lunedì 30 marzo 2015

BLACK POWER DAY: AMERICAN GANGSTER (2007)


★★★

1968. Harlem. Il boss Bumphy Johnson muore dopo un attacco di cuore. Ogni mafioso del quartiere acquista più potere con la speranza di poter prendere il trono vacante non sapendo che il favorito è Frank Lucas (Denzel Washington), fedele braccio destro di Bumphy, a cui viene un'idea grandiosa per riorganizzare il business: importare negli Stati Uniti eroina purissima dalla Thailandia, più precisamente dal Triangolo d'oro. Quest'idea lo rende in poco tempo ricco e potente tanto da essere riconosciuto come unico boss di Harlem. A provare a fermarlo ci penserà il detective Richie Roberts (Russell Crowe) che dopo essersi fatto più nemici che amici al dipartimento in cui lavora (ha consegnato denaro sporco al posto di intascarseli, denunciando i suoi colleghi corrotti) verrà trasferito alla sezione narcotici di New York il cui scopo è quello di assicurare alla giustizia i pesci grossi del narcotraffico. Proprio come Frank Lucas. 



Noi della Sacra Congrega dei Blogger Cinematografici non riusciamo a starcene con le mani ferme sulla tastiera. E' venuto il momento di un nuovo Day scaturito da un'idea di Alessandra Muroni del blog Director's Cult a cui tutti noi abbiamo risposto positivamente recensendo un film che avesse a che fare con il black power. E uno dei pochi attori di colore che possiede l'X-Factor o il sopracitato black power è Denzel Washington che con American Gangster di Ridley Scott offre una delle sue migliori interpretazioni. 



Lo dice il titolo stesso: American Gangster. La pellicola di Ridley Scott è uno straordinario gangster movie come non se ne vedono più negli ultimi anni. E' rigoroso nella forma, spietato e crudo nell'azione; non aggiungerà nulla di nuovo al genere, ma rispetta quei topos che troviamo sempre nei film del genere: abbiamo il fedele braccio destro del boss di turno che alla sua morte ne prende il trono e lo scettro divenendo lui stesso il boss spacciando eroina purissima e vendendola a metà prezzo, e attirando così la curiosità dei malavitosi italoamericani e della sezione Narcotici del dipartimento di polizia. Abbiamo il poliziotto alla Serpico che, non accettando mazzette, s'inimica i colleghi che lo marchiano come un reietto. Abbiamo il detective corrotto che facendosi scudo del distintivo si comporta come i criminali di cui non si prende l'obbligo di arrestare bensì di estorcere denaro. Come sempre nei gangster movie saremo spettatori della classica caccia al boss. 


Denzel Washington ha vinto l'Oscar con il suo peggior film, Training Day, dove interpretava un poliziotto corrotto. Come diceva una canzone di cui non mi sovviene il titolo "Caro Denzel, per avere l'Oscar hai dovuto fare il cattivo" o una roba del genere e in American Gangster Denzel interpreta Frank Lucas, un risoluto uomo d'affari (sporchi) che sedutosi sul trono dopo la scomparsa del boss di Harlem, a cui era molto legato, detta le leggi del mercato dell'eroina importandola direttamente dalla Thailandia, pura al cento per cento, chiamata Blue Magic, priva di additivi chimici come se ne trovano invece per le strade scure e polverose di una Harlem dove un taglio d'abito elegante appare decisamente insolito come non trovare nuovi negozi d'elettrodomestici ad ogni angolo del quartiere che hanno sostituito i vecchi esercizi lavorativi dove s'instaurava con il cliente un rapporto di fiducia. "Non trovi il cuore di nulla per ammazzarlo" dice il boss Bumphy prima che il suo ceda definitivamente alla morte. Dov'è il cuore di Frank Lucas? Per cosa batte veramente? Per la sua mamma che porta ogni domenica in chiesa? Per il compianto Bumphy a cui va a portare i fiori cascasse il mondo? O per l'impero che ha creato come un Donald Trump della droga. 



Per Russell Crowe discorso analogo: vince l'Oscar con Il gladiatore (film che merita un efficace ridimensionamento) quando in A Beautiful Mind, Insider - Dietro la verità, L. A. Confidential e nel film in questione offre interpretazioni decisamente più memorabili, almeno per chi scrive. In American Gangster la sua interpretazione è un contributo prezioso come il lavoro che svolge il suo personaggio, Richie Roberts, che è l'unico che può assicurare dietro le sbarre un criminale come Frank Lucas. Detective del dipartimento di New Jersey un giorno, durante un pedinamento, trova nel bagagliaio di un auto circa novecentottanta mila dollari e invece di intascarseli decide, nonostante il disaccordo del suo collega, di consegnarli ai suoi diretti superiori, attirandosi gli sguardi scontrosi e furenti dei suoi colleghi, corrotti fin dalle canne delle pistole e dai rilievi del distintivo. Per questo viene assegnato alla sezione Narcotici dove si catturano i pezzi grossi del narcotraffico. Da tempo per le strade non si trova altro che la Blue Magic e non sono ancora arrivati a collegarla al fornitore. 



