venerdì 29 gennaio 2016

Steve Jobs (2015)

★★★½

1984. Il visionario e scorbutico Steve Jobs (Michael Fassbender) e il capo del marketing Joanna Hoffman (Kate Winslet) stanno affrontando un serio problema pochi minuti prima del lancio del Macintosh 128K: la voce della demo del computer non dice "ciao". Come se già questo non fosse un disguido epocale il Time, invece di aver messo Jobs in copertina, gli ha dedicato un articolo in cui si parla della sua presunta paternità con l'ex fidanzata la quale amareggiata dalle parole dell'uomo gli chiede di sostenerla economicamente. Steve Jobs affronterà in seguito due importantissimi lanci: uno nel 1988 e uno nel 1998. Sempre poco prima di salire sul palco la vita familiare e il rapporto con gli amici chiederanno a Steve Jobs una resa dei conti. 

Il film diretto da Danny Boyle (Trainspotting, The Millionaire) e scritto da Aaron Sorkin  (Moneyball, The Social Network) è logorroico, ma le parole non sono mai vuote; vi sono termini tecnici, ma non è mai noioso; è avvincente, montato con intelligenza e interpretato da due attori splendidi. Steve Jobs è un biopic che non commette il peccato capitale dell'autocelebrazione. Era facile scadere nel ritratto senza macchie e senza paura, riproporre in chiave melodrammatica lo "Stay hungry, stay foolish" con un quartetto d'archi in sottofondo, invece il risultato si è rivelato essere uno dei migliori biopic mai realizzati nonché il migliore possibile dedicato a un uomo che volente o nolente ha influenzato il nostro mondo. 

L'incipit è fulminante. Da un computer che poco prima del lancio non dice "ciao" parte un fiume ininterrotto di dialoghi dove in pochissimi minuti i personaggi vengono scolpiti dalle loro stesse parole. Steve Jobs è un giovane uomo ambizioso, arrogante, intrattabile e vuole che tutto funzioni secondo le sue regole. Il suo capo del marketing, Joanna Hoffman, è il classico braccio destro che, con un'osservazione qui e una battuta di spirito là, non permette a Steve di esplodere come una supernova. Si viene a sapere, guardando Steve Jobs, che lui, di per sé, non ha creato nulla, l'ha "solo" immaginato. Non era un ingegnere, era più un designer. A un certo punto dice questa frase che riassume il suo lavoro: "I musicisti suonano gli strumenti. Il direttore suona l'orchestra"Probabilmente da solo non sapeva neanche cambiare una lampadina però è innegabile che i suoi prodotti, che hanno influito sulla nostra vita nel bene e nel male, siano esteticamente appetibili ed eleganti. 

Il film è totalmente ambientato in teatri chiusi e ampi, sempre pochi minuti prima di un lancio importante (Macintosh, NeXT e Imac), non presenta alcun spazio aperto eccetto verso la fine quando finalmente lo spettatore prende una boccata d'aria. La luce non è quella calda del sole, ma è quella artificiale dei fari e dei lampadari; sopra la testa v'è il nero di un soffitto, e non l'azzurro disteso del cielo. Guardare Steve Jobs è come essere tenuti in ostaggio all'interno della mente di un genio. Un genio "fatto male" che nel 1998, mentre tenta di ricordare le prestazioni tecniche del suo nuovo prodotto, la sua mente è bombardata dal ricordo di sua figlia che nel 1984, seduta di fronte a un Macintosh, disegnava un quadro astratto, facendogli presagire le grandi potenzialità del mezzo. 

La regia di Danny Boyle non si vede, è totalmente a servizio della sceneggiatura perfetta di Aaron Sorkin, con i suoi dialoghi vivaci e incalzanti (il dialogo con flashback tra Jobs e l'ex CEO John Sculley è come un incontro di boxe), e lo spettatore si ritrova immerso in un film di due ore continuamente parlato dove però neanche uno scampolo d'immagine può essere inserito nel paniere della memoria. Michael Fassbender, per nulla somigliante a Steve Jobs, incarna invece con grande convinzione e intelligenza la sua mente geniale mentre Kate Winslet è semplicemente deliziosa. 

