miranda: Figlio di Beaver

Roberto Draghetti: Narratore

Denny B.


mercoledì 25 giugno 2014

SIDNEY LUMET DAY: QUEL POMERIGGIO DI UN GIORNO DA CANI

Quel pomeriggio di un giorno da cani

★★★★

Tre rapinatori mettono in atto il loro piano: rapinare una banca poco prima dell'ora di chiusura. Ma subito avviene un imprevisto: il membro più giovane della banda non se la sente di puntare la pistola contro la guardia e abbandona il colpo. Rimangono in due: Sonny (Al Pacino) e Sal (John Cazale), ma le sorprese non sono finite perché nella cassaforte sono rimasti solo un migliaio di dollari; la cassiera conferma che poco prima è passato il portavalori a ritirare l'incasso. I due ritirano quello che trovano ma poco prima di uscire dalla banca ricevono una telefonata dalla polizia municipale schierata fuori dall'edificio che li tiene sotto tiro. Allora Sonny decide di prendere in ostaggio tutti i dipendenti della banca, pronto a trattare con le forze dell'ordine. Quella che doveva essere una rapina da pochi minuti si trasforma in uno sfiancante pomeriggio di canicola.



Io e la combriccola di blogger più competente e simpatica dell'internet torniamo oggi 25 giugno a celebrare un grande regista che ha regalato film celebri quali Quinto potere, Serpico, Assassinio sull'Orient-Express e Onora il padre e la madre, un regista che ha saputo destreggiarsi nel genere giudiziario fino a diventarne un maestro. Non potevo lasciarmi sfuggire l'occasione di riguardare e recensire un film con Al Pacino, se lo avessi fatto non sarei più stato capace di guardare per due o tre giorni il suo ritratto egregiamente ricamato da mia madre che tengo proprio di fronte all'entrata di casa mia. Quindi eccomi qui a parlarvi di un cult assoluto degli anni '70, diretto con mano sapiente da Sidney Lumet e scritto brillantemente da Frank Pierson: Quel pomeriggio di un giorno da cani



Tre uomini entrano in una banca. Il primo, coi capelli lunghi e un vestito rosso, si dirige alla scrivania del direttore e da una valigetta ventiquattrore estrae un piccolo mitragliatore e gli intima di fare come se niente fosse. Intanto un secondo uomo, Sonny, con una lunga scatola bianca e fiocco blu, è entrato in banca e finge di compilare un modulo. Un terzo si avvicina a questo e gli sussurra che non se la sente più, ma è troppo tardi, Sal, quello coi capelli lunghi ha già tirato fuori l'arma. Non si torna più indietro. Sonny estrae dalla scatola in maniera parecchio impacciata una carabina dell'esercito e la rapina ha inizio. Soldi nella cassaforte però ce ne sono pochissimi. Nei cassetti ancora meno. I due stanno per andarsene con un magro bottino quando la telefonata delle polizia è totalmente inaspettata. E io penso: come farà Sonny a reggere la pressione di una trattativa con le forze dell'ordine? Uno che ha improvvisato una rapina senza maschere o passamontagna sul volto, con un atteggiamento agitato e un "cazzo" ogni tre frasi, non ce la farà mai a restare calmo e ad analizzare la situazione. Persino una cassiera dice loro "Ma non avevate un piano?". No, lui e Sal crolleranno e finiranno col fare una strage, lo so.



E' davvero sorprendente il modo in cui Sonny riesca invece a tenere tutto sotto controllo anche con l'agitazione e l'ansia tipica di un topo in trappola ma che scorge in lontananza una luce seppur fioca. E poi qualcuno mi corregga se sbaglio, ma sono convinto che questo sia il primo (non so se unico) film in cui gli ostaggi di una rapina non sono dei quarti di bue lasciati a fare la muffa supini sul pavimento con le mani dietro la testa. Anzi gli ostaggi sembrano divertirsi nel passare ore diverse da quelle grige solite dietro le casse e in mezzo ai moduli da compilare: la capocassiera (una tostissima Penelope Allen) fuma per la prima volta, un'altra azzarda un azione militaresca con la carabina dietro insegnamento dello stesso Sonny, e mentre tutti in un modo o nell'altro cercano di ignorare il fatto che siano ostaggi, c'è Sal, che scruta la situazione in silenzio, con il mitragliatore in mano, non togliendosi mai la giacca, pur con questo caldo infernale. Mi è impossibile dimenticare John Cazale nel suo penultimo ruolo da non protagonista. Sonny a un certo punto gli chiede in quale nazione vorrebbe andarsene e Sal risponde "Mi piacerebbe andare in California", ignorando il fatto la California non è una nazione, e all'inizio del film Sonny urla "Sal, dove sei?" quando è solo in fondo alla banca che tiene sotto tiro gli ostaggi. Ecco, John Cazale è quel "dove sei?" in un cerchio di cinque persone che si fanno gli affari loro. Quella presenza fondamentale che placa l'ansia da protagonista. Al Pacino fissa negli occhi John Cazale e l'egoismo scenico è solo una frase detta per chiudere un periodo. Ha interpretato sempre lo stesso ruolo, John Cazale, e ogni volta in maniera diversa.   


