venerdì 30 gennaio 2015

Memories of Murder (2003)

Memories of Murder


★★★★

1986. Corea del Sud. In una piccola cittadina di campagna l'ispettore Park Doo-man (Song Kang-ho) trova il corpo di una giovane ragazza barbaramente stuprata e uccisa. Tempo dopo viene ritrovata una seconda vittima. La polizia locale si mostra da subito impreparata e goffa e da Seoul arriva il detective Seo (Kim Sang-kiung) per collaborare alle indagini e fin da subito si mostra in disaccordo coi metodi dell'ispettore Doo-man e con il suo sospettato: un ragazzo ritardato che pare seguisse regolarmente una delle vittime.


Il ritratto che il regista Bong Joon-ho fa in Memories of Murder delle forze dell'ordine di un piccolo paese della Corea è spietato e la nostra reazione è un capo chino avvilito. Gli ispettori sono completamente disorganizzati. Picchiano gli indagati e arrivano, nel caso del ragazzo ritardato, a portarlo in montagna davanti una fossa scavata di fresco affinché confessi un crimine che non ha commesso perché solo avendo in mano l'omicida il caso può essere chiuso e i media applaudire di fronte all'efficienza della polizia coreana; che non ha nemmeno i mezzi per effettuare i test su un campione di sperma ed è costretta quindi a inviarlo in America.



Park Doo-man scimmiotta il tipico detective duro e tenace dell'FBI e spesso decanta il suo talento naturale nel leggere la colpa solo guardando un uomo negli occhi mentre il suo braccio destro deve essere un allievo di Bruce Lee per quanto mena duro gli indagati e chi generalmente non gli aggrada. E l'ispettore capo assomiglia più a un padre compagno di bevute che a un autoritario funzionario statale. In questo ambiente arriva un estraneo: l'ispettore Seo direttamente da Seoul che collabora portando una ventata di metodo e ordine nelle indagini seppur si scontri spesso con Doo-man. 



Il film è basato sulla storia vera del primo serial killer coreano attivo tra il 1986 e il 1991 in una piccola provincia. Le vittime vengono ritrovate uccise dopo essere state violentate con i polsi legati, il collo avvolto nelle loro calze e gli indumenti intimi in testa. Seo, studiando i luoghi dei ritrovamenti e le poche prove raccolte, ipotizza che l'assassino colpisce ragazze con un indumento rosso e solo nelle giornate di pioggia. 



Memories of Murder si distingue dagli altri thriller per l'unione di momenti bizzarri e umoristici a toni solennemente drammatici. Vediamo Doo-man cantare ubriaco a un karaoke, l'ispettore capo seduto a un tavolo disordinatissimo di un bar svegliarsi da un'abbiocco e vomitare in un cestino mentre una ragazza osserva oltre lo schienale del divano quella che sembra una ginnastica piacevole tra il collega picchiaduro e un'altra ragazza. E poi assistiamo all'ultima intensa mezz'ora con il fiato sospeso. I temi sono l'eterna lotta tra bene e male. La solitudine dell'uomo di legge che ingaggia una caccia all'assassino. E la conseguente impotenza di fronte a un destino crudele. Penso siano tre i thriller definitivi sull'argomento: Zodiac di David Fincher, La promessa di Sean Penn e appunto Memories of Murder di Bong Joon-ho.



Quello che l'ispettore Park Doo-man è convinto di saper fare (leggere l'anima degli uomini guardandoli negli occhi) è un'azione che non porta ad alcuni risultato: perché il male fugge dagli sguardi e si nasconde nelle facce più comuni. Si cela sotto la maschera della normalità; quella che Hannah Arendt descriveva come "banalità del male". Esso risiede sottopelle, cresce alimentato dall'odio e da quell'arcana forza oscura che spinge un essere umano a uccidere un proprio simile. Il male si palesa di fronte ai nostri occhi per un rapidissimo secondo quando l'assassino sbuca dai cespugli per aggredire la sua nuova vittima. Lo confesso: ho addirittura bloccato il film per vedere il killer in faccia e il verdetto è avvilente alla luce delle parole pronunciate verso il termine della pellicola. Quel primo piano finale è un capolavoro. Gli occhi riaccesi in un volto sconfitto che ci scrutano alla ricerca del colpevole. Di una faccia normale in mezzo a milioni di facce normali. 

Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):


Titolo originale: 살인의 추억 Salinui chueok
Paese di produzione: Corea del Sud
Anno: 2003
Durata: 130 min
Generedrammatico, poliziesco
Regia: Bong Joon-ho
Sceneggiatura: Bong Joon-ho, Kim Kwang-rim, Shim Sung Bo
Produttore: Cha Seoung-Jae, Kim Moo Ryung, No Jong-yun
Produttore esecutivo: Lee Kang-bok
Casa di produzione: Sidus Pictures, CJ Entertainment
Fotografia: Kim Hyung-ku
Montaggio: Kim Sun-min
Musiche: Iwashiro Taro
Scenografia: Ryu Seong-hie, Yu Seong-hie