Se Al Capone riuscì a essere incriminato per via delle tasse non pagate, l'errore fatale di Frank Lucas si rivela essere il cedimento alla fastosità e al lusso durante un famoso match di pugilato, pratica, d'altro canto, usata e abusata dal vecchio boss di Chicago negli anni del Proibizionismo. Durante una serata al suo night Frank prende in disparte suo fratello e lo redarguisce sul suo vestiario. "Sembri un pagliaccio. Hai scritto in fronte 'Poliziotti perquisitemi'" salvo poi accettare di indossare, la sera prima del match, un'immensa pelliccia di visone con cappello anch'esso di pelliccia, regalo della sua moglie Miss Portorico, attirando gli obiettivi delle macchine fotografiche della squadra di Richie Roberts che inizia a indagare su questo uomo di colore impellicciato che addirittura sedeva una fila avanti a un boss mafioso italiano. Quest'episodio segna la graduale e inesorabile discesa del successo di Frank Lucas;e non serve a nulla gettare la pelliccia tra le fiamme gentili del camino. 



Prima che spegnessero la luce, Ridley Scott è riuscito ad aggiungere alla sua filmografia la cui qualità risulta molto spesso traballante un gangster movie come genere comanda: crudo, dettagliato nella messa in scena, con attori eccellenti, avvincente fino al degno finale ove non si assiste a una sanguinosa sparatoria, ma a un dialogo scritto intelligentemente dallo sceneggiatore Steven Zaillian. Le pallottole, magari imbevute nel cianuro, le riserviamo a coloro che l'hanno paragonato a Il Padrino, siete d'accordo?


Ecco gli altri blog, oltre al mio, che partecipano al Black Power Day:

Bollalmanacco
Non C'è Paragone
Recensioni Ribelli
Pensieri Cannibali 
Mari Red's Room
Prevalentemente Anime e Manga
Director's cult
White Russian


Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: American Gangster
Paese di produzione: Stati Uniti
Anno: 2007
Durata: 153 min, 171 min (director's cut)
Generepoliziesco, drammatico, gangster
Regia: Ridley Scott
Soggetto: Mark Jacobson (articolo)
Sceneggiatura: Steven Zaillian
Produttore: Brian Grazer, Ridley Scott, Nicholas Pileggi
Distribuzione (Italia) : Universal Pictures
Fotografia: Harris Savides
Montaggio: Pietro Scalia
Musiche: Marc Streitenfeld
Scenografia: Arthur Max
Costumi: Janty Yates

Interpreti e personaggi:
Denzel Washington: Frank Lucas
Russell Crowe: Detective Richie Roberts
Chiwetel Ejiofor: Huey Lucas
Josh Brolin: Detective Trupo
Cuba Gooding Jr.: Nicky Barnes
John Ortiz: Havier J. Rivera
Common: Turner Lucas
Ruby Dee: Signora Lucas
John Hawkes: Detective Freddy Spearman
Lymari Nadal: Eva moglie di Frank Lucas
Ted Levine: Lou Toback
Armand Assante: Dominic Cattano
KaDee Strickland: Sheila
Roger Guenveur Smith: Nate
RZA: Moses Jones
Yul Vazquez: Detective Alphonse Abruzzo
Norman Reedus: Detective Norman Riley
Carla Gugino: Laurie Roberts
Malcolm Goodwin: Jimmy Zee
Warren Miller: Melvin Lucas
T.I.: Stevie
Melissia Hill: Red Top
Jon Polito: Rossi
Kevin Corrigan: Campizi
Ritchie Coster: Joey Sadano
Joe Morton: Charley Williams
Clarence Williams III: Bumpy Johnson
Jerrod Paige: Muhammad Alì
Roger Bart: Avvocato U.S
Idris Elba: Tango
Joe Frazier: Joe Frazier
Richard Nixon:se stesso (immagini di repertorio)
Ric Young: Generale Cinese
Ruben Santiago-Hudson: Doc
Eddie Rouse: Detective Festa
Robert Funaro: McCann

Doppiatori italiani:
Pino Insegno: Frank Lucas
Fabrizio Pucci: Detective Richie Roberts
Paolo De Santis: Huey Lucas
Roberto Pedicini: Detective Trupo
Fabio Boccanera: Nicky Barnes
Franco Mannella: Havier J. Rivera
Stefano Mondini: Turner Lucas
Paila Pavese: Signorina Lucas
Stefano Benassi: Freddie Spearman
Barbara De Bortoli: Eva moglie di Frank Lucas
Ennio Coltorti: Toback
Luigi La Monica: Dominic Cattano
Daniela Calò: Sheila
Andrea Ward: Nate
Francesco Venditti: Moses Jones
Christian Iansante: Detective Alphonse Abruzzo
Alberto Bognanni: Detective Norman Riley
Francesca Fiorentini: Laurie Roberts
Paolo Marchese: Jimmy Zee
Massimo Bitossi: Melvin Lucas
David Chevalier: Stevie
Angela Brusa: Redtop
Pino Ammendola: Rossi
Luigi Ferraro: Campizi
Massimo Rossi: Joey Sadano
Franco Zucca: Charlie Williams
Bruno Alessandro: Bumpy Johnson
Niseem Onorato: Muhammad Alì
Vittorio Guerrieri: Avvocato U.S
Roberto Draghetti: Tango
Mario Bombardieri: Joe Frazier
Fabrizio Temperini: Richard Nixon
Oliviero Dinelli: Generale Cinese
Roberto Stocchi: Doc
Alessandro Quarta: Detective Festa

Denny B.










martedì 24 marzo 2015

The Humbling (2014)

