venerdì 28 marzo 2014

Melancholia: come trasferire la propria depressione sullo spettatore

Melancholia

½

Il film si apre sulle note del Tristano e Isotta di Richard Wagner e la scena si svolge a rallentatore: una sposa corre mentre dei rami le si attorcigliano addosso. Intanto due pianeti si avvicinano tra loro sempre di più. La sposa ora è adagiata su un fiume come una moderna Ofelia. I pianeti si sono toccati? 
Ora: questo è solo il prologo di Melancholia di Lars Trier, diviso in due parti: la prima intitolata Justine e la seconda Claire. Andiamo quindi ad analizzarli. 


Parte 1: Justine

L'autista di una limousine non riesce a procedere per via di una curva di una strada ripida e sterrata mentre sui sedili posteriori Michael (Alexander Skarsgard) e Justine (Kirsten Dunst), due sposini, se la ridono comportandosi da spensierati piccioncini. Decidono infine di aiutare l'autista nella difficoltosa manovra. Non è che Trier nel suo gigantesco ego ha pensato che la limousine sia la metafora della ricchezza che non riesce a conformarsi al mondo della povertà? No, spero di no. Riescono comunque a raggiungere il luogo del ricevimento, una enorme villa con un campo da golf, in ritardo, cosa che infastidisce non poco la sorella Claire (Charlotte Gainsbourg) e suo marito John (Kiefer Sutherland). Al ricevimento vi è il gioco della conta dei fagioli il cui numero esatto verrà svelato alla fine della festa. Eppure credevo di star guardando un film non una replica del programma tv Pronto, Raffaella?



La flora e la fauna della festa è quanto di più fastidioso e irritante troverete in film ciofeca spacciati invece per capolavori: il padre di Justine è un vecchio latin lover che si prende gioco del cameriere chiedendogli in continuazione un cucchiaio mettendo in mostra quello che ha già dentro il taschino della giacca; la madre è un'acida guastafeste che interviene dicendo che non crede nel matrimonio, e di godersi i momenti felici finché ne hanno la possibilità - ma in questo è il personaggio leggermente più piacevole; un omosessuale con caschetto grigio gira tra gli invitati e quando passa vicino alla sposa si copre il viso perché non vuole vederla - un po' come me durante la visione del film-; il datore di lavoro di Justine, visibilmente attratto dal suo giovane corpo, la promuove ad art director e le starà incollato addosso per tutta la festa al fine di cavarle dalla bocca uno slogan di un non si sa quale prodotto. 



Justine, prima allegra e radiosa, incomincia a rabbuiarsi e a ignorare gli sguardi rapiti da pesce lesso del novello sposo o rispondergli con sorrisini ebeti tanto per dargli un rinforzo positivo come se fosse uno dei cani di Pavlov. Come se l'organizzatore e John non fossero già così spazientiti lei si concede un bagno, come la madre, poco prima del taglio della torta. E Trier per rianimare il film (sì, poche decine di minuti ma ho smesso di contare gli sbadigli) inserisce una scena altamente comica, ma che per lui saprà di arte mistica, in cui lei cavalca il galoppino del suo datore di lavoro e non si capisce se se lo scopi o no. Poi lei si licenzia e il marito, lasciato solo nella stanza con un'erezione insopportabile, decide di andarsene lasciandola. Quel che si dice il matrimonio più breve della storia del cinema. Ah, quasi dimenticavo il verdetto che tutti aspettavate: il numero esatto dei fagioli è 678 e nessuno ha indovinato. Qui non avrebbe assolutamente sfigurato la voce di Carlo Valli dire "Ding! Grazie per aver partecipato al nostro gioco", tanto per citare L'attimo fuggente.   



Parte 2: Claire

Claire è la Lei di Antichrist, meno bipolare, ma sempre ansiogena
e orticante. Charlotte Gainsbourg, oltre a essere di una bruttezza insopportabile, cosa però che non giustifica la mia insofferenza nel guardarla, è un'attrice irritante quanto un rovo che ti ferisce un braccio o una gamba durante una spensierata corsa nei boschi.
Claire viene a conoscenza della notizia che secondo gli scienziati il pianeta Melancholia passerà vicino alla Terra senza però toccarla, la rassicura John con sicurezza astronomica. Intanto Justine è diventata uno zombie non autosufficiente e non avrebbe sfigurato in un film di Romero o Fulci. Dice che il polpettone sa di cenere mentre il suo adorato nipotino continua a chiamarla "zietta spezza-acciaio" quando non riuscirebbe a spezzare manco un grissino e viene coinvolto dall'eccitazione del padre per questo evento scientifico più unico che raro. Claire è sempre più in ansia e acquista presumibilmente dello xanax che nasconde in un cassetto. Justine, nel giro di due inquadrature, diventa una veggente di Medjugorje apocalittica sputa assiomi idioti del tipo "Il numero esatto di fagioli era 678. Vedi? Io so le cose" e questo ragionamento non fa una piega, vero Trier?