Interpreti e personaggi:
Song Kang-ho: detective Park Doo-man
Kim Sang-kyung: detective Seo Tae-Yoon
Kim Roe-ha: detective Cho Yong-koo
Song Jae-ho: sergente Shin Dong-chul
Byeon Hee-bong: sergente Koo Hee-bong
Ko Seo-hie: Kwon Kwi-ok
Park No-shik: Baek Kwang-ho
Park Hae-il: Park Hyeon-gyu
Jeon Mi-seon: Kwok Seol-yung

Doppiatori italiani:
Dario Oppido: detective Park Doo-man
Lorenzo Scattorin: detective Seo Tae-Yoon
Gianluca Iacono: detective Cho Yong-koo
Mario Scarabelli: sergente Shin Dong-chul
Marco Pagani: sergente Koo Hee-bong
Debora Magnaghi: Kwon Kwi-ok
Massimo Di Benedetto: Baek Kwang-ho
Gabriele Calindri: Park Hyeon-gyu
Lorella De Luca: Kwok Seol-yung
Matteo Zanotti: Chong Bion-sun
Sergio Romanò: Padre di Du - Man
Tosawi Piovani: So-Hyon
Benedetta Ponticelli: Mun Nam-ju

Denny B.


mercoledì 28 gennaio 2015

Father and Son (2013)

Father and Son

★★★½

Ryota Nonomiya (Masaharu Fukuyama) è un architetto in carriera ossessionato dal successo professionale. E' sposato con la dolce Midori (Machiko Ono) e ha un figlio di nome Keita. All'improvviso viene contattato dall'ospedale in cui è nato Keita e gli comunicano che per errore vi è stato uno scambio di neonati e ora il loro figlio biologico vive in un'altra famiglia non molto agiata. Ryota dovrà prendere una decisione: scegliere tra il suo vero figlio (il sangue) o quello a cui ha voluto bene per sei anni (l'amore).


Quante volte abbiamo assistito a una trama del genere? In molte occasioni però quasi sempre in chiave comica nelle mediocri fiction italiane, che io ricordi, fino ad arrivare alla trama del romanzo I figli della Mezzanotte di Salman Rushdie in cui una infermiera scambia nella culla due bambini affidando uno a un destino di agiatezza e l'altro alla miseria. Però mai un regista l'ha affrontata con un approccio così autenticamente delicato e poetico come ha fatto Hirokazu Koreeda con Father and Son



Voi cosa fareste se un giorno vi dicessero che il figlio che avete cresciuto tentando di trasmettergli i vostri valori e insegnamenti serventi per diventare grandi e responsabili, e che avete amato per sei anni, in realtà non è vostro? Direste "Ora si spiega tutto"? No? Beh, queste sono le prime parole di Ryota. Un agiato uomo in carriera dal volto professionale vestito di tutto punto dentro la cui mente noi la vediamo prima ancora che la dica la domanda fatale: tu come madre non te ne sei mai accorta? Per Midori, moglie remissiva, è un tragico colpo infertole senza preavviso. Sua madre le dice che una delle sue vicine l'ha sempre detto che il loro bambino, Keita, non assomigliava a nessuno dei due genitori. 



La famiglia Saiki che ha cresciuto il figlio biologico dei Nonomiya non è agiata come quest'ultima. Koreeda non si spreca in dialoghi per farlo intuire; usciti dall'ospedale dopo il loro primo incontro vi è un'inquadratura tanto semplice quanto esplicativa: si vede i Nonomiya dirigersi verso la loro lussuosa e austera auto mentre i Saiki entrano nel loro sgangherato furgoncino.    


E' una questione di sangue, dice il padre di Ryota. Più il tempo passa e più il figlio finirà per assomigliare ai genitori biologici. La scelta che deve compiere Ryota è tra il proprio sangue e l'amore verso un bambino a cui ha dedicato il tempo tra un progetto lavorativo e l'altro. Infine entrambi i genitori vincono la causa contro l'ospedale e avviene di nuovo lo scambio. Keita va a vivere dai coniugi Saiki (i suoi veri genitori) mentre il loro figlio va a vivere dai Nonomiya. Hirokazu Koreeda focalizza più volte l'attenzione dello spettatore sul personaggio di Ryota (in cui ha ammesso di riconoscersi) e a un certo punto, quando il suo vero figlio gli chiede continuamente perché non può più tornare dai suoi genitori e perché ora Ryota e Midori li deve chiamare mamma e papà e perché lui continua a ripetere che non è importante, mi domandavo quanti perché ci sarebbero voluti prima che il suo volto autorevole si sbriciolasse al contatto con le sue stesse lacrime. Non accade in questo frangente, ma prima del delicato finale.



La trama di Father and Son lasciata in mano a un occidentale sarebbe stata caricata oltre ogni modo di pathos sgonfio e ridondanza scomoda. Hirokazu Koreeda invece ne ha fatto un film equilibrato dirigendo un cast di attori umani ed empatici. Father and Son è  una goccia di emozione. E non va sprecata né tanto meno scambiata.

Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: そして父になる, Soshite Chichi ni Naru
Paese di produzione: Giappone
Anno: 2013
Durata: 120 min
Generedrammatico
Regia: Hirokazu Koreeda
Sceneggiatura: Hirokazu Koreeda
Produttore: Kaoru Matsuzaki, Hijiri Taguchi
Casa di produzione: GAGA, TV Man Union
Distribuzione (Italia) : BiM
Fotografia: Mikiya Takimoto
Montaggio: Hirokazu Koreeda
Musiche: Shin Yasui

Interpreti e personaggi:
Masaharu Fukuyama: Ryota Nonomiya
Yōko Maki: Yukari Saiki
Machiko Ono: Midori Nonomiya
Jun Kunimura
Kirin Kiki
Isao Natsuyagi
Lily Franky
Jun Fubuki
Megumi Morisaki

Denny B.

lunedì 26 gennaio 2015

Snowpiercer (2013)

Snowpiercer

★★★½

2031. Il mondo è ormai in declino. La popolazione mondiale è stata decimata da una nuova era glaciale. Solo un gruppo di sopravvissuti rimane in vita all'interno dello Snowpiercer, un treno autosufficiente che si sposta continuamente intorno alla terra. Anche sul treno l'umanità è divisa in classi sociali: nei vagoni di coda, vivono i più poveri mentre i più ricchi vivono nei vagoni di testa. Curtis (Chris Evans), insieme all'amico Edgar (Jamie Bell) e al vecchio Gilliam (John Hurt), decidono di ribellarsi contro l'oppressione dei soldati e di condurre una vera e propria rivoluzione fino a raggiungere la testa del treno dove risiede Wilford, il leader di questo governo mobile. 


Lo Snowpiercer è un treno dal raffinato diseign completamente autosufficiente: si procura l'energia necessaria attraverso un motore perpetuo e corre senza l'ombra di una fermata su di una rete ferroviaria che abbraccia tutta la terra e che è in grado di percorrerla interamente nel giro di un anno esatto. Questo prodigio tecnologico è stato fortemente voluto da Wilford, il custode della sacra locomotiva che dimora nel vagone di testa di quest'ultima, che come un moderno Noè con la sua Arca continua a traghettare l'umanità rimasta attorno al globo terrestre ricoperto di ghiaccio e neve. La colomba recante il ramo d'ulivo in segno di pace credo non sia riuscita a sopravvivere al freddo e al gelo che ha sterminato la vita sulla Terra.


Nei vagoni di coda vive la povera gente. Ogni giorno i soldati ordinano loro di mettersi in file e di sedersi mano a mano che vengono contate e danno loro la razione di proteine quotidiane (barrette marroni gelatinose per nulla invitanti). Molti di loro sono nati sul treno, altri ci sono saliti anni fa, molti non ricordano nulla della Terra, neanche il viso della loro madre, e altri non sanno nemmeno che profumo abbia una bistecca. C'è chi immortala volti e momenti significativi della vita sul treno come l'abile disegnatore con il suo lercio blocco da disegno su cui i volti di due bambini portati verso i vagoni di testa del treno per chissà quale inspiegabile motivo risaltano grazie a tratti scuri e decisi come luce che squarcia le tenebre di tempi bui. Nei vagoni di testa i ricchi cenano ascoltando concerti per archi e viole. La locomotiva non è nient'altro che una sorta di ecosistema mobile. Ogni sopravvissuto occupa la sua posizione nella scala sociale. Un padre, tentando di impedire a una scagnozza di Wilford di portargli via il figlio, lancia nella sua direzione una scarpa. "Questa scarpa è disordine. Rappresenta il caos", le parole del Ministro Mason (una Tilda Swinton quasi irriconoscibile) mentre il braccio del padre viene lasciato fuori dal finestrino a congelarsi per sette minuti. E' impensabile che una scarpa voglia sostituirsi alla testa. "Rimanete al vostro posto e siate scarpe!". 


Ci sono state delle rivolte in passato. Tutte messe a tacere con il piombo dei fucili. E' arrivato il momento che la coda prenda il controllo della testa. Curtis guida la ribellione assieme al suo amico Edgar seguendo i saggi consigli di Gilliam, che sembra conoscere molto bene Wilford, e con l'aiuto di Namgoong Minsu, utile per oltrepassare le porte d'accesso, e di sua figlia Yona, dotata di poteri chiaroveggenti, che si uniscono a loro solo per avere in cambio degli allucinogeni fatti con gli scarti delle sostanze industriali, raggiungono, dopo numerose perdite, il vagone dove l'acqua viene filtrata e riciclata. "Se controlli l'acqua puoi controllare i negoziatori", ricorda Gilliam a Curtis. E questo pensiero non è sicuramente di chiaro stampo fantascientifico, vero? 


Snowpiercer di Bong Joon-ho è uno sci-fi thriller adrenalinico e visionario dotato di intelligenza e un cuore pulsante. Il monologo di Curtis oltre a essere commovente è l'ennesima conferma di come per gli orientali la dicotomia bene-male non è così netta come nella nostra cultura. Negli ultimi venti minuti circa - che data la presenza di Ed Harris nei panni di Wilford non ho potuto fare a meno di pensare a The Truman Show - si scopre la spiazzante natura e sottaciuta motivazione della ribellione appoggiata da Gilliam e assistiamo inoltre alla scena più crudele del film che termina con un finale inaspettato che ci regala nonostante tutto un sospiro di speranza. Forse quella colomba non tarderà a fare capolino da un monte innevato. 


Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: Snowpiercer
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: Corea del Sud, Stati Uniti
Anno: 2013
Durata: 126 min
Generefantascienza, azione, drammatico
Regia: Bong Joon-ho
Soggetto: Jacques Lob, Benjamin Legrand
Sceneggiatura: Bong Joon-ho, Kelly Masterson
Produttore: Park Chan-wook, Jeong Tae-sung, Lee Tae-hun, Steven Nam
Casa di produzione: Moho Films, SnowPiercer, Opus Pictures, Stillking Films, CJ Entertainment
Distribuzione (Italia) : Koch Media
Fotografia: Kyung-Pyo Hong
Montaggio: Steve M. Choe
Effetti speciali: Pavel Sagner
Musiche: Marco Beltrami
Scenografia: Ondrej Nekvasil
Costumi: Catherine George
Trucco: Gabriela Polakova, Linda Eisenhamerova

Interpreti e personaggi:
Chris Evans: Curtis
Jamie Bell: Edgar
John Hurt: Gilliam
Tilda Swinton: Mason
Octavia Spencer: Tanya
Song Kang-ho: Namgoong Minsu
Ed Harris: Wilford
Go Ah-sung: Yona
Ewen Bremner: Andrew
Alison Pill: insegnante
Luke Pasqualino: Grey

Doppiatori italiani:
Alessio Cigliano: Curtis
Davide Perino: Edgar
Giorgio Lopez: Gilliam
Franca D'Amato: Mason
Francesca Guadagno: Tanya
Luca Biagini: Wilford
Letizia Scifoni: Yona
Edoardo Nevola: Andrew

Roberta De Roberto: insegnante

Denny B.







venerdì 23 gennaio 2015

La teoria del tutto

La teoria del tutto

½

Nel 1963 il giovane Stephen Hawking (Eddie Redmayne) è uno studente di cosmologia dell'Università di Cambridge che sta cercando un'equazione in grado di spiegare la nascita dell'universo. A una festa conosce Jane Wilde (Felicity Jones), una studentessa di lettere, ed entrambi rimangono colpiti l'uno dall'altra. Ma la loro storia d'amore verrà ostacolata dalla comparsa della malattia degenerativa di Stephen che lo porterà mano a mano a perdere il controllo delle principali funzioni motorie. Ma l'amore vince su tutto, come si dice, e Stephen e Jane affronteranno insieme la malattia. 


Eccoci a una nuova puntata di "Come confezionare un film che faccia incetta di nomination agli Oscar". Prendete una storia drammatica - se riguarda un genio della scienza quale Stephen Hawking è preferibile - aggiungeteci l'amore che è un po' come l'olio extravergine, non manca mai, mettete il tutto su di un piatto colorato come l'arcobaleno e infine fate sì che una mano registica furba sparga, come pepe, inquadrature morbose e che la mano degli sceneggiatori grattugino sopra il piatto le teorie di Hawking riducendolo a un unico e svolazzante coriandolo: "Finché c'è vita c'è speranza". E finché c'è l'Oscar c'è chi desidera acchiapparlo. 


La teoria del tutto, ennesimo biopic di quest'anno dopo Big Eyes, American Sniper The Imitation Game, è una soap opera zuccherosa di due ore i cui cliché - in questo caso pescati dalla vita reale dei due protagonisti - li si può prevedere con mezz'ora di anticipo: colpo di fulmine tra Stephen e Jane durante una festa universitaria. La aspetta fuori dalla chiesa e la invita a pranzo assieme alla famiglia al cui cospetto invita Jane al ballo di fine anno che si svolge tra giostre, palchi di ballo, e sparuti fuochi d'artificio che fanno capolino dalle guglie del complesso architettonico di Cambridge dove, su un ponte illuminato, i due innamorati chiudono la serata con un bacio. I primi vagiti della sua teoria su... cosa? vanno di pari passo con i sintomi della sua malattia degenerativa che uccide le cellule del cervello che controllano le principali azioni motorie e che lo porteranno alla morte in due anni scarsi (cosa che non avviene).


La regia del documentarista James Marsh risulta beffarda quando inquadra le ruote della bicicletta e le gambe dei vogatori e morbosa invece quando fa i primi piani dei piedi storti, le mani artritiche e le rotelle della carrozzina di Stephen Hawking (un Eddie Redmayne convincente). Si dimostra inadeguato a dirigere un film che tratta in maniera del tutto ordinaria la vita di un genio della fisica che con le sue teorie ha portato all'arricchimento del pensiero scientifico. Cos'è la teoria del tutto da cui prende il titolo?


Il film non lo specifica. E' tanto lineare quanto tremendamente convenzionale. Invece di focalizzare l'attenzione sulle teorie - esponendole in un linguaggio adatto per noi non addetti ai lavori - si preferisce schiacciarle sotto le rotelle per concentrarsi sul decorso della sua terribile malattia e sulla love story che non emozionerebbe neanche il più empatico degli spettatori. 