Se Revenant - Redivivo è un film fatto principalmente di immagini, Steve Jobs è fatto di parole infatti rimarranno i dialoghi sopraffini, lo scambio di battute fulminee di quello che è forse il più grande sceneggiatore vivente, ma mi sarei aspettato un lavoro più acuto sulle immagini perché sono proprio loro a passare inosservate in una pellicola che avrebbe potuto essere, oltre che magnificamente scritta e ben confezionata, anche visivamente straordinaria. 

martedì 26 gennaio 2016

Scandal - Stagione 1 e 2

★★★½

Il nome di Shonda Rhimes mi fa venire in mente subito Grey's Anatomy di cui ho visto una puntata (grazie a mai più) quindi l'approccio a un'altra delle sue creature si è trascinato dietro un pesante strascico di pregiudizi misti a paura che è stato puntualmente tagliuzzato dai sette episodi della prima stagione di Scandal per poi essere ridotto in stracci durante la visione dei ventidue della seconda esplosiva stagione. 

Olivia Pope (una bravissima Kerry Washington) è un Mister Wolfe donna. Lei risolve problemi. Hai qualcuno che ti ricatta mettendo in pericolo la tua brillane carriera politica? Vai da Oliva Pope. Tua moglie ha scoperto che la tradisci con la segretaria e ora vuole ridurti in mutande? Vai da Olivia Pope. Hai un dente cariato? Vai da Olivia Pope. 

Creando una serie Tv OliviaPope-centrica (stile Dr. House) si rischiava di schiacciare i personaggi di contorno contro i bordi di un ingombrante protagonista principale invece il pericolo viene evitato grazie a un team di sceneggiatori davvero in gamba che si è premunito di donare a tutti i personaggi una psicologia ben definita la quale scaturisce mano a mano che i vari casi scandalosi vengono affrontati con entusiasmo ed eccitazione da loro stessi, "gladiatori in doppio-petto" pronti a gettarsi da una scogliera per il loro Massimo Decimo Meridio. 

Olivia Pope è una salvatrice e una distruttrice allo stesso tempo. Salvando ogni suo collaboratore da un destino senza luce li lega a lei per sempre e a lei sono fedeli più di qualsiasi marito o moglie fino a mettere in secondo piano una loro possibile felicità personale. Per Olivia non farebbero di tutto: loro fanno di tutto, è diverso. Un personaggio ambiguo sul cui volto si muovono espressioni determinate e sognatrici che quando non è occupata a risolvere problemi ha lo sguardo velato di nostalgia e solo una cosa desidera ardentemente: vivere un amore struggente e distruttivo. 

In Scandal succede di tutto e di più: da brogli elettorali, a congiure da far impallidire House of Cards, da attacchi al presidente a veri e propri Datagate (l'episodio 3 della seconda stagione è profetico), e tutti i personaggi corrono, indagano, spulciano appartamenti, stringono accordi, risolvono problemi, non si fermano perché se lo facessero verrebbero schiacciati dal peso della loro solitudine. 

Scandal è una crazy soap opera dal cui centro (la travagliatissima storia d'amore segreta tra il presidente degli Stati Uniti d'America Fitzwilliam Thomas Grant III e la sua ex collaboratrice Olivia Pope) si dipanano come raggi di una bicicletta scandali e intrighi di ogni genere tessuti con maestria e piglio gustoso. Aggiungeteci personaggi con la battuta sempre pronta (Cyrus è senza ombra di dubbio il mio personaggio prediletto), qualche lacrimuccia di commozione qua e là, colpi di scena continui (tolto il cliffhanger alla fine della seconda stagione che sembra un po' campato in aria), dialoghi e monologhi da lasciare senza fiato, episodi strazianti e pressoché infallibili come 7.52 (la 2x19) e vi sarete fatti un'idea di cosa sia Scandal.  Se non vi bastasse vi lascio qui di seguito due monologhi che testimoniano la qualità di scrittura della serie Tv in questione: 

Fitz (ai tempi della campagna elettorale durante un dibattito): "È la debolezza che ci fa umani. Chi non ha sofferto non conosce la pietà, non conosce l'umiltà, tutte caratteristiche che rendono grande un comandante in capo. Non puoi sentirti davvero protetto da qualcuno che non conosce ciò che ti fa paura. Io so di cosa lei ha paura. So di cosa ha paura suo figlio. Perché? Perché ho paura anche io".