Comunque Melancholia passa vicino alla Terra senza colpirlo - che peccato - causando solo un abbassamento della pressione atmosferica (?) e cancellando momentaneamente l'ansia cronica di Claire. Che il pianeta si sia allontanato per prendere meglio la rincorsa? 
Il giorno dopo Claire scopre che il pianeta si sta nuovamente avvicinando e trova suo marito morto dentro la stalla e in uno dei tanti momenti di stupidità del film copre il corpo con la paglia, libera i cavalli, prende suo figlio, prova ad accendere le auto misteriosamente senza benzina per poi optare per la golf-car e per andare dove, chiederete voi? Ma giù in paese, chiaro, come se la Terra non fosse rotonda e un eventuale impatto non interessasse proprio il paese. Dopo essere incappati in una grandinata improvvisa torna a casa e propone alla veggente Justine di sedersi in terrazza con un bicchiere di vino e attendere insieme la fine al che Justine le risponde che la proposta è un'emerita stronzata e che è molto più intelligente dire al nipotino che c'è una grotta magica (*risate registrate*) e di attendere infine l'impatto sotto una capanna indiana aperta perché dobbiamo essere indie fino alla morte - che avviene finalmente, tra urla di gioia del sottoscritto, portandosi via tutti questi personaggi odiosi e Lars Trier stesso. 


Ora, spero mi possiate perdonare per codesta recensione volutamente cazzara perché, vi giuro, sarebbe stata un'impresa madornale scrivere qualcosa di serio su un film del genere che il critico Peter Bradshaw del The Guardian ha sintetizzato così bene:  "Lo spettacolo è arrogante. Forse questo film è un altro sintomo della tanto sbandierata depressione del regista o una sorta di terapia che funziona trasferendo la sua depressione sul pubblico. A cui posso solo dire: coraggio. Qualunque cosa accada al mondo, questo film è giunto alla fine".
E aggiungo che poco me ne importa se nel film fa capolino attorniato da una luce bluastra il seno sodo dell'inespressiva Kirsten Dunst. Melancholia è un film imbarazzante di un regista che non ha nulla di artistico da dire al pubblico né tantomeno a se stesso e che si crede di essere, perché i critici idioti glielo fanno credere, il Kubrick del nuovo millennio quando in realtà è un mediocre e pretestuoso arrapato con l'alzabandiera perenne che non è ancora riuscito a piantare sul pianeta Donna. 

Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):  

Titolo originale: Melancholia
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: Danimarca, Germania, Francia, Svezia, Italia
Anno: 2011
Durata: 130 min
Generedrammatico, fantascienza
Regia: Lars von Trier
Sceneggiatura: Lars von Trier
Produttore: Meta Louise Foldager, Louise Vesth
Produttore esecutivo: Peter Aalbæk Jensen, Peter Garde
Casa di produzione: Zentropa Entertainments, Memfis Film, Slot Machine, Liberator Productions
Distribuzione (Italia): BiM Distribuzione
Fotografia: Manuel Alberto Claro
Montaggio: Molly Marlene Stensgaard
Effetti speciali: Dansk Speciel Effekt Service, Filmgate
Scenografia: Jette Lehmann
Costumi: Manon Rasmussen
Trucco: Dennis Knudsen, Linda Boije af Gennäs

Interpreti e personaggi
Kirsten Dunst: Justine
Charlotte Gainsbourg: Claire
Kiefer Sutherland: John
Alexander Skarsgård: Michael
Brady Corbet: Tim
Cameron Spurr: Leo
Charlotte Rampling: Gaby
Jesper Christensen: Little Father
John Hurt: Dexter
Stellan Skarsgård: Jack
Udo Kier: Wedding planner

Doppiatori italiani:
Domitilla D'Amico: Justine
Chiara Colizzi: Claire
Massimo Rossi: John
Gianfranco Miranda: Michael
Davide Perino: Tim
Vittoria Febbi: Gaby
Giorgio Lopez: Dexter
Luca Biagini: Jack

Denny B.


mercoledì 26 marzo 2014

Antichrist: vade retro Trier, vade retro Trier

Antichrist

½ stella

Sono in difficoltà, lo ammetto. Il mio vocabolario è in difficoltà, non riesce a scovare parole eleganti o quanto meno sobrie che non ledano la sensibilità del lettore. Devo riuscire a scrivere una recensione di Antichrist senza scadere nella più divertente esclamazione fantozziana usata e abusata da chiunque. Devo riuscire a non rimettere i cenoni di natale dei miei anni passati sulla tastiera del computer su cui scrivo con così tanto amore le critiche dei film più disparati. Da qualche parte dovrò pur cominciare, quindi ecco in breve - in brevissimo - la trama.