The Humbling


★★★

Simon Axler (Al Pacino) ha perso il suo tocco. Recitare non gli riesce più facile come una volta. La sorgente del suo talento si è esaurita o forse un grande frammento di roccia ne impedisce il suo naturale flusso. Non si sa. Sta di fatto che Simon Axler, celebre attore di teatro, durante una prima teatrale si getta dal palco come un uomo che spera così di volare. Risultato? Corsa in ospedale e relativo soggiorno in una casa di riposo con sedute psichiatriche via Skype al fine di allontanargli dalla mente qualsiasi idea di suicidio. Qui incontra una certa Sybil che dopo ore di monologhi in cui Simon la guarda con occhi vacui gli commissiona l'omicidio del marito perché di lui si fida e poi è avvezzo alle armi, avendo recitato in Ammazza i vicini. Tornato a casa, però, riceve la visita di Pegeen (Greta Gerwig), la figlia di alcuni suoi vecchi amici, professoressa di scenografia e fidanzata con una donna, la cui cotta per Simon fin da quando era una bambina la spinge tra le sue stanche braccia, arrivando a convivere con lui, un uomo di trent'anni più grande, che stravolto da questa inaspettata passione, ritarda la definitiva passeggiata sul viale del tramonto. 


Se Simon Axler ha perso il suo talento non si può dire lo stesso di Al Pacino che in The Humbling, splendido come sempre, offre una performance silente e pacata: ampi sguardi, frasi sussurrate, una delicata quanto ampia presenza scenica. Non ha bisogno di esagerare, di alzare la voce, di regalarci i suoi "Hoo-ah!". Il suo è un autentico bagno d'umiltà. Aiuta gli altri attori a recitare, come solo un maestro, un profeta della recitazione, è in grado di fare. Non ruba mai loro la scena, eppure Al Pacino è un attore che con un solo sguardo non solo è capace di rubarvi la scena, ma di rendervi completamente invisibili. 


La sfortuna di The Humbling è di essere stato presentato al Festival del Cinema di Venezia lo scorso anno quando un altro film metacinematografico aprì la manifestazione: Birdman di Alejandro Gonzalez Inarritu a cui il film di Barry Levinson purtroppo non può avvicinarsi in termini di spettacolarità scenica, virtù registica, e sceneggiatura mordente seppur abbiano degli inequivocabili punti di contatto, scene simili, e temi trattati. Basti pensare all'inizio di questo film: Al Pacino, dopo aver dialogato con il suo io allo specchio, rimane chiuso fuori dal teatro ed è costretto a fare il giro e a entrare dalla porta principale cercando di convincere l'addetto al teatro che lui è Simon Axler, quello sui cartelloni affissi fuori dalla porta, e che deve assolutamente salire sul palco, e ciò ricorda sia l'inizio del film di Inarritu, con la voce di Birdman che infastidisce Michael Keaton, sia la corsa di quest'ultimo in mutande in mezzo a Times Square.




The Humbling - tratto dal romanzo L'umiliazione del grande scrittore americano Philip Roth - non è un film riuscitissimo. Non ha una direzione precisa, seppur si possa dire che sia più sincero di tante altre pellicole. E' incoerente, a dirla tutta. Non è chiaro se Simon sia preda della demenza senile che lo porta ad avere allucinazione o se ciò che sta vivendo sia effettivamente il suo momento presente e se in Birdman questo dubbio arricchisce il film oltre ogni modo, la stessa cosa da ripetuti sgambetti a The Humbling rendendolo incapace di spiccare il volo nonostante una star del calibro di Pacino che non vedreste l'ora di poter gustare a teatro. Nel film vi sono momenti comici piuttosto riusciti (la scena della pulizia dei giocattoli erotici o quella dal veterinario) e momenti tragici e tristi. Il film è da 2 stelle e mezzo. Ma Dio ne aggiunge mezza. Risultato: 3 stelle. 


Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: The Humbling
Lingua originale: inglese
Paese di produzione: USA
Anno: 2014
Generedrammatico
Regia: Barry Levinson
Soggetto: Philip Roth (romanzo)
Sceneggiatura: Buck Henry, Michal Zebede
Produttore: Al Pacino, Jason Sosnoff, Monika Bacardi, Ged Dickersin, Kristina Dubin, Andrea Iervolino, Gisella Marengo
Distribuzione (Italia) : AMBI Group
Fotografia: Adam Jandrup
Montaggio: Aaron Yanes

Interpreti e personaggi:
Al Pacino: Simon Axler
Greta Gerwig: Pegeen Mike Stapleford
Dianne Wiest:
Kyra Sedgwick: Louise Trenner
Charles Grodin: Jerry

Dan Hedaya: Asa

Denny B.





venerdì 20 marzo 2015

THIS IS MY BOOMSTICK AWARD 2015




Essere premiato è sempre una bella sensazione. Il buon vecchio Jean Jacques di Recensioni Ribelli mi ha fatto l'onore di essere nella sua lista di blog premiati con il prestigiosissimo Boomstick Awards, premio ideato da Hell del blog Book and Negative. Questa è una sana occasione per cantarcela e suonarcela da soli, gioire in allegria, e gaggiarsi con tutti coloro che conosciamo. "Ehy, io ho vinto tre Boomstick Awards di seguito, te invece? al massimo hai vinto alla tombolata di Natale in famiglia!". O una cosa del genere, insomma.

Qui di seguito le regole stilate da Hell.

Cos’è il Boomstick? 
È il bastone di tuono di Ash ne L’Armata delle Tenebre. Una doppietta Remington, canne d’acciaio blu cobalto, grilletto sensibilissimo. Magazzini S-Mart, i migliori d’America.

Perché un Boomstick?
Perché il blog è il nostro Bastone di Tuono!

Come si assegna il Boomstick?
Niente di più facile: dal momento che in giro è un florilegio di premi zuccherosi per finti buoni (o buonisti) & diplomatici, il Boomstick Award viene assegnato non per meriti, ma per pretesti.
O scuse, se preferite.