Cyrus (capo della staff del presidente) rivolto a Olivia Pope: "Tu vuoi far cadere il governo solo perché ti senti in colpa? Lo sai o no come funzionano le nostre elezioni? È tutto magico. È come credere a Babbo Natale, la fata dentina o il coniglietto di Pasqua, è magico fino a quando la gente continua a crederci. Quello che vuoi fare tu è svelare alla gente che i pacchi infiocchettati della mattina di Natale sono il frutto del lavoro di mamma e papà che sono stati svegli per prepararli. Stai dicendo che Babbo Natale o il coniglietto di Pasqua o la fata dentina siamo noi. Stai togliendo la magia a tutto, stai rovinando la mattina di Natale. E così l'intera repubblica si sgretolerà perché tu non sei abbastanza forte da fare quello che deve essere fatto"

mercoledì 20 gennaio 2016

Shameless - Stagione 3

★★★½

Uscito dalla visione della seconda stagione di Shameless con un inaspettato carico di delusione sulle mie dolenti spalle la terza stagione poteva essere solo due cose: o la svolta (in positivo) di uno show partito nel migliore dei modi oppure la pericolosa curva presa troppo stretta con conseguente incidente, ambulanze e feriti vari. Ma grazie agli autori tornati in carreggiata già solo il primo episodio vale tutta la seconda stagione. E non è poco. 

L'amato (ma quando mai?) Frank Gallagher - un William H. Macy straordinario - facendo una telefonata anonima ai servizi sociali (dicendo appunto che nella casa dove abitano i Gallagher la situazione è fuori controllo) supera la barriera dello squallore arrivando a un livello così alto che d'ora in poi la frase "Ha compiuto un'azione alla Frank Gallagher" sarà sinonimo di indicibile immoralità. 

Se il mio modo di vedere Frank è rimasto lo stesso, non si può dire la medesima cosa per quanto riguarda Lip. Sono passato dal guardarlo ammirato (di nuovo) all'irritato nel giro di una sola puntata. Redarguisce Fiona quando si azzarda a usare i soldi necessari per la tassa di proprietà per promuovere una serata in discoteca manco li avesse investiti in crack come Monica e Frank, dà Mandy per scontata una volta tornata quella piaga ambulante di Karen non rendendosi conto di quanto lei tenga veramente a lui e al suo futuro (tanto che invia decine di domande ai college più prestigiosi a nome suo) e a un Ian sull'orlo della disperazione per via dell'imminente matrimonio di Mickey con una prostituta russa dà un consiglio di una tristezza infinita: esci e fatti un altro. Wow, che profondità. Già che c'era poteva uscirsene con la storia del "mare è pieno di pesci". 

In questa terza stagione, però, avviene uno strappo che rinvigorisce Shameless: la telefonata di Frank porta delle serie conseguenze infatti tutti i Gallagher vengono affidati chi a delle famiglie affidatarie chi a una casa famiglia. E' in queste puntate che la stagione prende il volo, ci si appassiona, si è spinti ad aiutare Fiona, "una sorella così in gamba", questo splendido personaggio interpretato da una Emmy Rossum grandiosa durante la scena dell'udienza per l'affidamento dei suoi fratelli dove non ha paura di sfoderare degli occhi che vi fagociterrano nella sua vita scalcagnata, sempre zeppa di problemi, tasse da pagare, spese da fare, dove l'amore però non manca mai in tavola. C'è una scena apparentemente innocua che potrebbe non comunicare nulla, ma è lì che vive, secondo il sottoscritto, lo spirito della famiglia Gallagher: Fiona va a trovare Debbie nella casa della sua famiglia affidataria e, dopo essersi premurata che stia bene e che abbia tutto il necessario, le regala dei cioccolatini ché sa che le piacciono un mondo. Debbie, sorridente, apre il pacchetto e ne dà subito uno a Fiona. Generosità, lealtà, riconoscenza: sullo stemma della Famiglia Gallagher dovrebbero esserci queste tre parole. Loro sì che sono nobili. 