La prima volta in cui Sonny esce dalla banca per incontrare il tenente Eugene Moretti urla alla folla "Attica! Attica! Attica!" (una delle frasi più famose della storia del cinema) che risponde a sua volta col nome di questa prigione dove negli anni '70 ci fu una rivolta carceraria tristemente celebre: molti carcerati presero in ostaggio secondini e dipendenti del carcere per protestare contro le condizioni disumane in cui erano costretti a vivere e il governo decise di fare intervenire forze speciali ed esercito per mettere a tacere la rivolta e uccisero brutalmente senza distinzione di innocenza e di colpevolezza. 



Le televisioni del paese riprendono le incursioni esterne di Sonny in quest'odissea pomeridiana fino a diventare la star del momento e l'eroe degli omosessuali perché Sonny oltre a essere sposato e con figli ha anche un amante, Leon, che desidera compiere l'operazione per il cambio di sesso. Questo è il principale motivo che l'ha spinto a compiere la rapina: non per arricchimento, non per fare un favore a un pezzo grosso, bensì per dare a Leon i soldi necessari all'operazione e pagare alcuni debiti e mantenere la famiglia. Sonny è un uomo tremendamente umano, buono e leale con gli amici, disperato in mezzo a un mondo che non ti offre opportunità di lavoro e di crescita personale. Sonny pare scappare da qualcosa. Dalla morte, forse. "Sto morendo, io sto morendo qua" dice ad Angela, la moglie logorroica che non è manco venuta lì davanti alla banca a vedere come stava. Sua madre l'ha fatto, solo per criticare Angela ("Se ti avesse soddisfatto a dovere non avresti mai cercato conforto in un uomo"). O forse sta solo scappando da una condizione di solitudine che gli rende l'aria irrespirabile a differenza di Sal che ha imparato a conviverci. Sonny è un eroe buono e moderno. Uno dei personaggi cinematografici più grandi di tutti i tempi. E interpretato splendidamente, neanche a dirlo, da un Al Pacino nel pieno del suo genio recitativo. 


Ecco gli altri blog, oltre al mio, che partecipano al Sidney Lumet Day:

Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: Dog Day Afternoon
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: Stati Uniti
Anno: 1975
Durata: 124 min
Generedrammatico, crimine, thriller
Regia: Sidney Lumet
Soggetto: P.F. Kluge e Thomas Moore nell'articolo The Boys in the Bank su Life
Sceneggiatura: Frank Pierson
Produttore: Martin Bregman, Martin Elfand
Casa di produzione: Artists Entertainment Complex
Distribuzione (Italia): Warner Bros.
Fotografia: Victor Kemper
Montaggio: Dede Allen
Tema musicale: Amoreena di Elton John
Scenografia: Charles Bailey
Costumi: Anna Hill Johnstone
Trucco: Reginald Tackley

Interpreti e personaggi
Al Pacino: Sonny Wortzik
John Cazale: Salvatore Naturile
Charles Durning: Eugene Moretti
James Broderick: Agente federale Sheldon
Penelope Allen: Shirley Ball
Beulah Garrick: Margaret
Carol Kane: Jenny, il topolino
Chris Sarandon: Leon Shermer
Sully Boyar: Mulvaney
Sandra Kazan: Deborah
Lance Henriksen: Agente Murphy

Doppiatori italiani:
Giancarlo Giannini: Sonny Wortzik
Rodolfo Traversa: Salvatore Naturile
Angiolina Quinterno: Margaret

Edoardo Nevola: Leon Shermer

Denny B.












lunedì 23 giugno 2014

7 psicopatici

7 psicopatici


★★★

Marty (Colin Farrell) è uno sceneggiatore in crisi d'ispirazione e in cerca di tranquillità per scrivere la sceneggiatura del film intitolato 7 psicopatici. Billy (Sam Rockwell) è il migliore amico di Marty e ladro di cani, attività che condivide con il suo socio Hans (Christopher Walken), un religioso ex criminale con la moglie malata di cancro. Infine c'è Charlie Costello (Woody Harrelson), il boss della mala a cui Billy ha rubato il suo amato cane e che farà di tutto pur di riaverlo. 


7 psicopatici è una commedia pulp-noir drammatica con personaggi bizzarri impegnati in diverse attività molto insolite: se Marty è uno scrittore in gamba con una bella fidanzata ma col vizio dell'alcol (d'altronde ce l'ha nel DNA essendo irlandese) Billy, il suo migliore amico, è un folle ladro di cani che come scoprirete ha una doppia attività parecchio sanguinaria. Non nasconde una certa riluttanza nei confronti della fidanzata di Marty che chiama "Stronza" ed è solito mettere in difficoltà gli altri attuando azioni non proprio conformi alla normalità come mettere un annuncio sul giornale in cui si dice che lui e Marty cercano psicopatici disposti a raccontare la propria storia al fine di aiutarli nella stesura della sceneggiatura. Hans è il socio di Billy, quello che riporta i cani rapiti ai legittimi proprietari e ne intasca la ricompensa. Ha un passato di violenza e ogni giorno va all'ospedale a trovare la moglie malata di cancro al seno. Charlie Costello è invece un boss della mafia dalla pistola quasi sempre inceppata che ama il suo cane più di ogni altra cosa al mondo.