Nessuna ipocrisia, dunque.

E ricordate, il Boomstick non ha alcun valore, eccetto quello che voi attribuite a esso.

Per conferirlo, è assolutamente necessario seguire queste semplici e inviolabili regole:
1 – i premiati sono 7. Non uno di più, non uno di meno. Non sono previste menzioni d’onore
2 – i post con cui viene presentato il premio non devono contenere giustificazioni di sorta da parte del premiante riservate agli esclusi a mo’ di consolazione
3 – i premi vanno motivati. Non occorre una tesi di laurea. È sufficiente addurre un pretesto

4 – è vietato riscrivere le regole. Dovete limitarvi a copiarle, così come io le ho concepite.

E dopo le dovute regole ecco a voi i sette blog premiati:


1) Solaris

Semplicemente uno dei migliori blogger cinematografici presenti su internet. Quasi sempre mi trovo d'accordo con lui questo perché ha ottimo gusto e un acuto e sensibile spirito critico. Quest'anno ha scritto una recensione splendida: quella di American Sniper. Leggetela. 


2) White Russian

Come si fa a non stimare il vecchio cowboy della blogosfera James Ford? Anche se detesta The Three of Life (più bel film del duemila) e considera niente di che un film meraviglioso come Birdman. Insomma, nessuno è perfetto. Ma leggere le sue recensioni è pur sempre un piacere. Come bere un bicchiere d'acqua (perdonami Ford, ma io e il white russian non ci conosciamo). 


Personalmente è stata la sorpresa di quest'anno. Ho letto solo quattro delle sue numerose recensioni e sono rimasto piacevolmente colpito dal suo stile passionale da cui traspare un grande amore verso la settima arte. Gli auguro centomila recensioni.

4) Nulla di Preciso

Io e Margherita sappiamo cosa vuol dire aver terminato l'avventura de L'amica geniale di Elena Ferrante. Un premio è proprio quello che ci vuole per lenire la smarginatura. A parte ciò, si barcamena tra cinema e letteratura con scioltezza e passione ed è come se accogliesse i lettori con una tazza di the. Leggetela.


Al caro Jean Jacques vojo bene. A volte non comprende a pieno i film, è vero, ha dei pessimi gusti in fatto di attrici come se non bastasse, ma a differenza di quelli che si vantano di averne compreso tutte le sfumature, avendo al massimo compreso i titoli di coda, ti tira fuori recensioni intelligenti e soprattutto oneste. Merce rara al giorno d'oggi. 


Sul targhetta del premio che ho deciso di assegnare al blog gestito da Giocher e Dottor Massis (io credo ancora che siano la stessa persona affetta da un'intrigante schizofrenia) c'è scritto a chiare lettere maiuscole "SCRIVETE PIU' SPESSO, BOIA DE'". Se Giocher mi fa morire con un solo commento di poche righe, pensate cosa è in grado di fare con una recensione. 

7) Il Bollalmanacco di Cinema

La Bolla, come è conosciuta da tutti, oltre a essere simpatica e modesta, si getta nelle acque del trash e dei film tamarri con uno slancio che le invidio. Per quanto ami il trash, Sharknado non riuscirei mai a vederlo. Lei ha visto anche il sequel! E vedrà sicuramente il terzo. Il premio è anche per il coraggio. Ultima cosa: leggete la sua recensione su Pulp Fiction in occasione del And the Oscar goes to...

Infine ci tengo a ricordare che:
- il premio può essere assegnato dai vincitori ad altrettanti blogger meritevoli, contribuendo a creare, come tutti gli anni, una delle più gigantesche catene di Sant'Antonio che la storia della rete ricordi.
- premio e banner sono di mia creazione, quindi gradirei essere citato negli articoli.
- il Boomstick è un premio cazzuto. Se l'avete vinto non siete delle mezze cartucce, ma... se non rispettate le quattro semplici regole che lo caratterizzano, allora mezze cartucce diverrete. E vi beccherete d'ufficio, in quanto tali, il celeberrimo Bitch Please Award.






martedì 17 marzo 2015

La scopa del sistema di David Foster Wallace



David Foster Wallace e io non abbiamo un buon rapporto. Se fossimo usciti assieme lui si sarebbe portato dietro Jonathan Franzen mentre io mi sarei accompagnato con un AK-47 ben lucidato pronto per essere puntato contro la faccia occhialuta di quel radical-chic che con l'osannato (ingiustamente) Le correzioni ha impiegato 599 pagine per descrivere ciò che Tolstoj ha fatto nell'incipit di Anna Karenina. Tornando a Wallace, invece, abbandonai Brevi interviste con uomini schifosi, cosa che feci dopo un racconto o due con Oblio e La ragazza dai capelli strani pentendomi subito dell'acquisto. Mentre non riuscii mai ad andare oltre la prima veritiera frase de La scopa del sistema per ben due volte. Fino a due settimane fa quando preso da uno slancio l'ho afferrato dallo scaffale dove sonnecchiava pigramente e l'ho affrontato di petto; e con mia sorpresa non solo ho superato ampiamente la solita prima frase, ma sono arrivato all'ultima senza che il libro venisse scagliato anzitempo fuori dalla finestra della mia stanza, e vi dirò più: La scopa del sistema l'ho trovato addirittura gradevole.