Lui (Willem Dafoe) e Lei (Charlotte Gainsbourg) consumano un atto sessuale mentre il loro figlioletto scende dal letto e, avvicinando la sedia al bordo della finestra aperta, si butta di sotto dove si schianta sull'asfalto imbiancato dalla neve. Lei cade in una pseudo-depressione e il marito, che è un terapeuta, decide di curarla lui con sedute di ipnosi e chiedendo cosa le fa più paura al che, dopo la risposta "il bosco", decide di portarla in una casa nel bosco per continuare la terapia, resa difficile dal carattere di lei e dalla natura che pare mossa da un'entità malefica.


I primi nove minuti di amplesso a rallentatore in bianco e nero sull'aria "Lascia ch'io pianga" del Rinaldo di George Frideric Handel sono di discreto impatto emotivo tanto che sono stato portato a credere che Antichrist fosse il balsamo che curasse la mia delusione della visione di Dogville. Quanto mi sbagliavo. Dopo quest'inizio promettente ogni dieci minuti circa la mia bocca pronunciava attonita un "Ma cosa sto guardando?". Lei, Charlotte Gainsbourg, di una bruttezza allucinante, è una depressa bipolare nullafacente: passa da stati in cui si scoperebbe pure una delle querce di cui parla in uno degli stupidi dialoghi spruzzati tra un rallenty e una pioggia di ghiande a momenti d'ira in cui ucciderebbe pure un pulcino bagnato.


Lui, Willem Dafoe, che considero un attore straordinario capace di interpretare qualsiasi ruolo drammatico gli offrano, è un terapeuta precisino che assolutamente non farebbe mai sesso con la sua paziente - la moglie - salvo poi calmarla da un attacco d'ansia con sonori affondi carnali; e portandola nel bosco dopo avergli detto, tra un sospiro deprimente e l'altro, che la cosa che più le fa paura è il bosco attorno all'Eden (riferimento al paradiso perduto?): per sconfiggere le proprie paure si devono affrontare, no?



Quindi i due consorti si dirigono alla casa nel bosco - precedentemente affittata? di loro proprietà? oppure non ne sanno nulla un po' come è successo a Scajola? - e mentre passeggiano nella natura portando gli zaini sulle spalle Lei sente un bruciore ai piedi giustificato da una leggera scottatura proprio a uno dei piedi. La natura cerca di far capire loro che non sono i benvenuti, d'altronde, come dice Lei una sera, "La natura è la chiesa di Satana". Tutta questa ambiguità, quel senso che Trier crede sia d'incubo, ma che è soltanto noia vuota, viene sciorinata attraverso simboli che hanno le sembianze di animali: il cerbiatto partoriente che scappa - a rallentatore - tra l'erba alta; l'aquila che si ciba del piccolo di un altro volatile, o del suo stesso piccolo, non si capisce; il corvo che gracchia e che Lui non riesce a uccidere una volta che si è nascosto dalla vista della sempre più folle sua consorte; e poi la volpe - uno dei punti trash più alti di Antichrist - che, parlando, dice "il caos regna". 



Durante la loro villeggiatura Lei non riesce a camminare da sola da una pietra all'altra. Gli alberi crollano a vanvera. Ricorda un momento in cui nel bosco aveva sentito piangere un bambino credendo fosse il suo, che si scopre, grazie a un'autopsia, di avere avuto problemi ai piedi a causa della sbadataggine della madre che gli aveva messo le scarpe al contrario. E qui i proverbiali "What a Fuck?" si sprecano. Ma non posso non citare scene raccapriccianti come quella in cui Lei tramortisce Lui con un attrezzo, masturba il suo membro da cui fuoriesce del sangue e poi gli buca una gamba fermandogliela con una pietra rotonda, e fugge nel bosco, mentre Lui si sveglia, esce dalla casa, si nasconde in una tana e Lei - in un delirio orticante - lo cerca tra gli alberi urlandogli "Bastardo, non lasciarmi da sola". Ma il picco più raccapricciante lo si raggiunge quando lei, con delle forbici, si taglia la clitoride. 



Antichrist finisce con Lui - Lei è morta bruciata su un rogo improvvisato - in bianco e nero, con la stessa aria del prologo, che si ciba di alcune more o bacche, presumo allucinogene perché vede il cerbiatto, il corvo e la volpe prima che un marasma di gente risalga il fianco ripido del bosco diretti verso chissà quale luogo. Antichrist è una delle cose più brutte che io abbia mai visto, un cumulo maleodorante di castronerie che segna il punto più basso dell'odierna cinematografia.  

Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):


Titolo originale: Antichrist
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: Danimarca, Germania, Italia, Svezia, Polonia
Anno: 2009
Durata: 104 min. ("catholic version")
109 min. (uncut "protestant version")
Generethriller psicologico, orrore, noir, drammatico
Regia: Lars von Trier
Soggetto: Lars von Trier
Sceneggiatura: Lars von Trier
Produttore: Meta Louise Foldager
Produttore esecutivo: Bettina Brokemper, Peter Garde, Peter Aalbæk Jensen
Casa di produzione: Zentropa Entertainments
Distribuzione (Italia): Lucky Red
Fotografia: Anthony Dod Mantle
Montaggio: Åsa Mossberg, Anders Refn
Effetti speciali: Fabian Grobholz, Dennis Kron, Erik Zumkley
Scenografia: Karl Júlíusson
Trucco: Uta Bucklitsch, Thomas Foldberg, Antje Bockeloh

Interpreti e personaggi:
Willem Dafoe: Lui
Charlotte Gainsbourg: Lei

Doppiatori italiani:
Roberto Pedicini: Lui
Valentina Carnelutti: Lei



Denny B.








lunedì 24 marzo 2014

Dogville - Un film senza pedigree

Dogville

★★

Io amo l'onestà intellettuale. Credo sia una delle doti migliori che si possano imparare (sì può, se lo si vuole davvero). Prima di aprire bocca su un argomento di cui non si sa una mina bucata è giusto informarsi e farsi un'idea propria. Questa dote vale anche per la settima arte. Quindi, prima dell'uscita italiana di Nymphomaniac di Lars Trier di cui conoscevo solo le provocazioni e uscite poco gradevoli al Festival di Cannes, ho deciso di recuperare almeno tre dei suoi lavori così da farmi un'idea che mi servirà per affrontare con intelligenza la visione del suo nuovo film.


Anni della Grande Depressione. Una giovane donna di nome Grace (Nicole Kidman) arriva nella tranquilla e solitaria città di Dogville dopo essere fuggita da alcuni gangster. Tom (Paul Bettany), figlio del medico, riunisce tutti gli abitanti nella casa della missione dove decidono di metterla in prova per due settimane alla fine delle quali sceglieranno se farla restare o cacciarla. Gli abitanti, se prima restii ad accettare i suoi servigi, divengono man mano sempre più bisognosi dei suoi favori fino a riconoscerla come parte integrante della comunità. Ma presto la sua bellezza influenzerà la buona condotta degli uomini e la crudeltà delle donne unita a ricatti e sevizie di ogni genere righerà la sua fragilità alabastrina che la spingerà nonostante tutto a perdonare fino al tragico episodio finale.


Il film è diviso in nove capitoli e un prologo.  La città di Dogville, situata tra le Montagne Rocciose, pare un set cinematografico non finito o un palco teatrale. Le abitazioni non sono altro che spazi tracciati con un gessetto bianco accompagnate da una brevissima didascalia che descrive cosa siano (tipo: panchina delle vecchiette, Via degli Olmi, miniera...) e la montagna sembra un pezzo di scenografia da recita scolastica dimenticato lì per caso. Il sole non sorge e neanche la luna. Di giorno il bianco attornia la città e il nero di notte. Noi vediamo cosa fanno tutti gli abitanti, essendo le case prive di muri e finestre. Alcuni zappano un duro pavimento; aprono porte inesistenti; non ci sono né bagni né lavandini, né camini né armadi; non c'è un municipio, non si sa se la moneta corrente sia il dollaro. Non ho visto un goccio d'acqua. E mi sono chiesto se fosse tutta una gran presa per i fondelli.


Gli abitanti di Dogville sono interpretati da un cast stellare tra cui: 
Paul Bettany: Tom,  il filosofo e scrittore di una sola frase che s'innamora di Grace.
Stellan Skarsgard: Chuck, rude contadino sposato con Vera (Patricia Clarkson), amante della mitologia greca, con sette figli a carico tra cui un nascente masochista. 
Ben Gazzara: McCay, il cieco che non esce mai di casa per non mostrarsi tale di fronte agli altri.
Philip Baker Hall: il padre di Tom, medico in pensione che a detta del figlio è il migliore nel dare giudizi. 


Dogville è una storia prettamente banale inserita in un contesto bizzarro e suggestivo (almeno nei primi minuti). Trier non riesce nell'impresa di rendere affascinante il suo film. E' come una stola ricamata che garrisce nel vento senza attrattiva. Manda avanti pedissequamente i capitoli della storia senza carica emotiva, senza una tenace creatività che spinga lo spettatore a una seconda visione esaurita la prima. 


I personaggi che abitano la città volevano essere una caricatura degli americani? o burattini usati per muovere una particolare critica alla società perbenista, puritana e altamente patriottica dell'America? Esseri banali che parlano un copione studiato. Trier non conosce com'è fatto un americano e in più la patria a stelle e strisce, da quanto mi risulta, non l'ha mai visitata per via della paura di volare. Gli abitanti di Dogville sono sospettosi, diffidenti, razzisti, opportunisti, e anche stupratori, capaci di mettere alla catena una donna e a infrangere al suolo graziose statuine di porcellana (Bree Van De Kampf deve ancora riprendersi per questo atroce gesto). 


Trier poteva benissimo creare una parabola anti-americana, e fare un ottimo film, ma non fa altro che sfociare nel grottesco più bieco e vuoto di alcun significato artistico affascinante. Per non parlare di chi affida il ruolo del gangster: a James Caan, il celeberrimo Sonny Corleone de Il padrinoIn Dogville funziona la scenografia, suggestiva senza dubbio, che però a lungo andare stanca e rende ridicoli i movimenti degli attori, ma tutto il resto mi è indifferente.

Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia): 

 Titolo originale: Dogville
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: Danimarca, Svezia, Italia, Norvegia, Paesi Bassi, Finlandia, Germania, Stati Uniti d'America, Regno Unito, Giappone
Anno: 2003
Durata: 178 min (versione cinematografica italiana 138 min)
Generedrammatico
Regia: Lars Von Trier
Soggetto: Lars Von Trier
Sceneggiatura: Lars Von Trier
Produttore: Peter Aalbæk Jensen, Vibeke Windeløv, Zentropa
Fotografia: Anthony Dod Mantle
Montaggio: Molly Marlene Stensgård
Musiche: Antonio Vivaldi ("Cum dederit" da Nisi Dominus, RV 608)
Scenografia: Simone Grau

Interpreti e personaggi:
John Hurt: Narratore
Nicole Kidman: Grace Margaret Mulligan
Paul Bettany: Tom Edison, Jr.
Stellan Skarsgård: Chuck
James Caan: The Big Man
Philip Baker Hall: Tom Edison, Sr.
Lauren Bacall: Ma Ginger
Chloë Sevigny: Liz Henson
Shauna Shim: June
Patricia Clarkson: Vera
Jeremy Davies: Bill
Ben Gazzara: Jack McCay
Blair Brown: Mrs. Henson
Željko Ivanek: Ben
Harriet Andersson: Gloria
Siobhan Fallon Hogan: Martha
Cleo King: Olivia
Miles Purinton: Jason

Doppiatori italiani:
Giorgio Albertazzi: Narratore
Chiara Colizzi: Grace Margaret Mulligan
Massimiliano Manfredi: Tom Edison, Jr.
Nino Prester: Chuck
Adalberto Maria Merli: The Big Man
Bruno Alessandro: Tom Edison, Sr.
Vittorio Di Prima: Jack McCay
Stella Musy: Liz Henson
Rita Savagnone: Ma Ginger
Massimiliano Alto: Bill
Lorenza Biella: Mrs. Henson
Danilo De Girolamo: Ben
Paola Giannetti: Olivia 

Denny B.






  

venerdì 21 marzo 2014

Lo sguardo di Satana(asso) - Carrie

Lo sguardo di Satana - Carrie


★★

O Remake Remake, perché sei tu Remake? Se ti chiedessi di cancellarti dalla faccia turchese della terra, tu questo saresti ben disposto a renderlo realtà? così che i miei tre neuroni possano continuare a dormire il sonno tranquillo di Morfeo? così che il mio cuore non si spauri più al sentir il tuo sgradevole nome? Felicitati, questa volta, caro Remake, che non hai osato toccare aurei Dei del Monte Cinema a cui dono le mie cornee sull'altare della malattia, perché se fosse stato diversamente l'esercito composto dalle mie dita avrebbero battuto incessanti i tasti del macchinario odierno chiamato computer. 


Nel sobborgo di Chamberlain nello stato del Maine vive Margaret White (Julianne Moore), fanatica religiosa, e sua figlia Carrie (Chloe Grace Moretz), una dolce e semplice ragazza che viene sempre presa in giro a scuola dalle compagne, specialmente da Chris, la capobanda di turno. Un giorno, dopo la lezione di ginnastica, nelle docce Carrie ha per la prima volta le mestruazioni e spaventata chiede aiuto alle sue compagne che la deridono e la filmano col cellulare. E tra un problema adolescenziale e l'altro Carrie scopre di avere dei poteri telecinetici. 


"Mamma, mi sono messa in ghingheri perché esco con Denny B."
"Mettiti anche la cintura di castità, non si sa mai, scostumata."
Lo sguardo di Satana - Carrie non è un horror, tant'è che sono riuscito a guardarlo io che è quantomeno proverbiale il mio limite per i film di tale genere, ma è un teen drama soft horror diretto da Kimberly Peirce senza inventiva, senza uno straccio di ripresa interessante, il film è tutto uno spento e continuo campo-controcampo, da Carrie all'oggetto che sposta con i suoi poteri di cui viene a conoscenza all'improvviso, come le mestruazioni, e che coltiva tralasciando il suo corpo e le novità legato a esso, perché mi pare logico, no?



Chloe Grace Moretz è un attrice che ha tutto da guadagnare, ma non è adatta per interpretare Carrie, non è credibile che lei, classica ragazza sfigata ed emarginata, venga presa in giro dalle fighette quando è lei stessa una bellissima ragazza, non basta infagottarla in abiti smessi e severi e vietarle lo shampoo per imbruttirla o consigliandole di camminare con le spalle incassate, la sostanza resta la stessa: quando indossa quell'abito rosa lungo è un sogno, un ragazzo normale glielo avrebbe strappato a morsi (va beh, ragazzo normale; uno con gli ormoni sballati come il sottoscritto), invece lo sportivetto fidanzato con la cavalla bionda sembra quasi che faccia un sacrificio enorme a uscirci assieme - povero cucciolo!