Quindi, grazie a una premiere vivace e vigorosa, ad autori ispirati attenti alle piccole cose, ad attori in forma smagliante, e a episodi grandiosi come il quinto e il settimo, questa terza stagione di Shameless è finora la migliore di uno show la cui crescita si fa percepibile e intensa e che apre a una possibile quarta stagione ricca di novità dove il vento del cambiamento aprirà la porta a tante di quelle sorprese da rendere la vita una vera bomba. 

lunedì 18 gennaio 2016

Revenant - Redivivo (2015)

★★★½

North Dakota. 1823. Hugh Glass (Leonardo DiCaprio) è un abile cacciatore che, guidando un una compagnia capitanata dal Capitano Henry in cerca di pelli e pellicce, riesce a sventare un attacco degli indiani Ree portando in salvo una decina di uomini, nonostante le perdite ingenti, e suo figlio Hawk, avuto dalla moglie della tribù Pawnee. Sulla via del ritorno al campo base però Glass viene attaccato da un orso grizzly che lo lascia quasi in fin di vita dopo essere riuscito comunque ad abbatterlo. Avendo difficoltà a trasportarlo su per le pendici innevate il Capitano lo lascia nelle mani del figlio Hawk, del premuroso Bridger (Will Poulter) e del senza scrupoli Fitzgerald (Tom Hardy) dietro una ricompensa di trecento dollari. Sarà proprio quest'ultimo a compiere un omicidio che colorerà di vendetta il lungo cammino del redivivo Hugh Glass. 

Con ben dodici nomination agli Oscar 2016, Revenant - Redivivo è il film che si appresta a lasciare a mani vuote gli altri colleghi nominati, ed è soprattutto il film con cui il grande Leonardo DiCaprio, uno degli attori più poliedrici e capaci al mondo, può davvero sperare di saggiare tra le sue mani la consistenza del tanto agognato premio Oscar. Già fortemente criticato dai puristi della sceneggiatura e dai detrattori del cinema di Alejandro G. Iñárritu (Amores Perros, Babel e Birdman sono pellicole stupende), che appena a distanza di un anno dal suo primo Oscar ha serie possibilità di vincerne un secondo (tutti preghiamo perché lo vinca quel pazzo di George Miller), il suo ultimo film, un vero e proprio pezzo di arte visiva, ci fa ringraziare dal profondo buio della sala di essere soltanto degli spettatori che torneranno presto alle comodità di una casa dolce casa. 

Il premio Oscar Alejandro G. Iñárritu si lancia in un western crudo e sanguigno, velato di visioni oniriche, fotografato splendidamente da Emmanuel Lubezki, uno dei giganti della fotografia cinematografica, che lascia gli occhi estasiati e senza parole, e con un Leonardo DiCaprio che messosi a dura prova (condizioni lavorative al di sotto dei quaranta gradi, sveglia alle tre di notte per quattro/cinque ore di trucco, bronchite, oltre all'assaggio di un fegato di bisonte vero e proprio e al dormire all'interno della carcassa di un cavallo) offre una performance estrema e intensa, ai limiti della sopravvivenza, ma che, paradossalmente, non è una delle più grandi interpretazioni della sua carriera. Si sa che è il destino di molti attori vincere il premio Oscar per l'interpretazione meno incisiva come ad esempio John Wayne, Denzel Washington e Russell Crowe: che quest'anno Leonardo DiCaprio sia destinato a unirsi a loro?

