★★★★
E' la prima volta che parlo di una serie Tv e il motivo per cui non ne ho mai parlato finora è riscontrabile nel semplice fatto che detesto scrivere cinque o sei paragrafi su Breaking Bad, Game of Thrones o Daredevil quando capolavoro, mediocrità e sorpresa-spacca-mascella li descrivono rispettivamente in maniera più esauriente rispetto a una recensione dettagliatissima e logorroica. Con The Leftovers è successa una cosa che mi è capitata assai raramente: sentivo costantemente il bisogno di parlarne, scriverne, discuterne, gioire della decisione delll'HBO di rinnovarla e intristirmi allo stesso tempo per il fatto che la terza stagione sarà anche l'ultima, e il risultato è stato questo post per nulla esauriente, soprattutto banale, stando attento a non spoilerarvi nulla, che ha un unico semplice scopo ovvero quello di consigliarvene caldamente il recupero.
Il 14 ottobre (di un anno imprecisato) all'improvviso sparisce nel nulla il 2% della popolazione mondiale, circa 140 milioni di persone. L'accaduto è quantomai inspiegabile: c'è chi ipotizza a un esperimento dei governi, chi afferma sia avvenuto il Rapimento della Chiesa (dottrina basata sull'Apocalisse secondo cui Gesù scenderà sulla Terra per portare con sé i cosiddetti nati di nuovo) o chi pensa semplicemente sia un evento mistico. Nella cittadina di Mapleton (dove si svolgono le vicende della prima stagione) sono sparite oltre cento residenti e qui, chi è rimasto, tenta di vivere in un mondo scosso, impaurito, bisognoso più che mai di qualcosa in cui credere.
A Mapleton iniziamo a fare la conoscenza del capo della polizia Kevin Garvey (Justin Theroux), forse il poliziotto più sfortunato e scalcagnato che sia mai apparso sul piccolo schermo: istintivo, spesso insicuro, oltre a dover aver a che fare con una complicata figlia adolescente, Jill (Margaret Qualley), il cui sorriso non è mai invitato sul suo pallido volto, è tormentato da strani sogni e visioni inquietanti che gli fanno temere di finire come suo padre: matto e rinchiuso in un istituto psichiatrico. Kevin ha anche un altro figlio, Tom (Chris Zylka), che ha lasciato il college per seguire un uomo misterioso chiamato Santo Wayne (Wayne Gilchrest) il quale, si dice, riesca a eliminare il dolore delle persone soltanto abbracciandole.
La cittadina di Mapleton è piagata dalla presenza di una specie di setta, i Colpevoli Sopravvissuti, i cui membri sono facilmente riconoscibili: vestono di bianco, fumano una sigaretta dietro l'altra, si appostano a coppie di fronte alle case dei residenti, prendendosi ingiurie, improperi e spesso qualche pugno o calcio, e soprattutto non parlano mai; per comunicare utilizzano carta e penna. A capo di questa organizzazione c'è Patti Levine (una straordinaria Ann Dowd).
Per ultimi abbiamo il reverendo Matt Jamison (Chrisopher Eccleston), una volta figura di spicco della comunità, ora ridotto a officiare messa davanti a una schiera di fedeli sempre più misera e a distribuire nel tempo libero volantini recanti le malefatte delle persone scomparse a Mapleton al fine di dimostrare che, non essendo affatto dei santi, l'implicazione religiosa non c'entra affatto con la sparizione. Ha una moglie, Mary, che da quel 14 ottobre non è più autosufficiente, ma Matt si prende cura di lei con un amore commovente. Infine abbiamo Nora Durst (Carrie Coon) il cui marito e i due figli sono scomparsi nel nulla mentre era in cucina: lavora per il governo nel Dipartimento dell'Improvvisa Dipartita e si porta dentro un dolore così pesante che la rende sarcastica e spesso cinica. In realtà è una donna forte, determinata, con una grande paura: affezionarsi di nuovo a qualcuno e perderlo.
The Leftovers è un dramma tratto dal libro di Tom Perrotta, Svaniti nel nulla, e adattato per la televisione da quest'ultimo assieme a Damon Lindelof che tutti conosceranno per essere uno degli sceneggiatori e creatori della serie Lost (di cui non ho mai visto una sola puntata forse perché mi hanno violentemente spoilerato il finale?). Questo gioiello di serie Tv non riflette soltanto sulla religione, ma vuole indagare il modo in cui reagiscono le persone dopo la scomparsa di un proprio caro e la conseguente elaborazione del lutto. Spesso, per il dolore insopportabile, ci si aggrappa a qualsiasi guru o eletto, non importa che sia colui che ci libera dal dolore con un abbraccio o chi dall'impronta di una mano è in grado di predirci il futuro, al fine di rivedere la vita sotto un'altra luce dopo le vicende che ci hanno messo in ginocchio.
All'inizio consideravo la regia troppo piatta e anonima, poi ho capito che il dolore, per essere ripreso, non ha bisogno di chissà quali carrellate o piani sequenza, ma ha necessità di prove attoriali forti, che si spingano oltre a una semplice e facile espressione facciale, che facciano parlare il corpo e la postura, e il cast di attori di The Leftovers compie questo sforzo eccellendo in tutto: Christopher Eccleston, Justin Theroux e Carrie Coon sono superbi e Ann Dowd in due scene fa venire i brividi per quanto è brava; per non parlare dell'interpretazione sentita e fisica di Wayne Gilchrest - il cui personaggio è un omaggio a Il miglio verde - mai citato da nessuna parte.