Il film diretto e scritto da Martin McDonagh si apre con una scena in cui vede due "sicari" interpretati da Michael Pitt e Michael Stuhlbarg (entrambi attori in Boardwalk Empire) impegnati in un dialogo concernente palle degli occhi e torture incentrate su di esse. Quasi come se Tarantino avesse scarabocchiato la scena sul foglio di sceneggiatura trovato lì su un tavolo per caso e poi se ne fosse andato come niente fosse. Quando vi accorgerete del pericolo che corrono questi due sicari sarà ormai troppo tardi. 



Quello che vedrete dopo non è solo una sequela di racconti violenti e sanguinosi con protagonista un predicatore quacchero intento a vendicare la morte di sua figlia o un uomo anziano con un coniglio bianco in mano con un passato da serial killer di serial killer assieme alla sua compagna, perché 7 psicopatici, se si vuole, riguarda la stesura di una sceneggiatura quando si fa un brain storming, si incamerano le idee più disparate ricevute da chiunque e si discute se una scena è meglio toglierla o se un personaggio svolge bene il suo ruolo oppure no. Su tutte le scene campeggia quella in cui di notte attorno a un fuoco Billy espone il finale del film a dei sempre più basiti (ma sotto sotto divertiti) Marty e Hans: una bagarre di piombo e morte e sangue ambientata in un cimitero. Un luogo perfetto per una sparatoria. 7 psicopatici gioca con i toni drammatici e comici, li mischia senza rischiare che la miscela impazzisca ed esploda in faccia lasciando solo la puzza di bruciato.  

Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):


Titolo originale: Seven Psychopaths
Lingua originale: inglese
Paese di produzione: Regno Unito
Anno: 2012
Durata: 110 min
Generecommedia nera
Regia: Martin McDonagh
Sceneggiatura: Martin McDonagh
Produttore: Martin McDonagh, Graham Broadbent, Peter Czernin
Produttore esecutivo: Tessa Ross
Casa di produzione: Blueprint Pictures
Distribuzione (Italia): Moviemax
Fotografia: Ben Davis
Montaggio: Lisa Gunning
Scenografia: David Wasco
Costumi: Karen Patch
Trucco: Dean Jones, Isabella Wiley

Interpreti e personaggi:
Colin Farrell: Marty
Sam Rockwell: Billy
Christopher Walken: Hans
Woody Harrelson: Charlie Costello
Abbie Cornish: Kaya
Olga Kurylenko: Angela
Tom Waits: Zachariah
Zeljko Ivanek: Paulo
Helena Mattsson: donna bionda
Kevin Corrigan: Dennis
Gabourey Sidibe: Sharice
Michael Stuhlbarg: Tommy
Michael Pitt: Larry
Brendan Sexton III: giovane Zachariah

Doppiatori italiani:
Fabio Boccanera: Marty Franan
Nanni Baldini: Billy Bickle
Dario Penne: Hans Kieslowski
Roberto Pedicini: Charlie Costello
Federica De Bortoli: Kaya
Francesca Manicone: Angela
Ennio Coltorti: Zachariah Rigby


Denny B.

venerdì 20 giugno 2014

The Congress

The Congress


★★★½

Robin Wright è un attrice in declino con un figlio, Aaron, affetto da una rara sindrome, e una figlia adolescente, che accetta, dietro l'insistenza del suo storico agente Al (Harvey Keitel), di cedere i diritti di sfruttamento della propria immagine alla Miramount Pictures che la scannerizzerà al fine di creare un suo avatar digitale. Come parte del contratto lei si impegna a non recitare mai più e lo studio potrà utilizzare il suo avatar in qualsiasi film per vent'anni. Allo scadere del tempo concordato Robin Wright viene invitata come ospite d'onore al Congresso Futurista che si tiene all'Hotel Miramount ad Abraham City, una zona riservata all'animazione, dove tutto si trasforma in un'allucinazione fantastica.


Dovete sapere che io amo le sorprese. Quelle che proprio non ve le aspettereste neanche se steste mesi a immaginarvele e a provare dentro di voi le espressioni che fareste se vi arrivassero come fulmini in un sereno cielo d'estate. Neanche a dirlo quelle cinematografiche sono le mie preferite. E neanche a dirlo, vedendo il trailer di The Congress, non mi sarei aspettato nulla, al massimo un esperimento di un regista col camice e i capelli schizzati in aria. Invece siamo di fronte a uno dei film più interessanti dell'anno che chiunque ha il diritto e il dovere di ammirare. 


Protagonista di The Congress di Ari Folman è Robin Wright, attrice che ha debuttato ne La storia fantastica e consacrata alla fama per il ruolo di Jenny in Forrest Gump, e che ora sta passando un periodo di declino, dopo anni di insuccessi, film sbagliati, e dell'aggravarsi della malattia di cui soffre suo figlio Aaron, una sorta di sordità che lo porterà alla cecità, però a detta del Dr Barker è un ragazzo dalla mente sviluppatissima che sente e capisce, ad esempio, la parola "licenziamento" ma dice invece "isolamento". L'agente di Robin Wright è Al, che ha sopportato le sue paturnie tipiche delle attrici con pazienza e che le è sempre stato vicino nei momenti bui e che ora cerca di convincerla a firmare quello che è l'ultimo contratto della sua vita offerto da uno dei dirigenti della Miramount Pictures: cedere i diritti d'immagine e farsi scannerizzare al fine di creare un proprio avatar digitale da utilizzare in tutti i film futuri. 


