giovedì 29 dicembre 2016

Rogue One: A Star Wars Story (2016)

★★★★
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Alla principessa Carrie Fisher, 
mortale sulla Terra 
immortale nell'immaginario collettivo. 

Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana... I Jedi sono scomparsi, la gloriosa Repubblica è caduta, l'Impero Galattico è sorto sprofondando gli animi di tutti nella più buia paura e i membri della Vecchia Repubblica, ormai perseguitati, si stanno nascondendo, e solo i membri dell'Alleanza Ribelle hanno osato contrapporre le loro forze contro la minaccia imperiale. Il direttore Krennic ha scoperto il luogo in cui vive un brillante ingegnere capace di completare l'arma più potente dell'Impero: la Morte Nera. 

Rogue One: A Star Wars Story si colloca alla perfezione tra La vendetta dei Sith e Una nuova speranza. Anche qui, come nel settimo capitolo, la protagonista è una donna: Jyn Erso (Felicity Jones), figlia dell'ingegnere che completò la Morte Nera, la quale non ha mai avuto "il lusso di un'opinione politica" e che della bandiera dell'Impero non importa molto visto che "Non è un problema se non guardi in alto". Sarà grazie a un messaggio olografico del padre (un po' come succede a Luke e Obi-Wan nel capolavoro del '77) che inizierà a provare quel sentimento chiamato speranza. "Le ribellioni si fondano sulla speranza" dice prima di viaggiare verso Scarif "ribellandosi" all'Alleanza assieme a un gruppo variegato di soldati che credono in lei. Se la prima parte appare (almeno a una prima visione) leggermente confusa, è dalla seconda parte in poi che Rogue One mostra tutta  la sua energia diventando una vera e propria goduria. 

Gareth Edwards firma una pellicola potente ed emozionante, capace, a differenza de Il risveglio della forzadi centrare in pieno il cuore pulsante di Star Wars. Non c'è buonismo, lacrima facile, personaggi scritti con la penna senza inchiostro. Cassian Andor uccide un informatore senza fare una piega e Saw Gerrera è un estremista che si è allontanato dalla stessa Alleanza divenendo una sorta di ribelle terrorista. E nell'avvincente seconda parte del film avviene una vera e propria carneficina tra truppe imperiali e ribelli. Ma avviene un'altra cosa al di sotto della superficie: Jyn, Cassian, K-2SO, Imwe e Malbus prendono coscienza del sacrificio. Sono pronti a morire affinché l'Alleanza abbia la meglio sull'Impero. Perché Rogue One: A Star Wars Story vuole raccontare proprio questo: non c'è vittoria, battaglia, guerra senza il sacrificio. Un giorno, quei piani passati di soldato in soldato attraverso un corridoio in quegli splendidi minuti finali, porteranno un giovane Luke Skywalker a unirsi alla ribellione e a distruggere la Morte Nera donando alla galassia una speranza. Una nuova speranza. 

venerdì 14 ottobre 2016

Il Post (it) #7: Café Society (2016), Ave, Cesare! (2016), 31 (2016)

★★★
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Woody Allen quest'anno ci ha voluto fare un doppio regalo. Invece del solito film annuale ce ne ha regalato un altro sotto le mentite spoglie di serie Tv: la sua Crisis in Six Scene, infatti, è praticamente un film diviso in sei parti che vi consiglio caldamente di recuperare se gradite vedere un Allen ispiratissimo nei dialoghi e nelle situazioni. Ma qui parliamo del suo quarantaseiesimo lungometraggio (il primo interamente girato in digitale), quindi apriamo le danze senza indugio. Café Society narra la storia di Bobby  Dorfman (Jesse Eisenberg) che, negli anni '30, lascia l'amata New York per cercare un lavoro nell'assolata Los Angeles dove suo zio Phil Sterne (Steve Carell) è un importante agente cinematografico. Qui conoscerà e s'innamorerà di Vonnie (Kristen Stewart) il cui cuore, però, batte per una persona che Bobby conosce molto bene. 
Più delizioso e magico di Magic in The Moonlight, dieci volte più bello di Irrational Man, e quasi al livello di Blue JasmineCafé Society è a sorpresa uno dei più validi lavori del Woody Allen post-2000. Una costruzione maniacale degli anni '30, una fotografia sublime ad opera di Vittorio Storaro, e un cast ben diretto (eh sì, la Stewart sa recitare) all'interno di una storia d'amore, di crescita e di scelte, il tutto filtrato dallo sguardo pessimista (eppure ancora in grado di sognare) di un regista ottantenne il cui tocco è quello di un giovincello che si è appena innamorato del cinema. E dopo il finale agrodolce si chiede spontaneamente a Woody di non smettere mai di fare film. Perché ne abbiamo bisogno più che mai. 