"Devo proprio uscire con Carrie?"
"Sì, e mi raccomando: tieni l'uccello a posto."
Continuiamo con la non credibilità: l'episodio delle mestruazioni mi ha fatto ridere, non è possibile che al giorno d'oggi una ragazza non sappia cosa siano, manco se è figlia di una cattolicissima famiglia, e poi una madre così repressa e religiosa e autopunitrice era credibile negli anni '70 (in cui è ambientato l'omonimo romanzo dello scrittoraccio Stephen King), non nel 2014; poi di persone così ce ne sono, ne so qualcosa. Poi abbiamo Chris, la tipa figa (forse da ubriachi) e tosta, che ce l'ha a morte con Carrie perché a causa del video che lei stessa ha fatto e messo in rete le è stato proibito di partecipare al ballo studentesco... sarò tocco, ma non vi sembra un po' debole come motivo? Poi continua a chiamarla mostro, ma dove santo cielo è un mostro? Se almeno Chris sapesse o intuisse che lei ha dei poteri invece no, la chiama mettendo così in risalto gravi problemi di vista. 


"Credo di aver esagerato con il make-up."
Non basta l'exploit di sangue e morte verso la fine del film per renderlo dignitoso e classificabile nella categoria horror: Lo sguardo di Satana - Carrie fa parte di quella discarica in cui si riversano i remake totalmente inutili. 



Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):


Titolo originale: Carrie
Lingua originale: inglese
Paese di produzione: USA
Anno: 2013
Durata: 99 min
Genereorrore, drammatico
Regia: Kimberly Peirce
Soggetto: Stephen King
Sceneggiatura: Roberto Aguirre-Sacasa, Lawrence D. Cohen
Produttore: Kevin Misher
Produttore esecutivo: J. Miles Dale
Casa di produzione: Metro-Goldwyn-Mayer, Screen Gems
Distribuzione (Italia): Warner Bros. Pictures
Fotografia: Steve Yedlin
Montaggio: Lee Percy
Effetti speciali: John MacGillivray, Cameron Patterson, David Reaume, Steve Newburn, Rob Sanderson, Skyler Wilson
Musiche: Marco Beltrami
Scenografia: Carol Spier
Costumi: Luis Sequeira
Trucco: Jordan Samuel, Cliona Furey

Interpreti e personaggi:
Chloë Grace Moretz: Carrie White
Julianne Moore: Margaret White
Judy Greer: Miss Desjardin
Portia Doubleday: Chris
Gabriella Wilde: Sue Snell
Alex Russell: Billy Nolan
Michelle Nolden: Estelle Parsons
Max Topplin: Jackie Talbott
Cynthia Preston: The Beak
Zoë Belkin: Tina
Samantha Weinstein: Heather
Ansel Elgort: Tommy Ross
Skyler Wexler: giovane Carrie

Doppiatori italiani:
Veronica Puccio: Carrie White
Roberta Greganti: Margaret White
Tiziana Avarista: Miss Desjardin
Erica Necci: Chris
Giulia Tarquini: Sue Snell
Manuel Meli: Tommy Ross

Denny B.

mercoledì 19 marzo 2014

THIS IS MY BOOMSTICK AWARD 2014


Bando alla modestia e al finto menefreghismo: io amo in maniera viscerale i premi. L'anno scorso, dopo aver aver aperto da poco il blog, mi è stato assegnato il Boomstick Award tra urla di gioia e corse per casa. Quest'anno è di nuovo ora e ho scoperto in una piacevole domenica che la bravissima Valentina Orsini di Criticissimamente mi ha premiato con le seguenti parole: "Io che amo leggere e trovare tra le righe quel qualcosa "in più", non potrei non premiare il talento di Denny B."
Potete immaginare quanto sia stata meravigliosa la mia domenica. 
Prima di continuare devo e voglio citare l'ideatore di questo prestigiosissimo premio ovvero Mr. Hell del blog Book and Negative le cui parole prendo in prestito per spiegare il premio:

 Il Boomstick è un premio per soli vincenti, per di più orgogliosi di esserlo. Tutto qua.
Come si assegna il Boomstick? Non si assegna per meriti. I meriti non c’entrano, in queste storie. (cit.)
Si assegna per pretesti. O scuse, se preferite. In ciò essendo identico a tutti quei desolanti premi ufficiali che s’illudono di valere qualcosa.
Il Boomstick Award possiede, quindi, il valore che voi attribuite a esso. Nulla di più, nulla di meno.

Per conferirlo, è assolutamente necessario seguire queste semplici e inviolabili regole:

1: i premiati sono 7. Non uno di più, non uno di meno. Non sono previste menzioni d’onore
2: i post con cui viene presentato il premio non devono contenere giustificazioni di sorta da parte del premiante riservate agli esclusi a mo’ di consolazione
3: i premi vanno motivati. Non occorre una tesi di laurea. È sufficiente addurre un pretesto
4: è vietato riscrivere le regole. Dovete limitarvi a copiarle, così come Egli (e per Egli intendo Hell) le ha concepite.