Quasi tutti gli attori di Hollywood hanno firmato il contratto. Devono farlo se vogliono continuare a vivere sul grande schermo. Robin dopo vari tentennamenti, dopo aver detto ad Al che vuole continuare ad avere la libertà di scegliere quale ruolo interpretare, e dopo essersi sentita dire da Al che questa è la via per essere finalmente libera dalle case di produzione che spesso ti dicono come devi apparire, accetta di farsi scannerizzare in quella che è la scena più bella del film: mentre Al (un Harvey Keitel in splendida forma) racconta a Robin, chiusa all'interno di una capsula dotata di potenti flash, come a soli dieci anni faceva l'agente sfruttando le debolezze e le paure dei più sfortunati lei ride e piange e si rabbuia e tutte le sue emozioni vengono catturate e registrate per sempre su un chip. Se la seconda parte, che andrò a raccontarvi brevemente, avesse avuto la stessa lucidità emotiva di cui è dotata la prima sarebbe stato un film assolutamente perfetto.


Dopo vent'anni Robin è l'ospite d'onore all'Hotel Miramount ad Abraham City dove si tiene un Congresso Futurista. Prima di entrare nella zona animata è costretta a inalare da un'ampolla una sostanza che la rende una figura cartoonesca. Questo mondo animato descritto da Ari Folman ricorda vagamente quello di Chi ha incastrato Roger Rabbit?, con l'aggiunta in seguito di abbellimenti e realismi magici che distolgono l'attenzione dalla trama impostata fin dal primo fotogramma. Il design grafico è gradevole e il futuro delle star s'infittisce: Jeff Green, un perentorio e martellante avido direttore della Miramount, vuole che Robin firmi un nuovo contratto perché presto il cinema sarà un vago ricordo: ora gli studi cinematografici e la Miramount Nagasaki hanno trovato la formula della libera scelta. Gli attori diverranno una sostanza che la gente potrà bere per immaginarli nella vesta che più aggrada loro. Robin accetta di parlare al congresso dopo l'intervento del presidente della Miramount Nagasaki (chiara parodia di Steve Jobs), ma la situazione degenera dopo l'attentato che coinvolge proprio il presidente e una ribellione della quale non si capisce chi siano gli interessati. 


E anche il film incassa un duro colpo perché il regista perde la bussola e si lascia andare a elucubrazioni, allucinazioni, situazioni poco chiare che hanno amareggiato il gusto dolce e fresco che ho avuto sulla lingua vedendolo. Robin viene congelata per un lungo periodo di tempo e al suo risveglio trova ad attenderla Dylan, l'uomo che si è occupato della sua lei digitale e che l'ha salvato dopo i tafferugli all'Hotel Miramount. La porta a New York: una città in cui ognuno è libero di scegliere ciò che vuole essere. Una colorata e incredibile Festa Chimica. Ho trovato gratuita la scena di sesso, che non aggiunge nulla alla trama, neanche al rapporto superficiale con Dylan, innamorato di lei da quando ha messo le mani sul suo avatar. Dall'altra parte della Festa Chimica c'è un altro mondo dove chi non ha voluto unirsi a loro attende la morte nella povertà e disperazione d'animo. 


Robin si reca in questo luogo alla ricerca di suo figlio Aaron ingoiando una pillola conservata a lungo da Dylan. Robin chiede notizie del figlio al Dr. Barker e viene a scoprire che Aaron, dopo aver aspettato sua madre per anni, sei mesi fa ha deciso di recarsi dall'altra parte. Robin non ha nulla da perdere quindi prende una fiala che la farà tornare da dove è venuta anche col rischio di non riuscire a trovare suo figlio. Geniale e commovente la scena finale che si presta a diverse interpretazioni. The Congress è un film sperimentale e ambizioso che riflette sul cinema e sulla libertà di scelta. E' un peccato che non si possa parlare di un capolavoro. Ari Folman non pecca di pretenziosità, ma di scarso controllo della sua stessa opera che avrebbe potuto porre delle Colonne d'Ercole difficilmente oltrepassabili dai registi futuri.  


Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: The Congress
Lingua originale: inglese
Paese di produzione: USA
Anno: 2013
Durata: 122 min
Genereanimazione, fantascienza
Regia: Ari Folman
Soggetto: Stanisław Lem
Sceneggiatura: Ari Folman
Produttore: Sébastien Delloye, David Grumbach, Eitan Mansuri, Diana Elbaum (co-produttore)
Produttore esecutivo: Jeremiah Samuels
Casa di produzione: Bridgit Folman Film Gang, Pandora Film, Opus Film, ARP Selection, Entre Chien et Loup, Paul Thiltges Distribution
Distribuzione (Italia): Wider Films
Fotografia: Michal Englert
Montaggio: Nili Feller
Effetti speciali: Roli Nitzan
Musiche: Max Richter
Scenografia: David Polonsky