Revenant - Redivivo è cinema possente, ultra realistico, dove l'epicità scaturisce dallo sporco sul viso e sotto le unghie delle dita, dall'acqua gelida che si colora del sangue dei caduti, dalle carcasse degli animali morti e dalla neve che scende addosso come un pesante sudario. Basterebbero solo i primi impressionati venti minuti, in cui un gruppo di indiani attacca la compagnia di cui fa parte Hugh Glass, per far comprendere quanto sia cresciuta la consapevolezza del mezzo cinematografico da parte di un regista che muove la cinepresa con sicurezza e piglio entusiastico. 

In un frangente del film è possibile assistere a una sorta di cometa che cadendo squarcia il cielo come se un eroe fosse caduto apposta per dare la forza necessaria a Hugh Glass per continuare il suo viaggio attraverso il freddo della vita privata di un figlio. Un percorso di vendetta atipico perché la vendetta non è nella mani di un cacciatore sopravvissuto all'attacco di un orso impegnato a proteggere i suoi cuccioli (proprio come Glass con Hawk), ma è tra la placida corrente di fiume che porta verso la destinazione del lungo e arduo viaggio di un redivivo: il nulla.

venerdì 15 gennaio 2016

La grande scommessa (2015)

★★★½

Nel 2005 il bizzarro manager di un fondo Michael Burry (Christian Bale) intuisce che il mercato immobiliare americano si regge su fondamenta fragili come stuzzicadenti e prevedendone il crollo nel secondo trimestre del 2007 comincia a scommettere contro il mercato immobiliare creando un mercato di credit default swap. L'investitore Jared Vennet (Ryan Gosling) viene a sapere della mossa di Burry e più che azzardata comprende che è una mossa spinta da motivazioni più che vere. Una telefonata sbagliata avverte l'iracondo capo di un fondo Mark Baum (Steve Carell) che decide di unirsi a Vennet in questa grande scommessa. Saranno loro a vincere oppure il banco, o meglio, le banche? 

Ammettiamolo con candore prima di continuare: di finanza ed economia non ci capisco una beneamata foglia di fico. Ciò vi potrà far immaginare la mia espressione durante la visione de La grande scommessa di Adam McKay: strabuzzamento di occhi, smorfie cariche di boh, grattatine in testa, sguardo perso in un oceano di mutui subprime, CDO, credit default swap, agenzie di rating, tripa AAA, e sbadigli intervenuti a inframmezzare i sorrisi amari che nascono mano a mano che la profezia di Michael Burry si avvera. 

Adam McKay (il regista di Anchorman) non è Martin Scorsese e il suo La grande scommessa non è il bellissimo The Wolf of Wall Street e si vede. Il suo entrare nel mondo della finanza non è lupesco e dirompente e non ha dalla sua Leonardo DiCaprio che ammicca alla telecamera facendoci sentire suoi complici, ma per sua e nostra fortuna può contare su un bel quadretto di attori che oltre a non deludere, grazie allo sguardo per nulla accusatorio della macchina da presa, finiscono per essere né degli eroi né degli antieroi bensì degli approfittatori travolti dall'inconsolabile (e disastrosa) realtà dei fatti. 

Christian Bale è come se fosse all'interno di una bolla e non sentisse i rumori attorno a lui; Ryan Gosling è un elegante figlio di buona donna nonché narratore (e per nulla eroe) della storia; smessi i panni dell'avvoltoio in FoxcatcherSteve Carell continua a dimostrare il suo grande talento come attore drammatico film dopo film; e Brad Pitt si ritaglia una piccola particina dimostrandosi umile. 

Il regista procede a passo di giaguaro aiutandosi con un montaggio efficiente che mostra come il mondo intero, mentre era occupato a vedere Britney Spears in televisione, fare la fila per l'Iphone, passeggiare per le strade di New York, stava subendo inesorabilmente il crollo della sua economia, affidando le spiegazioni dei termini economici più ostici (geniale) a personaggi del calibro di Margot Robbie, lo chef Anthony Burdain e Selena Gomez (la prima è immersa in una vasca piena di schiuma se ciò dovesse ispirarvi in qualche modo) evitando di far sentire lo spettatore ignorante in materia un completo imbecille.  