Lenore Beadsman è una giovane donna di ventiquattro anni con splendide gambe, petto generoso, e l'amore per le parole trasmessogli dall'omonima bisnonna appassionata di Wittgenstein che un giorno vede bene di sparire assieme a una dozzina di altri ospiti dalla casa di riposo di proprietà della Stonecipheco Alimenti per l'Infanzia presieduta niente meno che dal ricco e prepotente padre di Lenore che invece di godersi gli agi paterni lavora come centralinista in una casa editrice con le linee momentaneamente in tilt dove il suo capouffico è Rick Vigorous, un uomo viscido, insicuro e paranoico, con il quale intrattiene una relazione, ma niente di serio e soprattutto vincolante. Lenore ha un fratello, Stonecipher LaVache Beadsman III chiamato "Anticristo", che al college è una specie di enciclopedia su due gambe, una di legna al cui interno conserva la ricompensa adeguata per il suo sapere elargito: marijuana. Ma Lenore ha anche un pappagallo di nome Vlad L'Impalatore che da poco ha cominciato a ripetere non solo il discorso di "addio al fidanzato" della sua coinquilina, ma sermoni religiosi che lo porteranno a essere una star di una emittente televisiva locale. Ah, dimenticavo: vi è anche un certo Norman Bombardini, ingegnere nucleare, che si strafoga di cibo rincorrendo il suo sogno, espandersi così tanto da inghiottire il mondo intero, e il seticente Dr. Jay, psichiatra che ha in cura sia Lenore sia Rick, fissato con le membrane e le brecce. 


David Foster Wallace a soli ventiquattro anni dimostra un certo talento per la descrizione di personaggi, ma un po' troppo autocompiacimento nella scrittura, e l'irrisolvibilità dell'intreccio narrativo segna un punto negativo al termine del libro di cui ci resta il ricordo di un fiume a tratti impetuoso, a tratti placido con qualche screzio di luce sulla superficie, poi silenzioso e nuovamente roboante che lascia però dietro di sé come detriti domande e misteri che l'autore lascia senza risposte, senza soluzioni. 

La narrazione è a incastro ed è spesso stimolante e divertente seppur alcuni paragrafi siano assiduamente barbosi: può capitare che un paragrafo risulti opaco e solo dopo tre pagine o la fine di una frase risultare pulito come Lenore che si fa circa otto docce al giorno. Ne La scopa del sistema leggeremo le trascrizioni delle sedute con il Dr. Jay oltre ai racconti grotteschi raccontati da Rick su richiesta di Lenore e soprattutto i paragrafi di una serie di racconti avente come protagonista l'agente immobiliare Fieldbinder di cui non vi dirò chi è l'autore. E c'è da dire che i dialoghi sono tra i più veri che abbia letto. Ma di tutto questo fiume di parole, situazioni insolite, personaggi al limite della follia e della paranoia sotto il sole di Cleveland che cosa ci resta? La consapevolezza di aver compiuto un viaggio nella parola logorroica, ridondante, espressiva e l'amara scoperta di una destinazione muta.


Denny B.






giovedì 12 marzo 2015

Foxcatcher - Una storia americana (2014)

Foxcatcher

★★★


Il campione olimpico Mark Schultz (Channing Tatum) viene contattato da alcuni emissari del miliardario John du Pont (Steve Carell), erede della famiglia più ricca d'America, che vuole costituire un team di lottatori di wrestling che tenga in alto l'onore degli Usa alle Olimpiadi di Seul del 1988. John sarà il finanziatore nonché il coach. Mark vede l'occasione di potersi distanziare dalla figura di suo fratello Dave (Mark Ruffalo), anch'esso campione, ma presto si accorgerà dei problemi psichici di cui soffre Du Pont. 



In Foxcatcher, il terzo film di Bennett Miller (Truman Capote - A sangue freddo e Moneyball) da oggi nelle sale, non ci sono vincitori: solamente sconfitti. Anche noi spettatori periamo sotto la celluloide di una pellicola dai toni spenti, come una foglia di salvia, diretta con precisione da Bennett Miller, il menestrello americano della perdita, e interpretata da un trio di attori - Steve Carell, Channing Tatum e Mark Ruffalo - i cui ruoli, simboleggiando la solitudine, il desiderio di riscatto, e l'ancora familiare, raccontano un dramma oscuro terribilmente triste e vero, un lento horror-thriller psicologico. Un grande film americano sulla perdita del sogno stesso. 



Foxcatcher - che è tratta da una storia vera come i precedenti film di Miller - non è una noiosa ricostruzione cronistica, ma un cucchiaio che lentamente e costantemente scava nella psicologia dei suoi personaggi. Il regista preferisce che siano i gesti, gli sguardi e i silenzi a parlare. I fratelli Schultz sono uniti dall'amore per lo sport del wrestling, entrambi medaglia d'oro alle olimpiadi di Los Angeles nel 1987, e il loro rapporto consiste in dure sezioni di allenamento e abbracci teneri e poche frasi, ma confortanti. Quando Mark rientra a casa non ha nessuno che lo aspetta: ripone la medaglia nella sua preziosa scatola, cena con cibi proteici, e gioca con un piccolo videogioco elettronico. Non ha una famiglia a differenza di Dave e quando il facoltoso John Du Pont gli dimostra, con la sua offerta, di credere in lui, per un po' di tempo si sente meno solo e apprezzato veramente da una persona nelle cui vene non scorra il suo stesso sangue. 