Interpreti e personaggi:
Robin Wright: Robin Wright
Harvey Keitel: Al
Kodi Smit-McPhee: Aaron Wright
Danny Huston: Jeff
Sami Gayle: Sarah Wright
Michael Stahl-David: Steve
Paul Giamatti: Dott. Barker
Sarah Shahi: Michelle
Evan Ferrante: Tom Cruise
Michael Landes:

Doppiatori italiani:
Emanuela Rossi: Robin Wright
Ennio Coltorti: Al
Ruggero Valli: Aaron Wright
Massimo Corvo: Jeff
Emanuela Ionica: Sarah Wright
Patrizio Cigliano: Steve
Franco Mannella: Dott. Barker
Roberto Chevalier: Tom Cruise

Massimo Lopez: Bobs

Denny B.


mercoledì 18 giugno 2014

Grand Budapest Hotel

Grand Budapest Hotel

★★★★

1968. Nell'immaginaria repubblica di Zubrowka si trova il Grand Budapest Hotel, un tempo prestigioso e rinomato albergo e ora decaduto. Qui uno scrittore (Jude Law) conosce il padrone dell'hotel, un anziano di nome Zero Moustafa (F. Murray Abraham) il quale lo invita a cena con la promessa di raccontagli la sua vita all'albergo prima di diventarne il proprietario. Il racconto inizia nel 1932 quando il Grand Budapest Hotel è in pieno splendore frequentato da facoltosi clienti distinti ed eleganti e dove Monsieur Gustave H. (Ralph Fiennes) è il concierge dell'albergo. Un uomo orgoglioso, vanitoso, amante della poesia, irreprensibile e meravigliosamente umano. Ha diverse relazioni con donne più grandi di lui una delle quali è la ricca Madame D. che dopo pochi giorni essere partita dall'hotel viene trovata morta in una stanza della sua magione. Monsieur Gustave partecipa all'apertura del testamento accompagnato da un giovanissimo Zero Moustafa (Tony Revolori) e si ritrova beneficiario del dipinto Ragazzo con mela di inestimabile valore. Una spiacevole sorpresa per i familiari della vedova, soprattutto per l'avido figlio Dmitri (Adrien Brody), il quale arriverà ad accusare Monsieur Gustave dell'omicidio di sua madre.


Oggi dì vediamo centinaia di film di vari generi la cui scala di utilità va da un minimo di "questo va buttato nell'indifferenziata" a un massimo di "E' una ragione valida per essere vivi". Tra questi due antipodi vi sono decine e decine di categorie e sottocategorie che non elencherò al fine di non annoiare me stesso, e voi soprattutto, ma una fa al caso nostro, perché riguarda la nuova opera cinematografica di Wes Anderson, ed è quella che riunisce quei film che non sono altro che libri di celluloide aperti per lasciare per poco tempo le nostre situazioni e condizioni spiacevoli fuori dalla porta legate a un albero. Ci abbandoniamo sulla sedia mentre la storia che abbiamo davanti agli occhi farà di noi spettatori partecipi lasciando che la tenerezza romantica per nulla bugiarda delle immagini annulli l'abitudine del cruccio perenne sul nostro viso fosco e sofferente.



Il Grand Budapest Hotel è un'istituzione. E tutto al suo interno deve funzionare come un orologio svizzero così da non perderne in credibilità e prestigio. L'orologiaio è il consierge Monsieur Gustave H., interpretato da un perfetto Ralph Fiennes, un uomo votato al suo lavoro, profumatissimo, che ha il vizio di declamare versi di poesie romantiche non importa che si trovi in mensa di fronte allo staff dell'albergo o sul bordo di uno strapiombo. E ha molto successo con le donne, quelle anziane, bionde, vedove e bisognose di compagnia. A una ha rubato il cuore: Madame D. (Tilda Swinton irriconoscibile) una ricca vedova a cui lascia il celebre Ragazzo con mela. E sappiamo bene che quando una persona facoltosa muore anche i parenti più lontani si riuniscono nella camera ardente, versano due lacrime di circostanza, e poi subito davanti a un notaio occhialuto che apre il testamento con fare solenne: a suo figlio Dmitri lascia la maggior parte delle ricchezze; alcune somme di denaro verranno distribuite in maniera uguale a tutti gli altri parenti, ma la parte più importante dell'eredità va proprio al consierge del Grand Budapest Hotel, che ha saputo alleggerirle il peso della vecchiaia. 



Il seguito è la storia di un dipinto rubato (dallo stesso Monsieur Gustave), della fuga dal carcere, dell'amore di Zero per l'abile pasticcera Agatha dalla voglia sulla guancia a forma di Messico, il tutto narrato (e incorniciato) dalle inquadrature perfette di Wes Anderson, coi colori pastello, le location che paiono sospese sopra le nuvole e con l'occhio bizzarro di chi ama narrare storie. Trovano spazio i personaggi eccentrici tipici di Anderson interpretati tra gli altri da William Dafoe nella parte di un granitico e spietato assassino; il breve cameo di Bill Murray nei panni del presidente della Society of the Crossed Keys, scociet segreta di consierge la quale non ci penserà due volte ad aiutare un loro membro in difficoltà; F. Murray Abraham e Jude Law, fino al neosconosciuto Tony Revolori che si rivela essere un'azzeccata spalla per Ralph Fiennes.