Negli ultimi venti minuti, però, dopo un tono canzonatorio da commedia ibrida, si possono captare delle reminiscenze milleriane (Benneth, il regista di Truman CapoteA sangue freddo, Moneyball e Foxcatcher) soprattutto in quello schermo nero illuminato da bianche frasi che come frecce estratte dalla faretra della realtà centrano la nostra sensibilità. C'è un uomo che su un terrazzo sta decidendo se prendere i soldi posati sopra il tavolo macchiato del sangue dei risparmiatori oppure mischiarsi ai cadaveri ed essere uno di loro. Alla fine la sua scelta la compie e continua a rifiutarsi di dire al mondo "ve l'avevo detto"

mercoledì 13 gennaio 2016

Shameless - Stagione 2

★★½


E' bastato che mi voltassi un attimo verso un'altra delle tante serie Tv da recuperare (sono entrato nel tunnel e non ne uscirò così facilmente) perché i Gallagher si dimenticassero di me e mi deludessero. E' estate e i Gallagher si arrabattano come muli per raccogliere soldi per l'inverno, ma non sembrano essere gli stessi che avevo lasciato con la prima sorprendente stagione. 

Se Sheila io non riesco a odiarla (è così stralunata e spesso così ingenua da risultare adorabile) Lip, che è stato il mio Gallagher preferito nella prima stagione (escludendo Fiona), mi ha irritato quasi per tutto il tempo. Mai avrei detto che mi avrebbe deluso così presto. Ho trovato il suo comportamento da perfetto egoista. Non verso gli altri, ma prima di tutto verso se stesso. Si preclude di vivere un futuro migliore per cosa? Per Karen? La ragazza più becera che si possa mai trovare la quale vorrebbe "svaginare" un figlio all'anno per soldi? Con la testa che ha, Lip, deve portare a termine gli studi. Punto e basta. 

La vivacità della prima stagione ha fatto posto a un tastare generale da parte degli sceneggiatori i quali, oltre a reinserire all'interno della storia due personaggi che sembravano essersi allontanati definitivamente dalla casa dei Gallagher, hanno deciso di mettere a dura prova lo spettatore con scene e momenti difficili da digerire come il momento in cui Monica trova il barattolo dei risparmi per l'inverno e li spende in ciarabattole o l'esecrabile episodio che vede Frank "corteggiare" una povera donna malata in attesa di un trapianto di cuore arrivando, dopo averle chiesto di sposarlo per poter intascarne la pensione, a rispondere alla chiamata dell'ospedale ("E' disponibile un cuore per lei") in una maniera esecrabile - "Non serve più, è già morta". Cosa potrebbe mai fare di peggio, Frank? Vendere un figlio? Dare fuoco alla casa facendo ricadere la colpa su Fiona? Non c'è limite allo squallore di Frank Gallagher. Mentre si guarda Shameless bisognerebbe tenersi accanto un sacco da pugile. 

Insomma, la seconda stagione di Shameless rappresenta uno spiacevole passo indietro rispetto alla prima. L'estate non giova ai Gallagher. Il caldo li rincitrullisce, fa tornare personaggi indesiderati (Monica e Steve/Jimmy), arrivare personaggi forti che durano quanto uno starnuto (Peggy "Walter White" Gallagher) e fa prendere decisioni egoiste a un Lip più aggressivo del solito e annebbiato dal pensiero di quell'acefala di Karen (odiosa quanto Daenerys nata dalla sbobba) mentre Fiona resta l'unica donna con la testa sulle spalle, il perno attorno a cui gira tutto. Shameless ritornerà in carreggiata? Perché io, nel caso, il carro-attrezzi non lo chiamo. 

lunedì 11 gennaio 2016

Irrational Man (2015)

½

Abe Lucas (Joaquin Phoenix) è un rinomato professore che si trasferisce nel Rhode Island per presiedere la cattedra di filosofia nel college Brailyn. Pessimista, disilluso, incapace di apprezzare la vita, Abe fa la conoscenza di Rita (Parker Posey), una sua collega disinibita, e di Jill (Emma Stone), una sua brillante studentessa. Un giorno, durante un pranzo in una tavola calda, ascolta la conversazione di una madre arrabbiata nei confronti di un giudice corrotto che le toglierà l'affidamento dei figli, e in quel frangente Abe deciderà di dare finalmente un senso alla sua intera esistenza compiendo un'azione che Kant avrebbe condannato senza remore. 

