mercoledì 2 settembre 2015

Follie di Brooklyn di Paul Auster


Lo stile è tutto. La storia può essere la più semplice di tutte, ma se è narrata con uno stile inconfondibile e ricco, allora è in grado di elevarsi sopra la marmaglia cartacea vigente. Un esempio lampante: La strada di Cormac McCarthy - doverosa premessa: piantatela, e ripeto, piantatela di definirlo il capolavoro dello scrittore perché non lo è manco se restasse l'unica sua opera sopravvissuta a un incendio - narra di un padre e di suo figlio che tentano di sopravvivere in un mondo post-apocalittico. Punto e basta. Il resto lo fa l'epicità del suo stile inconfondibile. Follie di Brooklyn di Paul Auster non è nient'altro che una soap opera. Ma - attenzione - ben scritta. Niente a che vedere con gli sceneggiatori di Beautiful e Centovetrine, per intenderci. Auster è uno che il suo mestiere lo svolge con tutto l'amore del mondo e anche con una certa dose di metaletteratura e giochi a specchio e a incastri stando alla trama di Trilogia di New York (stupenda la copertina della riedizione Einaudi), che ho letto una ventina di volte in tutto senza mai decidere di buttarmi oltre la dedica a inizio libro, e con questo libro credo abbia voluto prendersi una pausa scrivendo qualcosa di più fresco, leggero, che scorra via lasciando dietro di sé pochi detriti, e magari folle, direte voi, macché: folle sarebbe solo leggerlo una seconda volta. 

Nathan Glass, sessantenne ormai in pensione, è tornato nella sua cara e vecchia Brooklyn che non vedeva da più di cinquant'anni, per cercare "un posto tranquillo per morire" e nel frattempo scrivere Il libro della follia umana. Si aspetterebbe che la vita lo lasci in pace invece mai come arrivato a quest'età essa gli morderà le caviglie come un cane bisognoso di una passeggiata che costringe il padrone ad agguantare il guinzaglio e uscire fuori dalla porta di casa. Nel quartiere di Park Slope incontrerà nuovamente suo nipote Tom - brillante studente di lettere da cui ci si aspettava una carriera accademica gloriosa con uno strascico di pubblicazioni prestigiose, finito a fare prima il taxista e poi il commesso in una libreria del quartiere dopo aver deliberatamente abbandonato gli studi a causa di un arenamento sulla tesi su Melville - si prenderà una cotta per la bella e giovane Marina, cameriera del Cosmic Diner, e arriverà ad essere al corrente della movimentata (e poco dedita alla legalità) esistenza di Harry Brightman, il datore di lavoro di Tom - sicuramente il personaggio più frizzante del romanzo - fino a prendersi momentaneamente cura di Lucy, la figlia della sorella di Tom, Aurora, la quale sparisce con la stessa velocità con cui entra in scena. 

Tolta qualche succosa curiosità letteraria (lo sapevate che Kafka incontrò una bambina piangente in un parco e dopo aver scoperto che non trovava più la sua bambola impiegò tre settimane a scrivere le lettere, firmate dalla bambola, che poi puntualmente ogni giorno leggeva alla bambina per sopperire così al dolore a seguito della sua scomparsa?) e qualche bel paragrafo - "Noi due insieme eravamo come come un pomeriggio della seconda metà di ottobre, uno di quei luminosi giorni d'autunno sotto un cielo azzurro vivido, refoli frizzanti nell'aria e un milione di foglie ancora sui rami... marrone perlopiù, ma con ancora abbastanza ori e rossi e gialli per farti venir voglia di restare all'aperto il più a lungo possibile"di follie vere e proprie non ne ho trovate, così come personaggi in grado di stabilire un contatto con me; non sono andato oltre la semplice osservazione distaccata. Insomma, mi aspettavo le follie, mi sono trovato Brooklyn. Beh, meglio di niente. 

1 commento:

  1. Altro autore che approfondirei se avessi abbastanza tempo ed energie...

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