All'inizio si fa riferimento alla sua intenzione di formulare un'equazione che spieghi l'origine dell'universo poi sull'origine e fine del tempo, in seguito dimostra senza alcun calcolo che se una stella sparisce in un buco nero poi esso stesso sparisce e infine confuta entrambe le teorie con cui ha ottenuto il dottorato dicendo che l'universo non ha confini quindi non ha né inizio né fine. E neanche questo strazio di pellicola sembrerebbe non avere una fine. E il messaggio finale "Finché c'è vita c'è speranza" pronunciato da Hawking durante una conferenza americana sul Tempo - i personaggi non invecchiano mai, quindi credo abbiano scoperto un aggeggio che riavvolga il tempo, oppure, più probabile, ciò è il risultato del regista negligente - è di una banalità sconcertante. La teoria del tuttoennesimo prodotto confezionato, è un buco nero che inghiottirà il vostro tempo lasciandovi con due ore in meno da spendere in attività più producenti. Salvatevi.


Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: The Theory of Everything
Lingua originale: inglese, francese
Paese di produzione: Regno Unito
Anno: 2014
Durata: 123 min
Generebiografico, drammatico
Regia: James Marsh
Soggetto: Jane Wilde Hawking (biografia)
Sceneggiatura: Anthony McCarten
Produttore: Tim Bevan, Eric Fellner, Lisa Bruce, Anthony McCarten
Casa di produzione: Working Title Films
Distribuzione (Italia) : Universal Pictures
Fotografia: Benoît Delhomme
Montaggio: Jinx Godfrey
Musiche: Jóhann Jóhannsson
Scenografia: John Paul Kelly
Costumi: Steven Noble
Trucco: Jan Sewell

Interpreti e personaggi:
Eddie Redmayne: Stephen Hawking
Felicity Jones: Jane Hawking
Emily Watson: Isobel Hawking
Charlie Cox: Jonathan Hellyer Jones
David Thewlis: Dennis William Sciama
Harry Lloyd: Brian
Adam Godley: Senior Doctor
Maxine Peake: Elaine Mason
Simon McBurney: Frank Hawking
Enzo Cilenti: Kip Stephen Thorne
Charlotte Hope: Philippa Hawking
Tom Prior: Robert Hawking
Frank Lebœuf: dottore svizzero

Doppiatori italiani:
Davide Perino: Stephen Hawking
Valentina Favazza: Jane Hawking
Gianfranco Miranda: Jonathan Hellyer Jones
Angelo Maggi: Dennis William Sciama
David Chevalier: Brian

Franco Mannella: Frank Hawking

Denny B.



mercoledì 21 gennaio 2015

The Imitation Game

The Imitation Game

★★½

Durante la Seconda guerra mondiale il matematico inglese Alan Turing (Benedict Cumberbatch) viene coinvolto in un progetto altamente top secret dalla Marina britannica e dal MI6 il quale vede un gruppo di linguisti, scacchisti, matematici impegnati a decriptare il codice tedesco Enigma, risultato che li avrebbe portati a vincere la guerra contro la Germania nazista. 


Alan Turing è stato una delle più grandi menti del XX secolo. Genio matematico e appassionato di cruciverba ha posto le basi per lo studio e la realizzazione effettiva delle macchine che in futuro si sarebbero chiamate computer. Stando alla descrizione che esce fuori dal biopic Turing era un uomo scontroso che amava lavorare in solitudine e con un genio così ingombrante da non lasciar spazio all'umorismo. Decifrando il codice Enigma con la sua macchina chiamata "Christopher" ha contribuito in maniera massiccia a vincere la guerra decidendo assieme ai suoi collaboratori, come dèi loro malgrado, quali attacchi tedeschi sventare e quali no. Ed era omosessuale in una nazione che lo considerava un reato perseguibile con la castrazione chimica. 


The Imitation Game di Morten Tyldum è un prodotto confezionato ad hoc per piacere a quelle mummie dell'Academy. Quest'anno abbiamo due film incentrati sulla storia di un genio: questo, a cui si aggiunge la guerra contro il nazismo, e lo zuccherosissimo La teoria del tutto di cui vi parlerò più avanti. Ed entrambi hanno fatto incetta di nomination agli Oscar 2015. Non mi sembra il caso spiegarvi il perché, no? Ci arrivate benissimo da soli. 


I personaggi secondari - Charles Dance, Matthew Goode, Keira Knightley - vorticano come satelliti attorno al pianeta Turing: in parole povere sono solo cartonati messi per riempire le scene ed evitare lo one man show di Benedict Cumberbatch la cui interpretazione non è nulla di così memorabile bensì appena una tacca al di sopra della media. Trovo invece scandalosa la nomination all'Oscar per Keira Knightley - chioma bionda, sorriso paralizzato, occhi persi - quando la macchina di Turing l'ho trovata dieci volte più espressiva di lei. 


