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Una notte, sulla provinciale di una città del Nord Italia, un ciclista viene investito da un Suv. L'incidente diviene il centro in cui s'irradiano le vicende di due famiglie: i Bernaschi, composta da Giovanni, Carla e il loro figlio Massimiliano legati alla speculazione finanziaria e gli Ossola composta da Dino, Roberta e sua figlia Serena che è un ambizioso immobiliarista sull'orlo del fallimento.
Il capitale umano è suddiviso in quattro capitoli i cui primi tre sono narrati ogni volta dal punto di vista di uno dei personaggi principali: Dino Ossola, un viscido imprenditore immobiliare con un marcato e insopportabile accento milanese interpretato da un macchiettistico Fabrizio Bentivoglio che si fa illudere dal mito intramontabile dei soldi facili offertagli dallo snob Giovanni Bernaschi (un Fabrizio Gifuni con un tono milanese fastidiosamente forzato), squalo della finanza che scommette sul crollo del mercato, sposato con Clara, classica moglie insoddisfatta che parla come se le dovesse venire un malore da un momento all'altro che gli viene il ticchio di salvare dal fallimento un teatro e che non si fa mancare una bella scopata con un professore in crisi creativa. Il loro figlio Massimiliano (un tale Guglielmo Pinelli che mi auguro di non vedere mai più in nessuna pellicola degna di essere chiamata tale) è uno svogliato giovane rampollo a cui viene ricordata in continuazione una cerimonia di premiazione e che è innamorato della sua migliore amica Serena (un'interessantissima Matilde Gioli), figlia degli Ossola che s'innamora invece di un reietto accusato in passato per detenzione di droga.
E il capitale umano cosa c'entra? Anzi, cos'è? Viene spiegato alla fine con una scritta bianca su sfondo nero: "con il termine capitale umano si intende l'insieme di conoscenze, competenze, abilità, emozioni acquisite durante la vita da un individuo e finalizzate al raggiungimento di obiettivi sociali ed economici, singoli o collettivi". L'ultimo lavoro di Paolo Virzì non è un thriller finanziario come mi sarei aspettato, alla Margin Call per intenderci, ma un noir familiare che descrive lo stato di degradazione di un paese irrecuperabile in cui si scommette sulla sua caduta dal burrone.
La critica italiana e non solo ha rotto tre quarti di gonadi per il luogo in cui è ambientato (la Brianza), cosa che ha fatto infuriare la comunità brianzola, ma forse il film non è stato visto perché il nome della città non viene mai citato, la vicenda potrebbe essere ambientata in qualunque città del Nord Italia se non fosse per gli accenti milanesi (o brianzoli?) fastidiosi come un'unghia incarnita come lo sono d'altronde i personaggi che popolano il film privo di una spietatezza che gli avrebbe fatto superare lo scoglio di "discreto film".
Virzì non osa, ed è un peccato, e non ho nulla da dire sulla sua regia pulita (e senza slanci arditi). Il suo film è una bozza non ancora pronta per essere inviata al pubblico e tu sei lì che ti struggi di dispiacere perché le carte per essere più che un buon film se non il film italiano più bello dopo quello di Sorrentino ci sono e puoi intravederle nel buio della notte in auto, nella contenuta disperazione di Dino o negli abbracci consolatori di Serena. Vi citerò solo una scena che riesce a rappresentare in maniera abbastanza esaustiva il degrado culturale che affligge il nostro paese: Clara ha invitato attorno a un tavolo gli amministratori del teatro che ha intenzione di salvare e propone il suo programma con tanto di testi teatrali da rappresentare, ma viene subito interrotta dalle note del "Va pensiero" che un uomo con cravatta verde e fazzoletto annesso ha messo come suoneria del cellulare, e che intuiamo essere un fervente leghista poi dal suo consigliare un coro (bravissimo, assicura) della Val Padana e ogni proposta di Clara viene subito bocciata da una femminista convinta che il teatro sia morto da tempo, opinione confutata dal professore di teatro che poi avrà un'avventura con la generosa benefattrice, e interrotta da un nostalgico vegliardo che racconta del suo incontro col grande Luigi Pirandello.
Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):
"Ma sono così insopportabile, Giovanni?" "Non dico dove ti devi infilare quella racchetta, ma lo sai bene." |
Questa è la reazione di alcuni spettatori in sala al film di Virzì. |
"Povero chicco: reciti come un orango isterico, sai?" |
"Cazzo brindate? Ha solo detto che è un buon film." |
Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):
Paese di produzione: Italia, Francia
Anno: 2014
Durata: 116 min
Genere: drammatico
Regia: Paolo Virzì
Soggetto: Stephen Amidon
Sceneggiatura: Paolo Virzì, Francesco Bruni, Francesco Piccolo
Produttore: Marco Cohen, Fabrizio Donvito, Birgit Kemner, Philippe Gompel, Lorenzo Gangarossa, Benedetto Habib, Alessandro Mascheroni
Casa di produzione: Rai Cinema, Motorino Amaranto, Indiana Production
Distribuzione (Italia): 01 Distribution
Fotografia: Jérôme Alméras
Montaggio: Cecilia Zanuso
Musiche: Carlo Virzì
Scenografia: Andrea Bottazzini e Mauro Radaelli
Costumi: Bettina Pontiggia
Interpreti e personaggi:
Fabrizio Bentivoglio: Dino Ossola
Valeria Bruni Tedeschi: Carla Bernaschi
Fabrizio Gifuni: Giovanni Bernaschi
Valeria Golino: Roberta Morelli
Luigi Lo Cascio: Donato Russomanno
Bebo Storti: ispettore
Matilde Gioli: Serena Ossola
Guglielmo Pinelli: Massimiliano Bernaschi
Giovanni Anzaldo: Luca Ambrosini
Gigio Alberti: Giampi
Federica Fracassi: Critica teatrale
Pia Engleberth: Signora Ester
Denny B.
La scena che citi di Clara e i suoi teatranti sghembi mi ha dato anche più fastidio della presunta odiosa macchietta Bentivoglio (se devi rendere uno macchietta odiosa non puoi esagerare cosi, scendi solo nel ridicolo esasperato e non ottieni il risultato. Ti fai due risate invece di indignarti). Gli manca il dono della sfumatura a Virzì.
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