Woody Allen non è infallibile. Dal 2000 al 2015 sono forse quattro i suoi film degni di nota: Match Point (uno dei migliori in assoluto), Basta che funzioni (commedia esilarante), Midnight in Paris (la delicatezza degli sfondi parigini si fonde con una sceneggiatura originale e sognante) e Blue Jasmine (completamente retto da una straordinaria Cate Blanchett giustamente premiata con l'Oscar). Quest'uomo brillante ci regala un film ogni anno (cosa? qualcuno ha detto To Rome With Love? perché è un film?) e lascio decidere a voi se sia un dono più che gradito o se sia meglio che lavori anche un anno in più per confezionare però una pellicola che non si dimentichi appena ci si alza dalla poltrona del cinema. Irrational Man, ahimè, si dimentica subito. 

La fissazione di Woody Allen per il delitto perfetto e il caso che governa le nostre vite, che lo ha ispirato a tal punto da uscirsene con due film straordinari quali Crimini e misfatti e Match Point, in questo caso gli ha fatto partorire un aborto perché Irrational Man è una delusione lenta e implacabile dove gli elementi positivi (fotografia, attori gradevoli e regia naturalissima) non risollevano di un centimetro il morale dello spettatore sceso fino a terra durante la visione. 

La colonna sonora, composta da un unico "jingle" fatto al pianoforte, che entra in scena anche quando il suo intervento risulta del tutto fuori luogo, snatura le sequenze andandole a privare di tutto il loro possibile carico drammatico ed emotivo. I personaggi risultano presto insipidi se non irritanti (Jill), la trama sa di già visto, il finale è pessimo e ci si chiede cosa abbia voluto fare realmente Woody Allen con Irrational Man. Forse ha pensato bene di descrivere l'altra faccia della medaglia, quella che vede il caso volgere a sfavore del protagonista di turno, ma pensare bene, purtroppo, non sempre vuol dire di conseguenza fare bene. 

venerdì 8 gennaio 2016

Veep - Stagione 1

★★★

Di serie Tv che si muovono sulla dorata vetta della potere politico americano ce ne sono (vedasi l'acclamata House of Cards o l'intrigante Scandal), ma a nessuno è venuto in mente di prendere una Vicepresidente pasticciona e farne una serie Tv tutta da ridere (intelligentemente) prima dell'arrivo di Armando Iannunci all'HBO, storico canale via cavo rinomato per la qualità dei suoi prodotti (The Wire, I Soprano, True Detective, The Leftovers, Boardwalk Empire), il quale dal 2012 è l'ideatore, produttore e sceneggiatore di Veep, acclamata comedy che nel 2015, con la messa in onda della quarta stagione, ha vinto tre Emmy Awards. Tutti elementi che mi hanno portato a recuperare questa curiosa creatura. 

Questa prima stagione è stata una piacevole sorpresa seppur sia ancora da rodare nonostante la scrittura sia brillante, le battute fulminee e il cast azzeccatissimo che nella seconda stagione risulterà ancora più amalgamato. Su tutti spicca la VP, interpretata dalla bravissima Julia Louis-Dreyfus, attorniata dai suoi fidi collaboratori: Gary (un esilarante Tony Hale), il portaborse, l'unico in grado di capire e soddisfare i bisogni della Vicepresidente; Mike (Matt Walsh), responsabile della comunicazione, un pezzo d'antiquariato che ha ancora qualche asso nella manica; Amy (Anna Chlumsky), il determinato capo dello staff e Dan (Reid Scott), il nuovo acquisto della squadra, senza contare il prezzemolino Jonah (Timothy Simons) della Zona Ovest il quale fa da ponte di collegamento tra la VP e il presidente (non viene mai mostrato in volto, un po' come il presidente di Camera Cafè). 