Grand Budapest Hotel non è una torta meringata con panna e ciliegie caramellate confezionata apposta per diabetici come potrebbero pensare i detrattori del maestro della geometria cinematografica, ma un autentico rifugio sulle montagne innevate della fantasia eccentrica che non svilisce la realtà come siamo abituati a conoscerla: Wes Anderson ce la mostra da una prospettiva ordinata e pulita e in una veste deliziosa, onirica e soprattutto coerente con quello che è il suo stile da narratore autentico.  

Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: The Grand Budapest Hotel
Lingua originale: inglese
Paese di produzione: Germania, Francia
Anno: 2014
Durata: 100 min
Generecommedia
Regia: Wes Anderson
Soggetto: Wes Anderson, Hugo Guinness
Sceneggiatura: Wes Anderson
Produttore: Wes Anderson, Jeremy Dawson, Steven M. Rales, Scott Rudin
Casa di produzione: American Empirical Pictures, Indian Paintbrush, Scott Rudin Productions, Studio Babelsberg
Distribuzione (Italia): 20th Century Fox
Fotografia: Robert Yeoman
Montaggio: Barney Pilling
Musiche: Alexandre Desplat
Costumi: Milena Canonero

Interpreti e personaggi:
Ralph Fiennes: M. Gustave
Tony Revolori: Zero Moustafa, giovane
Saoirse Ronan: Agatha
Bill Murray: M. Ivan
Edward Norton: Henckels
F. Murray Abraham: Zero Moustafa, anziano
Harvey Keitel: Ludwig
Jude Law: Giovane scrittore
Tilda Swinton: Madame D.
Jason Schwartzman: M. Jean
Willem Dafoe: Jopling
Léa Seydoux: Clotilde
Owen Wilson: M. Chuck
Adrien Brody: Dmitri
Tom Wilkinson: Autore
Bob Balaban: M. Martin
Mathieu Amalric: Serge X.
Jeff Goldblum: Kovacs
Karl Markovics: nel ruolo di un carcerato

Doppiatori italiani:
Francesco Prando: M. Gustave
Manuel Meli: Zero Moustafa, giovane, lobby boy
Erica Necci: Agatha
Emilio Cappuccio: M. Ivan
Massimo De Ambrosis: Henckels
Michele Kalamera: Mr. Moustafa
Ennio Coltorti: Ludwig
Riccardo Niseem Onorato: Giovane scrittore
Rita Savagnone: Madame D.
Emiliano Coltorti: M. Jean
Mario Cordova: Jopling
Domitilla D'Amico: Clotilde
Massimiliano Manfredi: M. Chuck
Simone D'Andrea: Dmitri
Michele Gammino: Autore
Marco Rasori: Serge X.

Dario Penne: Kovacs

Denny B.

lunedì 16 giugno 2014

Ritratto di famiglia: I Tenenbaum

I Tenenbaum


★★★★

New York. Anni '70. Royal Tenenbaum (Gene Hackman) e la moglie Etheline (Angelica Houston) hanno tre figli dotati di un grandissimo genio: il primo a soli dodici anni è un talento della finanza, la seconda è una drammaturga e il terzo è un campione di tennis. A causa dei continui tradimenti da parte di Royal, i genitori però si separano e i loro tre figli crescono perdendo il genio. Un giorno, dopo molti anni di assenza, il padre si ripresenta e con una bugia cerca di passare più tempo possibile con i figli e di riconquistare la moglie. 


Credo che i Tenenbaum siano la famiglia più bizzarra che abbia mai visto, tolta quella lugubre degli Addams. La famiglia Tenenbaum è composta da individui eccentrici, insoliti, talmente strani da sembrare veri. Puoi quasi vederli Royal e i suoi nipoti che invece di prendere un taxi si tengono stretti al fianco del camion della spazzatura ridenti e padroni della propria età.



Royal Tenenbaum - un Gene Hackman con una insospettabile vena comica - è un ex avvocato che vive in una stanza d'hotel da circa ventidue anni. Si ritrova al verde e così si ripresenta a sua moglie - un'archeologa di successo indecisa se accettare o meno la proposta di matrimonio fattele dal commercialista Henry Sherman - dopo diciassette anni di silenzio dicendogli che ha poche settimane di vita a causa di un cancro allo stomaco. La notizia giunge alle orecchie dei figli: Chas, il piccolo genio della finanza, è ormai un uomo cinico e ossessionato dalla sicurezza dei propri figli scampati da un incidente aereo in cui ha trovato la morte la madre; Margot non scrive più drammi teatrali ed è una donna depressa che passa sei ore a fumare e a guardare la tv nel bagno dell'appartamento che condivide con il marito Raleigh St. Clair, un noioso psicologo che non si separa mai da un ragazzo, suo oggetto di studi ed esperimenti; infine Richie è un campione di tennis ritiratosi dopo una partita deludente che ora viaggia per mare e oceani con la sua nave. Presi singolarmente sono come degli atolli, ricchi di flora e di fauna che messi però assieme formano l'arcipelago Tenenbaum. 