John du Pont, interpretato da un grandioso e irriconoscibile Steve Carell, fu l'erede di una delle dinastie più antiche d'America, proprietario dell'azienda chimica più grande del paese, che impiegò 800 acri di terreno della sua enorme tenuta in Pennsylvania per costruire una struttura di formazione e preparazione per atleti professionisti con il sogno di portare a essere la Foxcatcher una scuola d'atleti rinomata in tutto il mondo. John du Pont vive in una tenuta immensa con la madre allevatrice di cavalli di razza. Osservatelo immerso nella natura indifferente e anziana colta sempre sul punto di morire mentre lui, paziente rapace, riflette sulle proprie vittime. John du Pont è un uomo tanto ricco quanto triste. Credo che "I soldi non fanno la felicità" possa averlo detto lui per primo. 



Non ha un solo amico. Sua madre, appassionata di cavalli, arrivò a pagare il figlio del suo autista affinché fosse suo amico. Non ci stupiamo dei suoi occhi che fanno capolino da un volto antico come la sua dinastia e dai cambi di tono che rivelano insicurezza nel problematico John du Pont il quale desidera più di ogni altra cosa l'approvazione dell'austera madre, proprio come un bambino. C'è una scena - forse la migliore di tutte - che la descrive con chiarezza: nella palestra Foxcatcher Dave sta allenando gli atleti mentre John passeggia, mano dietro la schiena, supervisionando la preparazione, fino a quando non entra sua madre in sedia a rotelle accompagnata da una donna della servitù, abbassatasi a vedere lo sport che tanto appassiona il figlio, e quest'ultimo subito batte le mani e chiama a raccolta gli atleti e inizia un discorso motivazionale neanche fosse un generale di fronte alle sue truppe. Addirittura fa qualche mossa base dispensando consigli inutili ad atleti che quelle mosse le hanno ormai tatuate in testa solo per mostrarsi l'allenatore, il mentore, il leader a cui ha detto alla madre di essere, per avere in cambio un obolo di approvazione che non vedrà mai scendere sul suo viso. 



Bennett Miller non deve scriverci a caratteri cubitali che John du Pont soffre di seri problemi psichici perché lo capiamo da soli: basta abituarsi alla sua inquietante presenza e ai suoi discorsi deliranti sulla leadership che durante le riprese di un documentario Dave è quasi costretto a confermare. E' dai tempi di Toro scatenato e Robert De Niro e Joe Pesci che non vedevo dei fratelli così convincenti come Mark Ruffalo e Channing Tatum il cui rapporto è l'unica nota dolce, seppur sempre malinconica, di Foxcatcher, un film austero, agghiacciante eppure emozionante, che nel finale ci mette ko con un gancio beffardissimo: il pubblico che urla "USA! USA! USA!" una volta che Mark sale sul ring. Peccato che quando era medaglia d'oro e campione del mondo mai una sola volta il pubblico lo aveva incitato con una tale foga. 



Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: Foxcatcher
Lingua originale: inglese
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 2014
Durata: 134 min
Generedrammatico, biografico, sportivo
Regia: Bennett Miller
Soggetto: Mark Schultz
Sceneggiatura: Dan Futterman, E. Max Frye
Produttore: Bennett Miller, Anthony Bregman, Megan Ellison, Jon Kilik
Produttore esecutivo: Michael Coleman, Tom Heller, Ted Schipper, Ron Schmidt
Casa di produzione: Annapurna Pictures, Likely Story, Media Rights Capital
Distribuzione (Italia) : BiM Distribuzione
Fotografia: Greig Fraser
Montaggio: Stuart Levy
Effetti speciali: Jim Heastings
Musiche: Mychael Danna
Scenografia: Jess Gonchor
Costumi: Kasia Walicka-Maimone
Trucco: Bill Corso, Dennis Liddiard

Interpreti e personaggi:
Channing Tatum: Mark Schultz
Mark Ruffalo: Dave Schultz
Steve Carell: John du Pont
Sienna Miller: Nancy Schultz
Anthony Michael Hall: assistente di du Pont
Vanessa Redgrave: Jean Liseter Austin

Denny B.



lunedì 9 marzo 2015

Moneyball - L'arte di vincere (2011)

Moneyball


★★★★

Gli Oakland Athletics, al termine della stagione 2001, vengono sconfitti dai New York Yankees, non possono partecipare alle World Series, inoltre tre stelle del baseball se ne vanno da Oakland a fine contratto. Come se non bastasse il general manager Billy Beane (Brad Pitt) si vede negare dalla società un aumento di budget per poter permettersi validi giocatori, ma durante un incontro di mercato con i dirigenti dei Cleveland Indians Beane nota Peter Brand (Jonah Hill), un giovane laureato in economia a Yale con idee innovative su come si valuta un giocatore di baseball, e lo assume come assistente general manager degli Oakland Athletics. Basandosi esclusivamente sulla percentuale che indica il numero di volte in cui un giocatore conquista una base senza aiuto di penalità. Billy e Peter mettono assieme una squadra di atleti sottovalutati che farebbe storcere il naso a chiunque gli addetti ai lavori, ma presto, inaspettatamente, cominceranno a ottenere dei risultati.



Brad Pitt, lungo l'arco della sua carriera, raramente mi ha saputo regalare un'emozione, e si è mostrato come un attore più che convincente in pochissimi film, che si possono contare sulle dita di una mano: Seven, The Tree of Life, Bastardi senza gloria, Babel, e Moneyball. Cosa hanno in comune questi film? La rara qualità di quei registi - rispettivamente Fincher, Malick, Tarantino, Inarritu e Miller - che sanno trasformare gli attori mediocri in attori ottimi e che a volte, come nel caso del Truman Capote di Miller, danno l'opportunità a un mostro di bravura qual era Philip Seymour Hoffman, di eccellere particolarmente regalando al mondo un autentico capolavoro di recitazione. In Moneyball - L'arte di vincere Brad Pitt non potrà mai essere accostato ai fuoriclasse, ma, interpretando il ruolo di Billy Beane, dimostra che, se diretto dal regista giusto, può far emozionare anche chi non lo ama come gli americani amano il baseball. 