In Veep le situazioni tipicamente comedy non sono mai fini a se stesse, come potrebbero sembrare. Certo, le gag e le continue figure barbine di Selina Meyer non mancano mai, ma la presenza di un filo conduttore è sempre più palpabile con lo scorrere delle puntate così come si può sentire, se si usa il naso in maniera adeguata, il sorprendente (e speranzoso) profumo delle sue enormi potenzialità. 

Insomma, questa prima stagione è ancora da rodare seppur la scrittura sia brillante,  le battute fulminee, le situazioni politicamente ingarbugliate e il cast azzeccatissimo che nella seconda stagione risulterà ancora più amalgamato. La VP sarà in grado di conquistare la mia anima sempre più famelica di serie Tv? 

martedì 5 gennaio 2016

Shameless - Stagione 1

★★★½

La famiglia Gallagher è composta da sei figli - Fiona, Lip, Ian, Carl, Debbie e Liam - più Frank (William H. Macy), il padre o più propriamente il perfetto esemplare di ubriacone seriale, e (soprav)vivono in un sobborgo americano dove la legge del più furbo surclassa quella del più forte. E i Gallagher, di furbizia, potrebbero venderne ricavandoci di che vivere dignitosamente per almeno un anno. 

Su Fiona Gallagher (una bravissima Emmy Rossum) pesano le responsabilità di tutti gli altri cinque Gallagher tanto che ci si chiede come faccia con il suo fisico gracile a sorreggerle senza esserne schiacciata. Nei suoi occhi grandi e scuri si può intravedere un'infanzia strappata, una bambina cresciuta prima del tempo, occhi che sognano una vita migliore nel peggiore dei luoghi americani possibili. 

Lip (Jeremy Allen White) è un genio e mette a servizio la sua intelligenza (dietro pagamento s'intende) per chiunque abbia bisogno di passare un test d'ammissione o di prendere un voto alto in una verifica specifica; Ian (Cameron Monaghan), forte e determinato, frequenta una scuola militare, lavora in un negozio di alimentari, e nasconde un segreto che suo fratello Lip scoprirà con conseguenze commoventi; se Carl (Ethan Cutkosky) è un piccolo Shiva Distruttore Debbie (Emma Kenney), pur restando una bambina, è spesso ragionevole e giudiziosa seppur si affezioni con troppa facilità alle persone, infine Liam è ancora troppo piccolo per poter contribuire alle spese della famiglia (e per finire nei guai). I Gallagher inoltre possono contare sull'amicizia dei vicini di casa Kevin (Steve Howey) e Veronica (Shanola Hampton): barista lui e infermiera/cam-girl lei. 

Shameless è briosa, piena di vita, con le sue amarezze, i ricordi dolorosi, le bollette da pagare, le scadenze da rispettare, costellata di sesso, nudità, passione, il tutto messo in mostra senza vergogna, senza dimenticare le piccole gioie come stare seduti sul divano tutti insieme a guardare un programma in Tv.  Tra le cose più belle di questa prima stagione c'è sicuramente il rapporto fraterno tra Lip e Ian; la sceneggiatura frizzante; e l'interpretazione di William H. Macy (Frank è un personaggio irritante e allo stesso tempo ammirevole soprattutto nel come si stabilizza in casa di un'agorafobica per avere vitto e alloggio gratis e nel come le prova tutte per non lavorare) e di Emmy Rossum (nel finale di stagione ho sperato solo per un secondo che Fiona si lasciasse tutto alle spalle e ricominciasse una nuova vita, ma non sarebbe stata lei, perché Fiona non si scrolla di dosso le responsabilità come la neve caduta sulla giacca, resta a presidiare la fortezza dei Gallagher per far crescere le sue comete).

Shameless è una di quelle serie Tv potenzialmente maledette che puntata dopo puntata mette lo spettatore in condizione di affezionarsi ai personaggi sperando che riescano a raggiungere un roseo orizzonte non prima di essersi sbizzarriti nelle polverose strade d'America dove ogni occasione è buona per fare un po' di soldi extra.