Quanto sarebbe stato più interessante il film se si fosse deciso di esplorare più il Turing uomo dalle tensioni sessuali (non era di certo una macchina) che il Turing genio pioniere della moderna informatica? The Imitation Game è piatto come l'ala di un bimotore tedesco e scorre prevedibile senza lasciare briciole di emozione dietro di sé. Il sentimento è restato intrappolato in uno dei meccanismi della macchina decifratrice. "Per noi la guerra era una mezza dozzina di fanatici dei cruciverba in un villaggio dell'Inghilterra meridionale" dice Alan Turing all'uomo della polizia che nel 1950 lo interroga sui suoi servizi prestati alla Marina inglese. Per noi che il cinema lo amiamo e ne parliamo è qualcos'altro: arte, espressione di sé, illusione realizzata e quant'altro. Il cinema non è confezionamento di ovetti per di più senza sorpresa. Chi la pensa in questo modo il suo mondo è nell'industria. Non di certo cinematografica.


Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: The Imitation Game
Lingua originale: inglese
Paese di produzione: Stati Uniti d'America, Regno Unito
Anno: 2014
Durata: 113 min
Generebiografico, drammatico, thriller, storico
Regia: Morten Tyldum
Soggetto: Andrew Hodges (biografia)
Sceneggiatura: Graham Moore
Produttore: Nora Grossman, Ido Ostrowsky, Teddy Schwarzman
Produttore esecutivo: Graham Moore
Casa di produzione: Black Bear Pictures, Bristol Automotive
Distribuzione (Italia) : Videa CDE
Fotografia: Óscar Faura
Montaggio: William Goldenberg
Effetti speciali: Jason Troughton
Musiche: Alexandre Desplat
Scenografia: Maria Djurkovic
Costumi: Sammy Sheldon

Interpreti e personaggi:
Benedict Cumberbatch: Alan Turing
Keira Knightley: Joan Clarke
Matthew Goode: Hugh Alexander
Charles Dance: Comandante Alastair Denniston
Mark Strong: Stewart Menzies
Rory Kinnear: Detective Nock
Allen Leech: John Cairncross
Matthew Beard: Peter Hilton

Doppiatori italiani:
Niseem Onorato: Alan Turing
Myriam Catania: Joan Clarke
Gianfranco Miranda: Hugh Alexander
Stefano De Sando: Comandante Alastair Denniston
Francesco Prando: Stewart Menzies

Denny B.









lunedì 19 gennaio 2015

American Sniper

American Sniper

★★★½

Chris Kyle (Bradley Cooper) è un uomo del Texas che dopo aver assistito in televisione agli attentati alle ambasciate statunitensi del 1998 in alcuni paesi africani, decide di arruolarsi nel Navy SEAL, e durante l'addestramento conosce Taya (Sienna Miller), che diventerà sua moglie. Essendosi distino per le sue doti da cecchino viene inviato in missione in Iraq per proteggere i suoi commilitoni. Ben presto diventerà una leggenda tanto che i miliziani iracheni gli mettono sulla testa una taglia di 180.000 dollari. Ma non puoi andare in guerra senza riportare a casa delle ferite; che siano fisiche o mentali non ha importanza. 



In origine il film avrebbe dovuto essere diretto da Steven Spielberg: già potevamo immaginare di vedere la bandiera americana sventolare in ogni maledetta inquadratura. Avremmo assistito a un polpettone indigesto di retorica americana, invece per nostra fortuna la regia è andata nelle mani sapienti di Clint Eastwood, un uomo di 84 anni che se ne esce con un film nuovo ogni anno, volando di genere in genere con la leggerezza di una farfalla e la saggezza di una formica, e che ha ormai una padronanza del mezzo cinematografico assolutamente invidiabile. 



American Sniper non è un film che si prende l'impegno di criticare la guerra in Iraq. E' un american movie diretto da un uomo che non ha mai fatto mistero delle sue idee politiche, ma vogliamo stare qui a parlare del credo politico di Clint Eastwood, oppure parliamo del suo ultimo lavoro? Preferirei quest'ultima se a voi non dispiace. American Sniper è un film sulla storia di un uomo divenuto suo malgrado una leggenda - il più letale cecchino della storia degli Stati Uniti - svolgendo il suo lavoro di soldato, giusto o sbagliato che sia. Per i suoi compagni d'armi Chris Kyle è un mito. Se non fosse stato per lui, che sui tetti o dentro gli appartamenti in disuso, copriva le spalle ai soldati impegnati nelle ricognizioni, essi sarebbero presto tornati in patria in una bara avvolta nella bandiera a stelle e strisce. E' il ritratto nudo e crudo di un uomo tipicamente americano che crede nel suo paese, che viene acclamato come un eroe quando lui non si sente di aver fatto alcuna azione eroica bensì solo e soltanto il suo lavoro. Non possiamo permetterci noi di negare la storia, figuriamoci Clint Eastwood oggi oggetto dei più aspri e gratuiti insulti della critica sinistrorsa italiana.  



Ci sono tre tipi di persone: le pecore ovvero chi crede che il male non esiste e non può arrivare sulla soglia di casa propria; i lupi, che fanno del male e minacciano la pace; e infine i cani da pastore, che scacciano i lupi e proteggono le persone che amano. Chris Kyle è un cane da pastore. Un uomo che non si pente affatto delle sue 160 uccisioni. Ha difeso i suoi compagni, onorato la sua patria e il suo unico rimpianto è rappresentato dai soldati che non è riuscito a salvare. 