Ecco i sette blog premiati:

Recensioni ribelli 

Perché Jean Jacques è Jean Jacques. Amico, collega, scrittore e chi ne ha più ne aggiunga con sommo gaudio. Non abbiamo nessun gusto in comune in fatto di attrici, ed è anche questo il bello. Le sue recensioni sono aperte puntualmente da aneddoti personali che non fanno altro che rendere più umano e "cazzone" un ragazzo che pur avendo molti gusti discutibili è onesto e intelligente.


Se dovessi dire il nome di una ragazza che ama il cinema, ama scriverne e che riesce nel difficile intento di comunicarlo ai lettori allora direi senza indugio Valentina Orsini. Oltre ad avere una delle voci più piacevoli da sentire in radio è dotata di capacità analitiche e sentimentali e, cosa più importante, non smette di credere nei propri sogni. E io le voglio bene.


L'ultimo cowboy sopravvissuto alle corse contro il tramonto. In più scrive di cinema e ha un figlio a cui trasmettere tutta la sua passione per la settima arte di cui discorre così bene. E poi la pazienza e soprattutto la voglia che ha di cercarsi le strofe delle canzoni che abbina ai film che recensisce la vogliamo lasciare senza premio?

Solaris

Mi piace leggere le recensioni di Kelvin. Né più né meno. Offre una piacevole boccata di professionalità senza mai essere pedante. Qualora andasse in porto il progetto che ho (che abbiamo) in mente io lo voglio in prima fila armato di tastiera.


LAMPUR è la piacevole blog-scoperta dell'anno. Divertente, spassoso, e con una buona favella che morde ma non avvelena, per nostra fortuna. 

Director's Cult

La Director è appassionata, ne sa una più del diavolo e nel suo blog ci sono così tante rubriche che a me servirebbe una segretaria per gestirle. E poi ora ha la sua sede a Londra, quindi è più vicina a farmi un favore: fare lo sgambetto alla Vecchia Suprema. 

NullaDiPreciso

Non lasciatevi ingannare dal titolo del blog. Margherita scrive precisamente di cinema e letteratura e lo fa con passione e soprattutto bene. Mi piacerebbe solo che scrivesse di più, ma capisco che non tutti fanno "un beneamato niente" come il sottoscritto e come dicono sempre gli altri; (però scrivere è il lavoro più duro del mondo, diceva il buon vecchio Snoopy).

Costoro possono a loro volta assegnare il premio ad altri 7 blogger, ma non arrogarsi la paternità del banner e del premio, quella è del papà sopra citato.
L’assegnazione del premio deve rispettare le 4 semplici regole sopra esposte. Qualora una di esse venisse disattesa, il Boomstick Award sarà annullato d’ufficio e, in sostituzione, verrà assegnato il:



Buon premio a tutti.

Denny B.

lunedì 17 marzo 2014

I segreti di Brokeback Mountain - Una storia d'amore

I segreti di Brokeback Mountain

★★★★
Fonte foto: www.cinemadelsilenzio.it
Wyoming. 1963. Jack Twist (Jake Gyllenhaal) e Ennis Del Mar (Heath Ledger) sono due giovani in cerca di un lavoro stagionale che vengono assunti da un allevatore per condurre un gregge di pecore nella località di Brokeback Mountain. L'isolamento e la convivenza forzata portano i due giovani a scoprire una forte attrazione fisica reciproca che sfocia in un rapporto sessuale. Finito il lavoro però si separano e non si vedono per ben quattro anni quando Jack - sposato e con un figlio - decide di farsi vivo mandando una cartolina a Ennis anch'esso sposato e con due figlie. Dopo essersi rincontrati decideranno di rivedersi un paio di volte l'anno a Brokeback Mountain. 


I segreti di Brokeback Mountain narra la storia di passione (e privazione) di due uomini che dopo il loro primo incontro proprio a Brokeback Mountain, al fine di sorvegliare un gregge di pecore, si rivedono dopo 4 anni entrambi sposati e con figli e decidono di rivedersi due o tre volte ogni anno sempre nello stesso luogo dove ha avuto inizio tutto. L'etichettare questa dolce e splendida pellicola come "una storia gay" è riduttivo e degradante. E' una storia d'amore inizialmente violento, un cieco salto nel vuoto della sessualità, che diviene una forza inarrestabile dopo il loro nuovo incontro nella famosa scena del bacio, una storia che si arresta pian piano sulla scia dell'abitudine, costellata qua e là di speranze e sogni davanti al fuoco o al fiume. Una storia d'amore, al massimo un melodramma, non un capolavoro, ma un film che non perde mai di vista i protagonisti, e soprattutto spoglio di retorica. Fosse capitato in mano a un altro regista meno capace forse non ne avrei parlato così bene perché avremmo avuto un attacco aperto alla società che fagocita nell'oscurità ignorante ciò che vi è di più misterioso e terribilmente forte e folle: l'amore. 