Se la prima stagione poneva tanti di quegli interrogativi da esasperare il pubblico nella seconda stagione il mio atteggiamento è stato decisamente diverso: ho smesso di desiderare delle risposte, ho smesso di alambiccarmi tanto Damon Lindelof & Co. non mi avrebbe mai accontentato e mi sono goduto il viaggio che si è rivelato essere tra le cose più belle viste quest'anno. Mi sono fidato di quest'uomo e del suo valido team di sceneggiatori e sono stato ripagato.
Infatti è durante la meravigliosa seconda stagione di The Leftovers (perfetta sotto ogni aspetto) che vi imbatterete in non uno bensì due tra gli episodi più belli che possiate vedere in tutta la vostra vita. Due episodi che possono senza problemi essere accostati ai mostri sacri quali Caccia al russo de I Soprano (ne cito uno, ma sono dal primo all'ultimo dei capolavori), La mosca di Breaking Bad (idem come prima), Quattro casi di Dr. House, Il segno dei tre di Sherlock e il Christmas Special di Black Mirror. Vorrei tanto raccontarveli, questi due, rendervi partecipi della potenza delle immagini che vedrete (spero), di una sceneggiatura assolutamente magistrale che ammirerete in ogni sua sfaccettatura, non dimenticando le lacrime che verserete nel primo e le espressioni di stupefatta incomprensione che avrete durante il secondo. Ma è solo arrivati all'episodio finale di The Leftovers che in due momenti avrete gli occhi rotti dal pianto come nel finale di Una storia vera di David Lynch. Quella frase, che viene pronunciata prima che lo spettatore sia lasciato a contemplare i titoli di coda tra le lacrime, davanti a quel viso stravolto che si è meritato tutte le seconde possibilità che la vita può riservare, è soltanto il miglior finale che si potesse sognare per una grande serie come questa.
The Leftovers è un dramma tratto dal libro di Tom Perrotta, Svaniti nel nulla, e adattato per la televisione da quest'ultimo assieme a Damon Lindelof che tutti conosceranno per essere uno degli sceneggiatori e creatori della serie Lost (di cui non ho mai visto una sola puntata forse perché mi hanno violentemente spoilerato il finale?). Questo gioiello di serie Tv non riflette soltanto sulla religione, ma vuole indagare il modo in cui reagiscono le persone dopo la scomparsa di un proprio caro e la conseguente elaborazione del lutto. Spesso, per il dolore insopportabile, ci si aggrappa a qualsiasi guru o eletto, non importa che sia colui che ci libera dal dolore con un abbraccio o chi dall'impronta di una mano è in grado di predirci il futuro, al fine di rivedere la vita sotto un'altra luce dopo le vicende che ci hanno messo in ginocchio.
All'inizio consideravo la regia troppo piatta e anonima, poi ho capito che il dolore, per essere ripreso, non ha bisogno di chissà quali carrellate o piani sequenza, ma ha necessità di prove attoriali forti, che si spingano oltre a una semplice e facile espressione facciale, che facciano parlare il corpo e la postura, e il cast di attori di The Leftovers compie questo sforzo eccellendo in tutto: Christopher Eccleston, Justin Theroux e Carrie Coon sono superbi e Ann Dowd in due scene fa venire i brividi per quanto è brava; per non parlare dell'interpretazione sentita e fisica di Wayne Gilchrest - il cui personaggio è un omaggio a Il miglio verde - mai citato da nessuna parte.
Se la prima stagione poneva tanti di quegli interrogativi da esasperare il pubblico nella seconda stagione il mio atteggiamento è stato decisamente diverso: ho smesso di desiderare delle risposte, ho smesso di alambiccarmi tanto Damon Lindelof & Co. non mi avrebbe mai accontentato e mi sono goduto il viaggio che si è rivelato essere tra le cose più belle viste quest'anno. Mi sono fidato di quest'uomo e del suo valido team di sceneggiatori e sono stato ripagato.
Infatti è durante la meravigliosa seconda stagione di The Leftovers (perfetta sotto ogni aspetto) che vi imbatterete in non uno bensì due tra gli episodi più belli che possiate vedere in tutta la vostra vita. Due episodi che possono senza problemi essere accostati ai mostri sacri quali Caccia al russo de I Soprano (ne cito uno, ma sono dal primo all'ultimo dei capolavori), La mosca di Breaking Bad (idem come prima), Quattro casi di Dr. House, Il segno dei tre di Sherlock e il Christmas Special di Black Mirror. Vorrei tanto raccontarveli, questi due, rendervi partecipi della potenza delle immagini che vedrete (spero), di una sceneggiatura assolutamente magistrale che ammirerete in ogni sua sfaccettatura, non dimenticando le lacrime che verserete nel primo e le espressioni di stupefatta incomprensione che avrete durante il secondo. Ma è solo arrivati all'episodio finale di The Leftovers che in due momenti avrete gli occhi rotti dal pianto come nel finale di Una storia vera di David Lynch. Quella frase, che viene pronunciata prima che lo spettatore sia lasciato a contemplare i titoli di coda tra le lacrime, davanti a quel viso stravolto che si è meritato tutte le seconde possibilità che la vita può riservare, è soltanto il miglior finale che si potesse sognare per una grande serie come questa.
Bellissima recensione per una serie ingiustamente sottovalutata. Veramente una serie potente e ricca di spunti per riflettere.
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