★★★½
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Negli anni '50 Eddie Mannix (Josh Brolin), come il Mr. Wolfe di Q. Tarantino, risolve problemi; quelli delle star della Capitol Pictures. Senza la sua granitica e rassicurante presenza l'intera organizzazione crollerebbe su se stessa causando un cratere immenso. Quando la grande star del cinema Baird Whitlock (George Clooney) viene rapito dal set di Ave, Cesare! Eddie Mannix riceve una lettera di riscatto firmata da Il Futuro; onde evitare che il film perda il suo protagonista, Eddie Mannix, da uomo di ordine qual è, andrà fino in fondo alla faccenda. Riuscendoci oppure no? Questo sta agli spettatori. Ave, Cesare! dei mitici fratelli Coen è una cristallina e spassionata dichiarazione d'amore verso la settima arte. Eddie Mannix è l'eroe di questa storia. Deve mettere a tacere uno scandalo riguardante DeAnna Moren (Scarlett Johansson), incinta da nubile; convincere Laurence Laurentz (Ralph FIennes) che la star dei western Hobie Doyle (Alden Ehrenreich) è l'attore perfetto per il suo dramma in costume; e ovviamente ritrovare Baird Whitlock. Per fare cinema ci vuole ordine e metodo. Per rompere gli schemi bisogna conoscerli come le proprie tasche. Per raddrizzare le star e mandarle sul set ci vuole uno schiaffo di Eddie Mannix. La sua storia non finirà mai "perché il suo racconto è scritto con la luce eterna". La luce di Dio Cinema. 

★★★
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Rob Zombie is back. Dimessa l'impostazione quasi polanskiana del controverso Le streghe di Salem, il regista accoppiatosi con Sheri Moon Zombie (che a cinquant'anni ha il corpo di una ventenne) torna sui suoi passi sfornando un film horror grezzo, lurido e cattivo. 31 è una goduria di sangue, personaggi fuori di testa, sangue, morti truculente e soprattutto è l'unico film che può andare in giro a testa alta dicendo "C'abbiamo il miglior Joker dai tempi Jack Nicholson, altro che Suicide Staceppa". Infatti neanche il regista stesso si offenderebbe se qualcuno gli dicesse che vale la pena di vedere il film solo per l'interpretazione magistrale di Richard Brake, che in 31 è il killer Doom-Head, incaricato dai tre parrucconi (uno dei quali è Malcom McDowell), di mettere fine alla vita delle vittime rimaste in gioco. Alla fine la trama è questa: un gruppo di circensi viene rapito e costretto da tre bizzarri tipi abbigliati con abiti settecenteschi a partecipare a un gioco chiamato 31 dove vince chi rimane in vita per un tot di ore. Tra nani nazisti, vecchi col tutu e fratelli di motosega, ci sarà il ribaltamento dei ruoli: le vittime si trasformeranno presto in carnefici pronti a tutto pur di sopravvivere. Nel finale, come era già successo con La casa del diavolo, Rob Zombie (che non sbaglia un brano musicale neanche a pagarlo, ma che eccede in cinepresa a mano troppo spesso traballante) sfiora nuovamente la poesia. Da recuperare senza indugio. 

martedì 4 ottobre 2016

Strade perdute (1997)

Great Movies

★★★★
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In collaborazione con la mia morosa Federica

"Dick Laurent è morto". Questa frase enigmatica scuote la vita di due coniugi. Fred (Bill Pullman) è un jazzista, mentre di sua moglie Renee (Patricia Arquette) si conosce ben poco se non che è bellissima. Il matrimonio inizia a spezzarsi gradualmente dopo l'arrivo di tre videocassette che riguardano in modo sempre più morboso la loro vita privata fino a quando Fred non viene incolpato dell'omicidio di Renee. Segregato in una cella di massima sicurezza, l'uomo è continuamente preda di fortissimi mal di testa che lo porteranno a scoprire nuovi sconvolgenti lati della sua personalità.

Guardare un film di David Lynch è come esporsi a un colpo di pistola: il grilletto può incastrarsi, ma se la pallottola riesce a fuoruscire dalla canna c'è il rischio di essere colpiti e di vedersi scardinare certezze sia valoriali che cinematografiche. Strade perdute ne è un esempio; partendo da una semplice storia di gelosia morbosa, il regista mescola le carte per far penetrare lo spettatore dal suo stesso tarlo mentale ovvero la passione amorosa. Infatti essa rappresenta per Lynch un topos sul quale interrogarsi, capace di condurre spesso, se declinata in possesso morboso, a delle conseguenze tragiche e violente. La gelosia di Fred non poggia su delle basi instabili: alla richiesta di andare ad ascoltarlo al club, la moglie risponde dicendogli che leggerà, scatenando una risposta sarcastica del marito. I suoi dubbi sono confermati la sera stessa, quando, chiamando a casa alla conclusione dell'esibizione, non riceve risposta. Dove sarà Renee? E soprattutto, con chi?

