★★★
Woody Allen quest'anno ci ha voluto fare un doppio regalo. Invece del solito film annuale ce ne ha regalato un altro sotto le mentite spoglie di serie Tv: la sua Crisis in Six Scene, infatti, è praticamente un film diviso in sei parti che vi consiglio caldamente di recuperare se gradite vedere un Allen ispiratissimo nei dialoghi e nelle situazioni. Ma qui parliamo del suo quarantaseiesimo lungometraggio (il primo interamente girato in digitale), quindi apriamo le danze senza indugio. Café Society narra la storia di Bobby Dorfman (Jesse Eisenberg) che, negli anni '30, lascia l'amata New York per cercare un lavoro nell'assolata Los Angeles dove suo zio Phil Sterne (Steve Carell) è un importante agente cinematografico. Qui conoscerà e s'innamorerà di Vonnie (Kristen Stewart) il cui cuore, però, batte per una persona che Bobby conosce molto bene.
Più delizioso e magico di Magic in The Moonlight, dieci volte più bello di Irrational Man, e quasi al livello di Blue Jasmine, Café Society è a sorpresa uno dei più validi lavori del Woody Allen post-2000. Una costruzione maniacale degli anni '30, una fotografia sublime ad opera di Vittorio Storaro, e un cast ben diretto (eh sì, la Stewart sa recitare) all'interno di una storia d'amore, di crescita e di scelte, il tutto filtrato dallo sguardo pessimista (eppure ancora in grado di sognare) di un regista ottantenne il cui tocco è quello di un giovincello che si è appena innamorato del cinema. E dopo il finale agrodolce si chiede spontaneamente a Woody di non smettere mai di fare film. Perché ne abbiamo bisogno più che mai.
★★★
| ||
Negli anni '50 Eddie Mannix (Josh Brolin), come il Mr. Wolfe di Q. Tarantino, risolve problemi; quelli delle star della Capitol Pictures. Senza la sua granitica e rassicurante presenza l'intera organizzazione crollerebbe su se stessa causando un cratere immenso. Quando la grande star del cinema Baird Whitlock (George Clooney) viene rapito dal set di Ave, Cesare! Eddie Mannix riceve una lettera di riscatto firmata da Il Futuro; onde evitare che il film perda il suo protagonista, Eddie Mannix, da uomo di ordine qual è, andrà fino in fondo alla faccenda. Riuscendoci oppure no? Questo sta agli spettatori. Ave, Cesare! dei mitici fratelli Coen è una cristallina e spassionata dichiarazione d'amore verso la settima arte. Eddie Mannix è l'eroe di questa storia. Deve mettere a tacere uno scandalo riguardante DeAnna Moren (Scarlett Johansson), incinta da nubile; convincere Laurence Laurentz (Ralph FIennes) che la star dei western Hobie Doyle (Alden Ehrenreich) è l'attore perfetto per il suo dramma in costume; e ovviamente ritrovare Baird Whitlock. Per fare cinema ci vuole ordine e metodo. Per rompere gli schemi bisogna conoscerli come le proprie tasche. Per raddrizzare le star e mandarle sul set ci vuole uno schiaffo di Eddie Mannix. La sua storia non finirà mai "perché il suo racconto è scritto con la luce eterna". La luce di Dio Cinema.
★★★
Rob Zombie is back. Dimessa l'impostazione quasi polanskiana del controverso Le streghe di Salem, il regista accoppiatosi con Sheri Moon Zombie (che a cinquant'anni ha il corpo di una ventenne) torna sui suoi passi sfornando un film horror grezzo, lurido e cattivo. 31 è una goduria di sangue, personaggi fuori di testa, sangue, morti truculente e soprattutto è l'unico film che può andare in giro a testa alta dicendo "C'abbiamo il miglior Joker dai tempi Jack Nicholson, altro che Suicide Staceppa". Infatti neanche il regista stesso si offenderebbe se qualcuno gli dicesse che vale la pena di vedere il film solo per l'interpretazione magistrale di Richard Brake, che in 31 è il killer Doom-Head, incaricato dai tre parrucconi (uno dei quali è Malcom McDowell), di mettere fine alla vita delle vittime rimaste in gioco. Alla fine la trama è questa: un gruppo di circensi viene rapito e costretto da tre bizzarri tipi abbigliati con abiti settecenteschi a partecipare a un gioco chiamato 31 dove vince chi rimane in vita per un tot di ore. Tra nani nazisti, vecchi col tutu e fratelli di motosega, ci sarà il ribaltamento dei ruoli: le vittime si trasformeranno presto in carnefici pronti a tutto pur di sopravvivere. Nel finale, come era già successo con La casa del diavolo, Rob Zombie (che non sbaglia un brano musicale neanche a pagarlo, ma che eccede in cinepresa a mano troppo spesso traballante) sfiora nuovamente la poesia. Da recuperare senza indugio.