Nel 2002 una squadra di baseball, gli Oakland Athletics, formata da venti giocatori considerati tra i più scarsi dagli scouts di tutta la Major League, riuscì a vincere venti partite di seguito, stabilendo un nuovo incredibile record nell'American League, dopo undici sconfitte di fila. Moneyball non è un semplice e banale film sullo sport. Ma è un film di guerra, sì: tra la statistica e l'intuizione. Tra la vecchia guardia dei talent scouts che dietro la rete di un campetto osservano i ragazzi giocare a baseball analizzandone ogni colpo messo a tiro e una nuova guardia, un nuovo modo di vedere il baseball attraverso la statistica e la percentuale di basi conquistate da ogni giocatore, che grazie a Billy Bean e Peter Brand divenne un vero e proprio metodo poi adottato anche dalle più importanti squadre della Major League. Spendendo poco più di duecentomila dollari a giocatore, Bean e Brand misero su una squadra all'apparenza debole e senza speranza, ma che, con lo scorrere delle partite, degli scambi e delle aculate contrattazioni, mandarono fuori campo i pregiudizi di qualsiasi addetto al baseball. 



Billy Bean è un uomo solitario, ha alle spalle non solo un matrimonio fallito, che gli ha dato una figlia dodicenne che canta con la sua voce tenera quasi un presagio, ma soprattutto una grigia carriera come giocatore di baseball risultato di una svista di un talent scouts che vide in lui quel talento più unico che raro che negli anni non lo portò mai a brillare come atleta della Major League. Assieme a Peter Brand - interpretato da Jonah Hill - vuole andare a rivoluzionare il baseball con un metodo che ignora le solite dinamiche adottate da anni da centinaia di scouts e seppur all'inizio la squadra formata tramite la statistica non sembra funzionare come vorrebbe, tanto che Billy si scontrerà diverse volte con l'allenatore (un duro e serissimo Philip Seymour Hoffman), ma a seguito di scambi di giocatori - ottime le scene di Brad Pitt e Jonah Hill mentre contrattano telefonicamente con gli altri general manager - e dopo ben undici sconfitte, la squadra raccoglie vittorie una dietro l'altra arrivando ad abbattere il record della striscia di vittorie più lunga dell'American League. Ma a Billy non basta. Lui vuole cambiare il baseball e non si rende conto che è il baseball ad aver cambiato lui. Poteva andare al college, laurearsi, e andare allo stadio solamente come spettatore. Il baseball gli ha dato solo delusioni eppure  "Come si fa a non essere romantici con il baseball?"



Moneyball - L'arte di vincere è un film bellissimo e intelligente con un cuore che batte calda malinconia il cui ultimo battito scalfirà ben più di una palpebra. Non v'è soddisfazione in Bennett Miller se lo spettatore, dopo un suo film, non si sente devastato; è come se un punteruolo avesse trovato una crepa nascosta sul nostro muro intonacato di fresco. "Sei un perdente papà. Goditi lo show" canta la figlia, poi le scritte bianche su sfondo nero che precedono i titoli di coda, ed è come se ci avessero scagliato fuori dal campo con un colpo inaspettato. 

Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):


Titolo originale: Moneyball
Lingua originale: inglese
Paese di produzione: USA
Anno: 2011
Durata: 133 min
Generedrammatico, biografico, sportivo
Regia: Bennett Miller
Soggetto: Michael Lewis (libro) Stan Chervin
Sceneggiatura: Steven Zaillian, Aaron Sorkin
Produttore: Michael De Luca, Rachael Horovitz, Brad Pitt
Produttore esecutivo: Scott Rudin, Andrew Karsch, Sidney Kimmel, Mark Bakshi
Casa di produzione: Michael De Luca Productions, Scott Rudin Productions, Specialty Films
Distribuzione (Italia): Sony Pictures Italia
Fotografia: Wally Pfister
Montaggio: Christopher Tellefsen
Effetti speciali: Robert Cole
Musiche: Mychael Danna
Scenografia: Jess Gonchor
Costumi: Kasia Walicka-Maimone

Interpreti e personaggi:
Brad Pitt: Billy Beane
Jonah Hill: Peter Brand
Philip Seymour Hoffman: Art Howe
Robin Wright: Sharon
Chris Pratt: Scott Hatteberg
Stephen Bishop: David Justice
Reed Diamond: Mark Shapiro
Brent Jennings: Ron Washington
Ken Medlock: Grady Fuson
Tammy Blanchard: Elizabeth Hatteberg
Jack McGee: John Poloni
Vyto Ruginis: Pittaro
Nick Searcy: Matt Keough
Glenn Morshower: Ron Hopkins
Casey Bond: Chad Bradford
Nick Porrazzo: Jeremy Giambi
Kerris Dorsey: Casey Beane
Spike Jonze: Alan

Doppiatori italiani:
Sandro Acerbo: Billy Beane
Simone Crisari: Peter Brand
Paolo Marchese: Art Howe
Chiara Colizzi: Sharon
Margherita De Risi: Casey Beane
Emilio Cappuccio: Grady Fuson

Denny B.


venerdì 6 marzo 2015

Truman Capote - A sangue freddo (2005)

Capote

★★★★

Kansas. 1959. L'intera famiglia Clutter viene sterminata da due assassini. Il famoso scrittore di Colazione da Tiffany, Truman Capote (Philip Seymour Hoffman), rimasto colpito da questo cruento fatto di cronaca, decide di dedicarsi alla stesura di un romanzo-documento che lo terrà impegnato per i prossimi sei anni. Capote, grazie anche all'aiuto della sua amica Harper Lee (Catherine Keener) ha accesso ai verbali e alla foto delle indagini e per un lungo periodo di tempo intrattiene un rapporto di amicizia con uno dei due assassini, Perry Smith (Clifton Collins Jr.), facendosi rivelare i reali fatti accaduti quella notte in Kansas.