L'interpretazione di Bradley Cooper finora è la migliore del suo percorso lavorativo seppur sia stato scelto più per la leggera somiglianza con il vero Chris Kyle che per le sue buone doti di attore. Se American Sniper non fosse stato tratto da una storia vera si sarebbe optato per un attore migliore, come ad esempio Mark Wahlberg o Ethan Hawke, in grado forse di dare più sfumature a un personaggio non intrappolato nella trama reale della vita. Le scene di guerra sono tecnicamente ineccepibili e di impatto e vengono inframmezzate, soprattutto nella prima parte, dall'estenuante arruolamento militare e dalla storia d'amore con la donna che diventerà sua moglie. 



Avrei gradito una maggiore caratterizzazione dei personaggi secondari, ma tale mancanza credo sia voluta: non si vuole che lo spettatore finisca per affezionarsi ai soldati perché presto o tardi quella pallottola con il loro nome scritto sopra - da citare quel proiettile di Kyle a rallentatore -  farà scoppiare le loro teste in una rosa di sangue. Si preferisce focalizzarsi su Chris Kyle e la moglie Taya, sul loro rapporto che sopravvive alla guerra e al logoramento mentale di un uomo, una leggenda, che si ritrova seduto sulla poltrona a fissare con sguardo provato lo schermo nero del televisore mentre in sottofondo udiamo gli spari e il rumore prodotto dagli elicotteri che riempiono la sua mente. Un'immagine potentissima. Dalla guerra non se ne esce neanche stando protetto dietro le quattro mura di casa. La guerra non produce eroi o leggende - sono gli stessi uomini che ne alimentano la fama - ma solo e soltanto vittime. Che sia un bambino a cui una donna gli ha messo tra le mani una granata da lanciare contro un convoglio americano, che sia la stessa donna che raccoglie la granata caduta dalle mani del bambino ucciso con precisione da Kyle, che sia lo stesso Kyle che dopo anni dal suo ritorno a casa ancora tiene in mano una pistola con cui minaccia seppur solo per gioco la sua solare moglie, non importa, perché sono tutti delle vittime. E noi con loro. 



Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):


Titolo originale: American Sniper
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 2014
Durata: 132 min
Generebiografico, guerra, drammatico
Regia: Clint Eastwood
Soggetto: Chris Kyle, Scott McEwen, James Defelice
Sceneggiatura: Jason Hall
Produttore: Clint Eastwood, Bradley Cooper, Andrew Lazar, Robert Lorenz, Peter Morgan
Produttore esecutivo: Tim Moore, Jason Hall, Sheroum Kim, Bruce Berman
Casa di produzione: Warner Bros., 22 & Indiana Pictures, Mad Chance Productions, Malpaso Productions, Paragon Studios, Village Roadshow Pictures
Distribuzione (Italia) : Warner Bros.
Fotografia: Tom Stern
Montaggio: Joel Cox, Gary D. Roach
Scenografia: Charisse Cardenas, James J. Murakami

Interpreti e personaggi:
Bradley Cooper: Chris Kyle
Sienna Miller: Taya Renae Kyle
Kyle Gallner: Winston
Max Charles: Colton Kyle
Luke Grimes: Marc Lee
Sam Jaeger: Capitano Martens
Jake McDorman: Ryan Job
Cory Hardrict: "D" Dandridge
Navid Negahban: Sceicco Al-Obeidi
Brian Hallisay: Capitano Gillespie
Eric Close: agente DIA Snead
Eric Ladin: Squirrel
Keir O'Donnell: Jeff Kyle
Jonathan Groff: Reduce Mads
Luis Jose Lopez: Sanchez

Doppiatori italiani:
Christian Iansante: Chris Kyle
Selvaggia Quattrini: Taya Renae Kyle
Edoardo Stoppacciaro: Marc Lee
Nanni Baldini: "D" Dandridge
Raffaele Carpentieri: Sanchez
Andrea Mete: "Bombarda"
Stefano Broccoletti: Reduce Mads

Denny B.

giovedì 15 gennaio 2015

MIKE NICHOLS DAY: CLOSER

Closer


★★★★

Dan (Jude Law), uno scrittore di necrologi aspirante romanziere, si fidanza con Alice, una spogliarellista venuta a Londra in cerca di fortuna. Tempo dopo conosce la fotografa Anna (Julia Roberts) di cui s'innamora e farà di tutto per averla. Per uno scherzo ordito da Dan Anna viene spinta tra le braccia del dottor Larry (Clive Owen), ma il romanziere fallito non si darà per vinto.



In Closer di Mike Nichols i personaggi si coinvolgono in un ipnotico gioco fatto di erotismo, tradimento, menzogne e continua attrattiva. Essi pensano a se stessi, al proprio godimento, con gli occhi attaccati al corpo del loro oggetto del desiderio di turno; sono presi completamente da se stessi e mentono nell'esatto momento in cui parlano. "Le bugie sono la moneta corrente del mondo" dice Dan a un certo punto ed è lo stesso che afferma "Senza verità siamo animali". E loro quattro sono animali. Segnano il territorio, escono dalle tane per cacciare o essere semplicemente cacciati, danno sfogo ai loro istinti, s'adagiano sudati l'uno accanto all'altra. Non lo sentite anche voi un certo odore? Più si puliscono e più si sentono sporchi. 



