martedì 17 marzo 2015

La scopa del sistema di David Foster Wallace



David Foster Wallace e io non abbiamo un buon rapporto. Se fossimo usciti assieme lui si sarebbe portato dietro Jonathan Franzen mentre io mi sarei accompagnato con un AK-47 ben lucidato pronto per essere puntato contro la faccia occhialuta di quel radical-chic che con l'osannato (ingiustamente) Le correzioni ha impiegato 599 pagine per descrivere ciò che Tolstoj ha fatto nell'incipit di Anna Karenina. Tornando a Wallace, invece, abbandonai Brevi interviste con uomini schifosi, cosa che feci dopo un racconto o due con Oblio e La ragazza dai capelli strani pentendomi subito dell'acquisto. Mentre non riuscii mai ad andare oltre la prima veritiera frase de La scopa del sistema per ben due volte. Fino a due settimane fa quando preso da uno slancio l'ho afferrato dallo scaffale dove sonnecchiava pigramente e l'ho affrontato di petto; e con mia sorpresa non solo ho superato ampiamente la solita prima frase, ma sono arrivato all'ultima senza che il libro venisse scagliato anzitempo fuori dalla finestra della mia stanza, e vi dirò più: La scopa del sistema l'ho trovato addirittura gradevole.

Lenore Beadsman è una giovane donna di ventiquattro anni con splendide gambe, petto generoso, e l'amore per le parole trasmessogli dall'omonima bisnonna appassionata di Wittgenstein che un giorno vede bene di sparire assieme a una dozzina di altri ospiti dalla casa di riposo di proprietà della Stonecipheco Alimenti per l'Infanzia presieduta niente meno che dal ricco e prepotente padre di Lenore che invece di godersi gli agi paterni lavora come centralinista in una casa editrice con le linee momentaneamente in tilt dove il suo capouffico è Rick Vigorous, un uomo viscido, insicuro e paranoico, con il quale intrattiene una relazione, ma niente di serio e soprattutto vincolante. Lenore ha un fratello, Stonecipher LaVache Beadsman III chiamato "Anticristo", che al college è una specie di enciclopedia su due gambe, una di legna al cui interno conserva la ricompensa adeguata per il suo sapere elargito: marijuana. Ma Lenore ha anche un pappagallo di nome Vlad L'Impalatore che da poco ha cominciato a ripetere non solo il discorso di "addio al fidanzato" della sua coinquilina, ma sermoni religiosi che lo porteranno a essere una star di una emittente televisiva locale. Ah, dimenticavo: vi è anche un certo Norman Bombardini, ingegnere nucleare, che si strafoga di cibo rincorrendo il suo sogno, espandersi così tanto da inghiottire il mondo intero, e il seticente Dr. Jay, psichiatra che ha in cura sia Lenore sia Rick, fissato con le membrane e le brecce. 


David Foster Wallace a soli ventiquattro anni dimostra un certo talento per la descrizione di personaggi, ma un po' troppo autocompiacimento nella scrittura, e l'irrisolvibilità dell'intreccio narrativo segna un punto negativo al termine del libro di cui ci resta il ricordo di un fiume a tratti impetuoso, a tratti placido con qualche screzio di luce sulla superficie, poi silenzioso e nuovamente roboante che lascia però dietro di sé come detriti domande e misteri che l'autore lascia senza risposte, senza soluzioni. 

La narrazione è a incastro ed è spesso stimolante e divertente seppur alcuni paragrafi siano assiduamente barbosi: può capitare che un paragrafo risulti opaco e solo dopo tre pagine o la fine di una frase risultare pulito come Lenore che si fa circa otto docce al giorno. Ne La scopa del sistema leggeremo le trascrizioni delle sedute con il Dr. Jay oltre ai racconti grotteschi raccontati da Rick su richiesta di Lenore e soprattutto i paragrafi di una serie di racconti avente come protagonista l'agente immobiliare Fieldbinder di cui non vi dirò chi è l'autore. E c'è da dire che i dialoghi sono tra i più veri che abbia letto. Ma di tutto questo fiume di parole, situazioni insolite, personaggi al limite della follia e della paranoia sotto il sole di Cleveland che cosa ci resta? La consapevolezza di aver compiuto un viaggio nella parola logorroica, ridondante, espressiva e l'amara scoperta di una destinazione muta.


Denny B.






6 commenti:

  1. Altro autore che volevo iniziare a leggere. Proprio da questo romanzo, poi...

    PS: a me "Libertà" di Franzen è piaciucchiato, anche se poteva essere lungo cento pagine in meno e dire esattamente le stesse cose.

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    1. Io non credo riprenderò in mano i libri suoi che abbandonai precedentemente e non credo che prenderò il suo tomone Infinite Jest perché per fortuna non ho le gambe delle siede traballanti ;)

      Ps: poteva essere direttamente non scritto, fidati.

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  2. La seconda frase. La tua seconda frase di questo post.... e pignucolavo di gioia e soddisfazione (tipo quando in un film sta tutto per finire e all'ultimo secondo di incredibile tensione finisce a tarallucci e superalcolici, lei ritrova lui dato per morto, e l'altro riabbraccia le sue due bambine e la bellissima moglie, presentte? ) Così.. XD

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    1. Caro Giocher, se tu non esistessi, ti dovrebbero inventare :)
      Come farei senza i tuoi commenti esilaranti (e arguti)? Passa più spesso da queste parti.

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  3. Grazie a questa catena ho scoperto il tuo blog.. e meno male! Complimenti!

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  4. DFW è uno di quegli autori quasi mitologici che mi spaventa per tutta una serie di motivi (non ultimo proprio quell'aura sacra e di venerazione indie di cui è ammantato) e non credo leggerò qualcosa di suo, non adesso almeno. Ad ogni modo, se dovessi farlo, partirei da La scopa del sistema e non da Infinite Jest (pauraaaaaa).
    Povero Franzen, lo odi davvero tanto eh? Io ho amato più Libertà de Le correzioni, ma li ho amati entrambi; è un autore che, al di là della sua proverbiale saccenza e antipatia, mi piace assai :)

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