Il regista Wes Anderson firma assieme all'attore Owen Wilson una sceneggiatura fresca e sorridente e dirige con la regia divenuta il suo tratto distintivo: ogni inquadratura, perfettamente geometrica, fa sì che il film sia ordinato e già familiare dopo dieci minuti, come quando nostra madre ci ordinava di rimettere in ordine la camera, non lo facevamo, e ce la trovavamo diversa dopo un paio d'ore in cui eravamo assenti - era ordinata, cambiata, ma nonostante tutto nostra. I Tenenbaum è un ritratto di famiglia insolito, delizioso e irresistibile. La comicità genuina non stona mai con l'impianto stilistico ambizioso e le situazioni surreali atte a farci sorridere, perché il cinema di Wes Anderson fa questo: ci strappa un sorriso, ci narra storie semplici con una leggerezza intelligente, come le infinite domande dei bambini e le loro verità annunciate con sincerità.

Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia): 

Titolo originale: The Royal Tenenbaums
Paese di produzione: USA
Anno: 2001
Durata: 109 min
Generedrammatico
Regia: Wes Anderson
Soggetto: Wes Anderson, Owen Wilson
Sceneggiatura: Wes Anderson, Owen Wilson
Fotografia: Robert Yeoman
Montaggio: Daniel Padgett, Dylan Tichenor
Effetti speciali: Bob Scupp
Musiche: Mark Mothersbaugh, Lou Reed + AA. VV.
Scenografia: David Wasco

Interpreti e personaggi:
Gene Hackman: Royal Tenenbaum
Anjelica Huston: Etheline Tenenbaum
Gwyneth Paltrow: Margot Tenenbaum
Ben Stiller: Chas Tenenbaum
Luke Wilson: Richie Tenenbaum
Owen Wilson: Eli Cash
Danny Glover: Henry Sherman
Bill Murray: Raleigh St. Clair
Seymour Cassel: Dusty
Doppiatori originali
Alec Baldwin: narratore
Wes Anderson: Commentatore della partita di tennis

Doppiatori italiani:
Sergio Fiorentini: Royal Tenenbaum
Ludovica Modugno: Etheline Tenenbaum
Claudia Catani: Margot Tenenbaum
Vittorio Guerrieri: Chas Tenenbaum
Massimo De Ambrosis: Richie Tenenbaum
Francesco Bulckaen: Eli Cash
Ugo Maria Morosi: Henry Sherman
Emilio Cappuccio: Raleigh St. Clair
Luciano De Ambrosis: Dusty
Sergio Di Stefano: narratore

Denny B.

sabato 14 giugno 2014

Sin City: la Babilonia del crimine

Sin City

★★★★

Il film è suddiviso in tre episodi più un intermezzo. In Quel bastardo giallo il poliziotto John Hartigan (Bruce Willis) deve fermare Roark Junior (Nick Stahl), un serial killer pedofilo, nonché figlio del potente senatore Roark, che ha rapito l'undicenne Nancy Callahan. 
In Un duro addio Marv (Mickey Rourke), dopo essere stato a letto con una dea bionda di nome Goldie (Jaime King), l'unica donna della sua vita che l'abbia saputo apprezzare, scopre il suo corpo senza vita, misteriosamente uccisa da qualcuno che vuole incastrare Marv. Questo comincia a indagare spinto dalla sete di vendetta e scoprirà che dietro tutto questo c'è la famiglia più influente di Sin City.
In Un'abbuffata di morte Shellie (Brittany Murphy) è una barista che viene nuovamente importunata dal suo ex compagno Jackie Boy (Benicio del Toro) che viene aggredito dall'attuale compagno della ragazza, Dwight (Clive Owen), disgustato dal suo comportamento. In seguito Jackie Boy e la sua banda si dirigono verso la Città Vecchia, territorio delle prostitute, dove incontreranno un destino fin troppo tagliente.


Non è per nulla semplice cercare di districarsi nella mente noir e sanguigna di quel genio di Frank Miller che ha, tra le altre cose, riscritto le origini di Batman con Batman Anno Uno rivoluzionandone poi la figura con il capolavoro Il ritorno del cavaliere oscuro e che ha stravolto il noir con i volumi della serie Sin City di cui ho letto il fantastico Quel bastardo giallo, primo episodio del film Sin City diretto da Robert Rodriguez e co-diretto dallo stesso Miller, girato interamente in digitale, con una scena diretta da Quentin Tarantino dietro il compenso simbolico di 1 dollaro per ricambiare un favore all'amico Rodriguez. 


Sin City è lo sfondo dietro cui si consumano le vicende di personaggi sanguinari e onesti, perfidi e malati, duri a morire, tanto che si è portati a pensare che anche dopo aver tagliato loro la testa essa continui a muoversi e a parlare anche se staccata dal corpo. Le prostitute descritte da Miller non si lamentano per un labbro rotto, ma spaccano mascelle, spezzano braccia, estraggono mini uzi, 44 magnum o katane affilatissime e fanno una carneficina pur di proteggere la propria incolumità e il territorio che hanno così duramente conquistato: la Città Vecchia, dove se hai i soldi loro ti fanno toccare il cielo con un dito, ma se sgarri allora è meglio che tu abbia già fatto testamento. 