L'interpretazione di Philip Seymour Hoffman in Truman Capote - A sangue freddo è un capolavoro dell'arte della recitazione. Non si limita a piegare il suo tono di voce a quello sottile e fragile di Truman Capote, ma ne fa un ritratto arguto e straordinario di un uomo con le sue peculiarità, le sue risate raschianti, la sua fervida intelligenza e la profondità di un animo sensibile che reca ferite difficili da rimarginare. Un uomo di lettere che con un libro - A sangue freddo - non solo diventa lo scrittore più famoso d'America, ma inventa un genere letterario del tutto nuovo: il romanzo-documento. 



Stando a stretto contatto con gli artefici dell'atto crudele che sconvolse il Kansas nel 1959 - soprattutto con uno in particolare, Perry Smith, di origine indiana, talento nel disegno, di cui Truman disse "Sembra che siamo nati nella stessa casa, solo che io sono uscito dalla porta principale mentre lui da quella sul retro" - Truman Capote capta ogni emozione, prosciuga ogni minuto a sua disposizione affinché il libro venga alla luce dopo un doloroso travaglio. E' incredibile, a un certo punto, come Truman Capote non veda l'ora che sia tutto finito: "Se loro (gli assassini) avranno un altro rinvio della pena io sento che avrò un esaurimento nervoso" dice seduto al bancone del bar durante la festa data da Harper Lee per la pubblicazione di Il buio oltre la siepe, che da lì in poi divenne un classico della letteratura americana. Perry gli scrive dal carcere pregandolo di aiutarlo mandandogli un avvocato capace, ma Truman accatasta le numerose lettere salvo rispondere in maniera telegrafica che è desolato però non può essere di alcun aiuto. Non dimentichiamolo: Truman Capote è uno scrittore e come ogni scrittore che incontra una persona che stuzzica il suo genio letterario una volta che si è cibato della sua storia mettendola su carta la getta con noncuranza nell'immondizia. La razza degli scrittori è la più egoistica che esista al mondo, parafrasando Philip Roth in uno dei suoi romanzi dedicati allo scrittore fittizio Nathan Zuckerman. 



Se confrontiamo A sangue freddo con i precedenti romanzi di Truman Capote ci rendiamo conto come sia vera la frase che pronuncia durante una delle tante feste che animava con i suoi racconti. "Io sono nato per scrivere questo libro". E anche morirci, si può aggiungere. La stesura lo impegnò per ben sei anni e in seguito non portò a termine alcun romanzo. Il suo genio letterario che se ne va dalla porta sul retro proprio come Perry. Altre voci altre stanze e L'arpa d'erba erano romanzi di formazione con protagonisti fanciulleschi inseriti nell'ostile mondo adulto delle contraddizioni, scritti con una prosa delicata, flebile, come la sua voce, come la sua figura di adulto che altro non è che un bambino che si veste con il cappotto lungo e le scarpe del papà per passare in mezzo alle persone grandi lasciando una scia che può benissimo essere quella della fatina Trilly. 



Truman Capote - A sangue freddo di Bennett Miller è un biopic-thriller austero completamente sorretto da un Philip Seymour Hoffman gigantesco che offre il ritratto perfetto di uno degli scrittori più famosi e discussi d'America che scava dentro la psicologia di un assassino con la stessa tenacia e intelligenza di un regista al suo prossimo film. Rivedendolo è fin troppo chiaro come la scomparsa di Hoffman sia stata, per usare un eufemismo, fin troppo prematura come la perdita del genio di Truman Capote dopo il punto finale del suo ultimo romanzo compiuto. 


Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: Capote
Paese di produzione: Canada, USA
Anno: 2005
Durata: 114 min
Generebiografico, drammatico
Regia: Bennett Miller
Soggetto: Gerald Clarke (libro)
Sceneggiatura: Dan Futterman
Produttore: Caroline Baron, William Vince, Michael Ohoven
Fotografia: Adam Kimmel
Montaggio: Christopher Tellefsen
Effetti speciali: Mark Gebel
Musiche: Mychael Danna
Scenografia: Jess Gonchor
Costumi: Kasia Walicka-Maimone

Interpreti e personaggi:
Philip Seymour Hoffman: Truman Capote
Catherine Keener: Harper Lee
Clifton Collins Jr.: Perry Smith
Chris Cooper: Alvin Dewey
Bruce Greenwood: Jack Dunphy
Bob Balaban: William Shawn
Amy Ryan: Marie Dewey
Mark Pellegrino: Richard Hickock
Allie Mickelson: Laura Kinney
Marshall Bell: Warden Marshall Krutch

Doppiatori italiani:
Roberto Chevalier: Truman Capote
Laura Boccanera: Harper Lee
Michele Gammino: Alvin Dewey

Anna Rita Pasanisi: Marie Dewey

Denny B.