★★★ ½
Vinyl è rock, è blues, è la musica anni '70, è la disco music, è il punk. Prodotto da Mick Jagger, Martin Scorsese e Terence Winter, la serie Tv trasmessa da HBO è tra le conferme delizia-timpani dell'anno. L'episodio pilota di Vinyl è tra le cose più straordinarie che abbia girato Martin Scorsese: un'ora folle, esagitata, carismatica, brillante che si vorrebbe non finisse mai. Facciamo la conoscenza di Richie Finestra (il bravissimo Bobby Cannavale che gli intenditori ricorderanno per il ruolo di Gip Rosetti in Boardwalk Empire), fondatore e presidente dell'American Century Records, casa discografica sul punto di essere venduta. Richie, sposato con la bella Devon e con due figli, ha sempre avuto un orecchio d'oro con cui ha creato un impero dal nulla, ma la droga e gli eccessi l'hanno portato sull'orlo della bancarotta. Ma un incidente in cui scappa il morto e un concerto al quale assiste Richie dove i muri si crepano e il palazzo crolla lasciandolo illeso gli fanno ricordare che la vita è Rock e, mandati a quel paese i tedeschi a cui voleva inizialmente vendere, decide di risorgere dalla ceneri come una fenice portandosi appresso però le ire dei suoi soci. I primi quattro episodi sono eccellenti (il pilot è il migliore da circa cinque anni a questa parte). Stupendo è il il sesto (dove si omaggia David Bowie) e fantastico il settimo dal titolo The King and I. L'ultima scena del finale di stagione (Alibi) chiude con abilità il cerchio che ha inizio con il crollo del palazzo alla fine del primo episodio. Omaggi e riferimenti a True Detective, I Soprano, Il Padrino, Carlito's Way. Ma anche qualche difetto (si è distolto lo sguardo sui personaggi femminili e la componente mafiosa non è necessaria ai fini della serie). Speranze per la seconda stagione? Meno di zero. Terence Winter ha lasciato il posto di showrunner per divergenze creative (leggasi: licenziato), al suo posto due sconosciuti alle prime armi. God save the Rock e anche Vinyl.
Tratto da Una stagione selvaggia di Joe R. Lansdale, Hap and Leonard è l'affermazione dell'amicizia autentica dai toni pulp, country/western, con qualche non invitata fuoriuscita nell'horror. Hap e Leonard sono amici da sempre. Raccolgono rose sotto il sole cocente del Texas e sopravvivono tra una scazzottata nel fienile e una birra in compagnia. Hap Collins (James Purefoy) ha trascorso alcuni anni in prigione per diserzione e ha un debole per le donne (soprattutto per una, Trudy, con la quale stava per sposarsi). Leonard Pine (Michael Kenneth Williams), invece, è un afroamericano gay dal carattere fumantino che ha combattuto in Vietnam. La loro virile serenità però viene interrotta dal ritorno di Trudy (Christina Hendriks, ovvero Joan di Mad Men), una femme fatale che convincerà Hap - nonostante le rimostranze di Leonard il quale detesta Trudy - a partecipare al recupero di un'auto affondata nel fiume al cui interno si troverebbe un tesoretto di un milione di dollari. Tra una banda di hippie con la pretesa di cambiare il mondo smerciando droga solo ed esclusivamente per soddisfare la questione liquidità, un perverso narcotrafficante dal grilletto facile di nome Soldier (nota di merito a Jimmy Simpson) che si accompagna a una donna di nome Angel che di angelico non ha nulla (alta due metri, vesti di latex, tanga in bella vista, spietata orca assassina), Hap and Leonard si è rivelata come una delle sorprese dell'anno che i fan di Lansdale non possono lasciarsi scappare. Comunque, il penultimo episodio è di una violenza realistica a cui non ero più abituato.
E' meglio il libro di Stephen King o il film di Stanley Kubrick? Black Jesus, che domanda scassaquallera. Almeno ora so rispondervi con assoluta certezza: è meglio il film. Non che il libro sia una ciofeca non commestibile, tutt'altro, ma di fronte alla paura pura che il capolavoro kubrickiano riesce a infondere nel cuore, nella mente e nelle vene di chi lo guarda allora le descrizioni di King sembrano arcobalenose (tié, petaloso) come le code dei My Little Pony. Allo scrittore del Maine, però, voglio dare atto della sua discreta capacità di descrivere una famiglia disfunzionale preda di frecciate velenose, gelosie ed episodi di violenza domestica. Shining, più che un romanzo su un hotel infestato, è un romanzo su tre persone che non riescono a stare sotto lo stesso tetto senza che l'anima di uno si avveleni. Danny è un bimbo adorabile, Jack uno scrittore fallito facilmente irascibile, Wendy una moglie apprensiva e soffocante, e quando i genitori scherzano tra di loro, si sorridono, e sembrano amarsi come una volta, ti viene difficile credere che da lì a poche pagine l'Overlook Hotel (inquietante invenzione) inizierà il processo che porterà Jack Torrance alla follia. Il finale? Thank you, Stanley. Solo questo.
Canne al vento è uno dei classici della letteratura italiana che mi sono sempre ripromesso di leggere. Ci sono i romanzi di formazione, familiari, corali, il libro di Grazia Deledda è un romanzo di paese. Mentre leggi la sensazione provata è quella di esserci già stato in quei luoghi; forse nei sogni; o nel momento in cui le due palpebre sono ancora distese mentre l'occhio è già di per sé pronto a essere inghiottito dal buio. Siamo in un piccolo villaggio sulla costa tirrenica della Sardegna. In un umile poderetto di proprietà delle nobili donne Pintor vive Efix, devoto servo della famiglia da sempre, la cui esistenza è un pendolo che oscilla tra il poderetto che cura proprio come se fosse suo e la casa decadente in cui vivono le sue padrone, Ruth, Ester e Noemi, le quali conducono una vita accanto al lume della malinconia, come "i santi di legno nelle chiese" che "guardano, ma non vedono". Su Efix grava un pesante senso di colpa che non lo abbandona mai. Sogna con fervore la rinascita della nobile famiglia e questa speranza si riaccende quando Giacinto, il figlio di Lia Pintor (fuggita in America contro il volere dei genitori), arriva per la prima volta in paese. E porterà tutto tranne che la speranza.
Una prosa suggestiva, lirica e profumata. Le descrizioni dei paesaggi sono delicate, attraversate dalla fantasia e pregne di simbolismo e superstizione. Tra i personaggi principali e secondari spiccano saggezza popolare, istinti primitivi, orgoglio nobiliare, devozione, amore. Tutti sono "proprio come delle canne al vento [...] Siamo canne, e la sorte è il vento".
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Una prosa suggestiva, lirica e profumata. Le descrizioni dei paesaggi sono delicate, attraversate dalla fantasia e pregne di simbolismo e superstizione. Tra i personaggi principali e secondari spiccano saggezza popolare, istinti primitivi, orgoglio nobiliare, devozione, amore. Tutti sono "proprio come delle canne al vento [...] Siamo canne, e la sorte è il vento".
Parliamo di Vinyl in sincro oggi. Per me prima stagione capolavoro in quasi ogni suo aspetto. Per la seconda stagione un po' ci spero, però staremo a vedere...
RispondiElimina"Vinyl" devo vederlo! Mi spiace per Winter... :(
RispondiEliminaFelice che "Shining" ti sia piaciucchiato. Libro e film li trovo buoni nel loro rispettivo media, puntano su due tipi di paura diversa - anche se il finale del libro è un poco stucchevole, ammetto.