I dubbi si amplificano su più temi nel momento in cui sulle scale di casa vengono rinvenute ogni mattina per tre giorni delle videocassette anonime che ritraggono sia l'esterno dell'abitazione sia l'interno. Che siano opera di un amante rifiutato? Questo potrebbe suggerire la diversa reazione dei due coniugi: mentre Renee è visibilmente scossa tanto da affidarsi alla polizia, Fred è quasi impassibile, si potrebbe azzardare soddisfatto, perché forse ottenuta la prova del tradimento di lei. Non è un caso, infatti, che dopo una festa a casa di un amico di Renee (Andy) Fred sia particolarmente suscettibile, riempiendola di domande sull'uomo conosciuto durante la giovane età e che Fred aveva precedentemente visto uscire assieme alla moglie dal locale in cui si esibisce. In un climax di tensione ascendente il sospetto si evolve da passivo ad attivo esplodendo nell'atto più violento possibile: l'uxoricidio. Fred, in un impeto di gelosia incontrollata di cui non è completamente consapevole, sembra aver ucciso sua moglie. Lo si può vedere dall'ultima videocassetta in cui è ritratto in un bagno di sangue con il cadavere di Renee ai suoi piedi.

Nessun spettatore potrà inizialmente avere la certezza che Fred sia colpevole. E forse neanche il protagonista stesso tanto che è lui a dire ai poliziotti che preferisce ricordare le cose a modo suo, non necessitando quindi dell'uso di una videocamera. Sarà solo la sua stessa mente a rivelarsi/ci l'esatta realtà degli eventi filtrata dalle tre istanze dell'io: secondo le topiche freudiane Es, Io e Super-io. La complessità del capolavoro lynchano risiede infatti tutta in questa tricotomia narrativa ben amalgamata tanto da rendere difficile la sua scissione. L'Es appare nella prima mezz'ora del film, rappresentato da un misterioso uomo in nero con il volto bianco. Egli si presenta a Fred dicendogli di conoscersi già precisando che non si reca mai nei luoghi dove non è invitato. Lo sgomento del protagonista è dovuto al fatto che l'uomo gli comunica di essere a casa sua e lo sfida a chiamarlo. In virtù del suo ruolo psicodinamico, spinge Fred a liberare i suoi istinti più beceri e animaleschi. Ed esso stesso rappresenta la morbosità attraverso l'uso di una videocamera che nelle parti conclusive seguirà il protagonista come una minaccia (comunque interna) per ciò che ha compiuto.

L'Io emerge in tutta la sua prepotenza dopo l'incarcerazione di Fred. Egli infatti non rimane nelle sue fattezze durante la segregazione, ma viene "sostituito" da un uomo di nome Pete (Balthazar Getty), finito dentro per reati di poco conto. Incredula, la polizia è costretta a rilasciarlo. Pete lavora come meccanico in un'officina, ha l'orecchio più sensibile della città, ed è visto come una risorsa da un gangster locale. Contrariamente a Fred è altamente performante con le donne tanto da esserne circondato. In termini psicodinamici, quindi, si potrebbe definire l'ideale dell'Io, ovvero ciò che Fred vorrebbe essere ma che invece non è. Pete si scontra con un altro ideale, la trasfigurazione di Renee che prende il nome di Alice; una dark lady che nonostante l'apparente interesse per il ragazzo conferma e racchiude con una frase finale tutte le paure di Fred ("Tu non mi avrai mai").

In ultimo vi è il Super-io rappresentato dal gangster che ha Pete sotto la sua ala protettiva (un indimenticabile Robert Loggia) e che nella mente di Fred è la trasfigurazione di Dick Laurent, l'uomo annunciato come morto all'inizio del film. La sua funzione normativa e regolatrice emerge chiaramente in due scene (di cui una gustosissima): inizialmente prende di mira un automobilista scalmanato a cui ricorda alcune regole del codice stradale; successivamente avvisa Pete che Alice è di sua proprietà e che ammazzerebbe chiunque avesse intenzione anche solo di sfiorarla. Paradossalmente sarà proprio lui a morire per primo per mano di Fred stesso spinto dall'Es (che gli passerà l'arma del delitto). La sua morte, annunciata al citofono da Fred a se stesso nella scena precedente il grandioso finale, sancisce la morte del Super-io e la liberazione totale dell'Es che potrà quindi macchiarsi del più crudele dei delitti.

In una narrazione opposta a quella, basata su una tematica similare, della sua più recente pellicola Mulholland Drive, il film dà spazio a un finale cromaticamente lynchano: inseguito dalla polizia (o dalle sue due istanze rimaste) Fred si immerge in un vellutato blu nel buio della notte urlando e contorcendosi dal dolore provocato dalle scosse elettriche a cui è condannato per il suo omicidio. Allo spettatore rimane solo questa lunga strada solitaria a cui si giunge dopo la perdita delle lost highways del protagonista, da percorre con un bagaglio di riflessioni e inquietudine che lascia senza fiato.