Jack è esuberante, ha un carattere vivace, è quello che in un frangente esplode all'improvviso in una gioia da rodeo - gare in un cui spera di sfondare -, è il sognatore che propone a Ennis di prendere un pezzo di terra e un po' di bestiame e vivere insieme; Jack è, come dice il padre, quello che ha tante idee per la testa, ma che non ne mette in pratica mai nessuna. Invece Ennis è un uomo di poche parole che tiene lo sguardo basso come se guardasse il mondo da uno spioncino o da una piccola fessura, come se non volesse rivelarsi. Ennis ha paura di qualcosa di cui veniamo a conoscenza dalla sua bocca: suo padre odiava gli omosessuali. Nella città dove abitavano c'erano due vecchi che stavano assieme. Un giorno sono stati trovati picchiati a morte. Uno dei due è stato trascinato per l'uccello fino a che non si è staccato. Ennis è sicuro che sia stato suo padre che ha portato lui e suo fratello a vedere uno dei cadaveri come monito. Non si libererà mai dal pensiero di questo tragico evento.


Dopo essersi finalmente rincontrati, ignari del fatto che Alma, la moglie di Ennis, li abbia visti baciarsi appassionatamente, continuano la loro vita, la loro costrizione, interrompendola quando possono per darsi appuntamento nel loro luogo - Brokeback Mountain - dove rivivono l'inizio di tutto, mangiando fagioli, preparando il fuoco, facendo un tuffo nel fiume, guardando le stelle e parlando e scherzando: Alma (Michelle Williams) è una buona moglie, una brava madre, ama suo marito sinceramente e quando scopre la sua vera natura le crolla addosso la sua stessa vita portandola a chiedere il divorzio; notevole la scena tagliata dal montaggio in cui Ennis prende da dietro la moglie e seguita dalla gara di rodeo di Jack. Invece Laureen (Anne Hathaway) è una donna d'affari, di famiglia benestante, non ha un gesto d'affetto verso il marito ed è protagonista di una delle scene più toccanti, quando Ennis la chiama per sapere se sia vera la notizia della morte di Jack. 



Sì, Jack muore: mentre stava controllando il copertone della gomma di un trattore un pezzo si è staccato e l'ha colpito in piano viso rompendogli la mascella e il naso ed è morto nel suo stesso sangue. Sappiamo tutti che questo racconto è assurdo, la prima che non ci crede è Laureen. Jack aveva confessato a Ennis che si recava periodicamente in Messico perché lì poteva avere quello che lui non poteva dargli tutte le volte che voleva. Mentre Ennis ascolta, il suo incubo ricompare, tragico e soffocante. Jack è morto perché omosessuale. Jack è l'unico che ammise di essere diverso, Ennis no, ha continuamente paura del ricordo di suo padre che infesta come un fantasma tutto il film di Ang Lee. 



La scena che precede il finale vede Ennis far visita ai genitori di Jack. In quella casa bianca e spoglia vi è un'atmosfera di cose dette e non dette. Ennis va nella camera intatta di Jack e prende come ricordo un giaccone blu e una camicia bianca mai lavata; la stessa a cui si rivolge nel finale, appesa nell'anta del suo armadio con una fotografia del loro luogo dove Jack avrebbe voluto che le sue ceneri fossero sparse. "Jack, io ti giuro" sono le sue ultime parole. Una frase a metà in un film concentrato su due uomini che si amano, nient'altro. Loro hanno avuto Brokeback Mountain. Molti altri nemmeno quello.


Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: Brokeback Mountain
Paese di produzione: USA
Anno: 2005
Durata: 134 min
Genereromantico, drammatico
Regia: Ang Lee
Soggetto: Annie Proulx (racconto)
Sceneggiatura: Larry McMurtry, Diana Ossana
Fotografia: Rodrigo Prieto
Montaggio: Geraldine Peroni, Dylan Tichenor
Effetti speciali: Maurice Routly
Musiche: Gustavo Santaolalla
Scenografia: Judy Becker

Interpreti e personaggi:
Heath Ledger: Ennis Del Mar
Jake Gyllenhaal: Jack Twist
Michelle Williams: Alma Beers Del Mar
Anne Hathaway: Laureen Twist
Randy Quaid: Joe Aguirre
Linda Cardellini: Cassie Cartwright
Anna Faris: LaShawn Malone
David Harbour: Randall Malone
Kate Mara: Alma Jr. a 19 anni

Doppiatori italiani:
Alessio Cigliano: Ennis Del Mar
Fabrizio Vidale: Jack Twist
Selvaggia Quattrini: Alma Beers Del Mar
Daniela Calò: Lureen Twist
Pasquale Anselmo: Joe Aguirre
Anna Cesareni: Cassie Cartwright
Sabrina Duranti: LaShawn Malone

Alessia Amendola: Alma Jr. a 19 anni

Denny B.