Oltre lo sfondo cittadino (completamente virtuale) i tre episodi del film hanno in comune, salvo alcuni personaggi che ritornano sporadicamente, il fatto che ci siano tre giustizieri ignoranti in materia di resa morale e fisica: in Quel bastardo giallo Hartigan salverà la piccola Nancy e castrerà il figlio del senatore il quale lo incolperà sia dello stupro della bambina (mai avvenuto) sia dell'aggressione a suo figlio, scontando così molti anni in carcere alleviati solo dalle lettere settimanali di Nancy, innamorata di lui. Uscito dal carcere salverà nuovamente una Nancy ormai cresciuta (una sensualissima Jessica Alba) fino al finale straziante (vi giuro che su carta rende meglio) e altruista. In Un duro addio Marv (un irriconoscibile Mickey Rourke) è una specie di Rambo coperto di cicatrici e cerotti tutto muscoli e sete di vendetta che ha solo sbagliato periodo storico e che giura di vendicare la donna che gli ha regalato la notte più bella della sua vita trovando l'assassino e facendogli passare un tale inferno che quando ci andrà veramente gli sembrerà un paradiso. Infine Dwight in Un'abbuffata di morte giura alle ragazze di Città Vecchia di liberarsi di un cadavere di un poliziotto al fine di evitare una guerra tra prostitute polizia e mala. Da citare, oltre a un brutto e lurido Benicio del Toro, una Rosario Dawson spietata ed esaltata quanto una valchiria e una muta Devon Aoki nei panni di una prostituta che maneggia perfettamente le katane come Giampiero Galeazzi le forchette. 


Sin City è amabilmente pulp ed equilibratamente esagerato. Splatter al punto giusto, che non offende (spesso il sangue è di colore bianco). E' l'adattamento impeccabile dell'opera di Frank Miller, il cui sequel, con Eva Green, uscirà negli States il 22 agosto. Ma è anche il genere noir pompato all'estremo della forza narrativa, che infrange la realtà come uno specchio buonista, mentre la profonda voce fuori campo risuona nella notte eterna, e un uomo qualunque che girato un angolo qualunque di Sin City s'imbatte nella libertà crudele degli altri di commettere qualsiasi crimine e nella sua libertà morale di fermarli togliendo loro le armi. Tutte e due.   

Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia): 

Titolo originale: Sin City
Lingua originale: inglese
Paese di produzione: USA
Anno: 2005
Durata: 118 min, 141 min (director's cut)
Generethriller, noir
Regia: Robert Rodríguez, Frank Miller, Quentin Tarantino (special guest director)
Soggetto: dal fumetto di Frank Miller
Sceneggiatura: Robert Rodríguez, Frank Miller
Casa di produzione: Dimension Films, Troublemaker Studios
Distribuzione (Italia): Buena Vista Distribution
Fotografia: Robert Rodríguez
Montaggio: Robert Rodríguez
Effetti speciali: Gregory Nicotero, John McLeod
Musiche: John Debney, Graeme Revell, Robert Rodríguez
Scenografia: David Hack

Interpreti e personaggi:
Bruce Willis: John Hartigan
Mickey Rourke: Marv
Jessica Alba: Nancy Callahan
Clive Owen: Dwight
Nick Stahl: Roark Jr./Bastardo giallo
Powers Boothe: Senatore Roark
Rutger Hauer: Cardinale Roark
Elijah Wood: Kevin
Rosario Dawson: Gail
Benicio Del Toro: Jackie Boy
Marley Shelton: Ragazza del prologo
Josh Hartnett: Killer
Jaime King: Goldie/Wendy
Devon Aoki: Miho
Brittany Murphy: Shellie
Michael Clarke Duncan: Manute
Carla Gugino: Lucille
Alexis Bledel: Becky
Michael Madsen: Bob
Tommy Flanagan: Brian
Rick Gomez: Klump
Nicky Katt: Stuka
Jason McDonald: Ronnie
Clark Middleton: Schutz
Jude Ciccolella: Com. Liebowitz
Frank Miller: Prete
Lisa Marie Newmyer: Tammy
Tommy Nix: Weevil
Nick Offerman: Shlubb
Jeff Schwan: Louie
Scott Teeters: Lenny/Benny
Arie Verveen: Murphy
Patricia Vonne: Dallas
Makenzie Vega: Nancy a 11 anni

Doppiatori italiani:
Massimo Rossi: Hartigan
Myriam Catania: Nancy Callahan
Roberto Draghetti: Marv
Fabio Boccanera: Dwight
Massimiliano Alto: Roark jr./Bastardo giallo
Carlo Sabatini: Sen. Roark
Stefano De Sando: Card. Roark
Francesco Pannofino: Bob
Francesca Fiorentini: Gail
Massimo Corvo: Jack "Jackie Boy" Rafferty
Barbara De Bortoli: Goldie/Wendy
Domitilla D'Amico: Shellie
Alessandro Rossi: Manute
Daniela Calò: Lucille
Federica De Bortoli: Becky
Virginia Brunetti: Nancy a 11 anni
Saverio Moriones: Com. Liebowitz
Nanni Baldini: Stuka
Stefano Miceli: Prete
Enrico Pallini: Brian
Francesco Bulckaen: L'uomo
Ilaria Latini: La cliente

Denny B.