Le quattro stelle hollywoodiane - Jude Law, Natalie Portman, Julia Roberts e Clive Owen - li interpretano perfettamente. Dan scrive necrologi per un giornale. Alice è una spogliarellista arrivata a Londra dopo una relazione finita male. Anna è una fotografa in carriera. Larry è un dermatologo. Tutti e quattro si incontrano e si scontrano. Dan si fidanza con Alice, ma corteggia Anna quando fa la sua conoscenza nello studio fotografico di lei. Alice ascolta un frammento della loro conversazione. "Non sono una ladra" si difende Anna, ma lo è. Ricordatevi: mentono nel momento stesso in cui aprono bocca. Persino i necrologi non vengono scritti con sincerità: Dan spiega ad Alice che "Era un uomo gioviale" vuol dire che il defunto era un alcolista; "Era geloso del suo privato" vuol dire che era gay; invece se "Gioiva del suo privato" vuol dire che era una checca furiosa.  



Il dr. Larry (un Clive Owen stupendo) è sicuramente il personaggio più infido che s'appoggia alle sue raffinate costruzioni linguistiche per ferire. E' spassosa la scena in cui Larry nel suo studio medico chatta con quella che crede essere una donna di nome Anna che altro non è che Dan che si finge una donna per puro divertimento. Rivedendo il film ho colto segnali qui e là che mi hanno fatto sorgere il dubbio che in realtà Dan sia omosessuale. E' molto gracile e delicato ("Lo farei nero", dice Larry), quando bacia Alice o Anna è come se timbrasse un cartellino, come se dovesse convincersi che gli piacciono veramente non loro come persone, bensì le donne in generale. Sappiamo dalla bocca di Larry, che a sua volta l'ha saputo da Anna, che Dan fa sesso ad occhi chiusi e piange di notte in cerca della mamma. Ma devo ricordarmi io stesso che si divertono a mentire, quindi è meglio prendere con le pinze quest'ultima affermazione. C'è tuttavia un momento in cui uno dei quattro dice la verità e l'altro non gli crede. Paradossale, no? 



Una delle scene più belle vede impegnato il mai più così bravo Clive Owen in un dialogo serrato e sboccato con Julia Roberts. "Perché il sesso è così importante?" e lui risponde "Perché sono un cavernicolo". Definizione azzeccata. Anna è una donna a cui piace fare sesso con il senso di colpa. Dan è un verità-dipendente che vorrebbe ferire con essa, ma non ce la fa (optando per altri metodi più da cavernicolo), è un immaturo che ha bisogno di una donna, di una qualsiasi donna (quando va da Larry per riprendersi Anna finisce per chiedergli piangendo "Credi che Alice mi riprenderà?"). Alice, in apparenza innocente e fragile, è in realtà la più menzognera. "Mentire è il divertimento più grande che una ragazza può avere senza spogliarsi".



La sceneggiatura di Patrick Marber tratta dalla sua omonima pièce teatrale è la componente più forte del film assieme alle interpretazioni degli attori (in nessun altro film sono riuscito a sopportare la vista di Natalie Portman) e alla regia competente di Mike Nichols (di cui vi consiglio di recuperare al più presto la miniserie capolavoro Angels in America tratta dall'opera di Tony Kushner con Al Pacino, Meryl Streep ed Emma Thompson). Alla fine della seducente giostra di Closer chi riesce a scendere e a restare in piedi senza essere spezzato dalla nausea? Larry, senza dubbio, e Anna. Alice, in parte. Dan perde, ma non tarderà a pagare il biglietto per un altro giro.


Ecco gli altri blog, oltre al mio, che partecipano al Mike Nichols Day:

Non c'è paragone
Il Bollalmanacco di Cinema
Recensioni Ribelli
La fabbrica dei sogni
Mari's Red Room
Montecristo
Director's Cult
White Russian
Pensieri Cannibali
Onironauta Idiosincratico

Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: Closer
Paese di produzione: USA
Anno: 2004
Durata: 104 min
Generedrammatico, romantico
Regia: Mike Nichols
Soggetto: Patrick Marber (opera teatrale)
Sceneggiatura: Patrick Marber
Produttore: Mike Nichols, John Calley, Cary Brokaw, Michael Haley (co-produttore), Mary Bailey (produttore associato), Paul A. Levin (produttore associato)
Produttore esecutivo: Scott Rudin, Celia Costas, Robert Fox
Casa di produzione: Columbia Pictures, Inside Track
Fotografia: Stephen Goldblatt
Montaggio: John Bloom, Antonia Van Drimmelen
Effetti speciali: Stuart Brisdon
Musiche: Steven Patrick Morrissey + AA. VV.
Scenografia: Tim Hatley
Costumi: Ann Roth
Trucco: Linda DeVetta

Interpreti e personaggi:
Julia Roberts: Anna
Jude Law: Dan
Natalie Portman: Alice
Clive Owen: Larry
Nick Hobbs: tassista
Colin Stinton: ufficiale alla dogana

Doppiatori italiani:
Cristina Boraschi: Anna
Riccardo Niseem Onorato: Dan
Ilaria Stagni: Alice
Francesco Pannofino: Larry

Denny B.