lunedì 29 settembre 2014

MENIAMO LE MANI 2: FUGA DA LOS ANGELES

Fuga da Los Angeles

★★★½

2013. La città di Los Angeles è divenuta dopo il distacco della California dal resto dell'America a causa di un terremoto, una prigione per ogni tipo di individuo condannato per aver infranto le leggi morali degli Stati Uniti d'America volute dallo stesso Presidente (Cliff Robertson) incaricato a vita. La figlia Utopia, dopo aver dirottato un aereo e rubato un importante telecomando in grado di riposizionare i satelliti orbitanti attorno alla Terra, si è unita al leader di Los Angeles Cuervo Jones (Georges Corraface). Il governo decide quindi di affidare la missione di recupero a Jena Plissken (Kurt Russell) costretto ad accettare quando gli viene comunicato di avere in corpo un potente virus, e che sarà curato solo al termine della missione. 



I sequel. Croce del cinema mondiale a cui da gli ultimi anni se n'è unita una ancora più dolorosa: i remake; che considero l'ottava piaga d'Egitto, la morte del cinema. Rifare un film dimostra soltanto una mancanza di idee arida e sopra ogni altra cosa la mancanza di voler far cinema da parte delle maggiori case di produzioni che spesso chiamano a sé registi di talento per affidare loro progetti totalmente diversi dal genere in cui operano di solito (vedasi Peter Jackson, Sam Raimi e Christopher Nolan che dall'horror e film autoriali sono finiti a dirigere sci-fi e cinecomic incassando in tutto il mondo miliardi di dollari). C'è un regista che nel 1996 fece una cosa forse unica nel panorama cinematografico mondiale: un sequel-remake. Quell'uomo è John Carpenter. Quel film è Fuga da Los Angeles. E l'occasione giusta per parlarne è il Meniamo le mani 2, la celebrazione più tamarra indetta dalla congregazione di blogger cinematografici più competenti della blogosfera. 



L'antieroe per eccellenza Jena Plissken è tornato. Il governo degli Stati Uniti ha una nuova missione da affidargli, dopo il successo riportato a New York, ovvero recuperare un prezioso telecomando rubato dalla figlia del presidente stesso, ora compagna del leader di Los Angeles, ucciderla, e fuggire. Ha solo dieci ore di tempo poi un potente virus gli bloccherà le attività neuronali. Questa storia l'ho già sentita, in effetti. 



Los Angeles è divenuta un'isola carceraria da quando si è staccata dal resto del continente a causa di un forte terremoto. Al suo interno vengono deportati tutti i nemici morali dell'America: atei, prostitute, ladri, assassini e chi ne ha più ne deporti. Los Angeles non è New York, ovviamente, e questo vuol dire che il buio perenne che soffocava le macerie della Grande Mela è sostituito da un buio illuminato dai lampioni che costeggiano le strade e da una timida alba che fa capolino all'orizzonte. 



Jena non incontra carcerati cupi e sporchi che escono dai tombini come i zombie di Romero, ma prostitute piacenti, uomini con abiti sgargianti, e gli inquietanti fanatici della chirurgia estetica che rapiscono mal capitati al fine di estirpar loro le parti più valide come occhi, pelle, seno, orecchie, labbra e farsi dei trapianti sotto lo sguardo clinico del primario che pare uscito da un set di bambole barbie. In Fuga da Los Angeles Carpenter ha l'occasione di criticare il mondo hollywoodiano re dell'apparenza, del bello artefatto e inserisce elementi tipici della Città degli Angeli come i surfisti, la cadillac rossa fiammante che stona volutamente con l'ambiente in rovina, gli abiti anni '20 dell'opportunista Eddie (l'ottimo Steve Buscemi), il basket (che sostituisce la prova del ring in Fuga da New York), e poi, secondo me un colpo di genio, la frase che spesso ripetono a Jena è "Ti facevo più alto" che è la classica esclamazione che il pubblico dice a un vip incontrato di persona. 



Fuga da Los Angeles risulta più compatto, muscolare, godibile e molto più coinvolgente del suo predecessore. E poi ha un finale epico dalle conseguenze estreme. Jena non si limita a rovinare il meeting del Presidente (un Cliff Robertson che incarna il perfetto presidente fastidiosamente patriota), ma tenendosi per sé il telecomando vero preme il pulsante decidendo quindi di spegnere l'intero pianeta. Non l'America, non il Terzo Mondo, ma il pianeta Terra. L'anarchico Jena Plissken però non si potrà di certo spegnere premendo un pulsante o soffiandoci sopra come fosse la fiamma di un fiammifero. "Benvenuti nel regno della razza umana". Oh, yeah!



Ecco gli altri blog, oltre al mio, che partecipano al Meniamo le mani 2:

White Russian Cinema
Il Bollalmanacco di Cinema
Cinquecentofilminsieme
Non c'è Paragone
Recensioni Ribelli
Ho voglia di Cinema
Solaris
La fabbrica dei sogni

Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: Escape from L.A.
Paese di produzione: USA
Anno: 1996
Durata: 101 min
Generefantascienza, azione
Regia: John Carpenter
Soggetto: John Carpenter, Kurt Russell, Debra Hill, Nick Castle
Sceneggiatura: John Carpenter, Debra Hill
Produttore: Kurt Russell, Debra Hill
Fotografia: Gary B. Kibbe
Montaggio: Edward A. Warschilka
Effetti speciali: Dale Ettema, Bryan Sides, Mark Yuricich, Roy Goode
Musiche: John Carpenter, Shirley Walker
Scenografia: Lawrence G. Paull
Costumi: Robin Michel Bush
Trucco: Rick Baker

Interpreti e personaggi:
Kurt Russell: Jena Plissken
A.J. Langer: Utopia
Steve Buscemi: mappa delle stelle Eddie
Georges Corraface: Cuervo Jones
Stacy Keach: comandante Malloy
Michelle Forbes: Brazen
Pam Grier: Hershe Las Palmas
Jeff Imada: Saigon Shadow
Cliff Robertson: presidente
Valeria Golino: Taslima
Peter Fonda: Pipeline
Peter Jason: sergente in comando
Jordan Baker: capitano poliziotto

Doppiatori italiani:
Massimo Venturiello: Kurt Russell
Luca Dal Fabbro: Steve Buscemi
Pasquale Anselmo: George Corraface
Michele Kalamera: Cliff Robertson
Pietro Biondi: Malloy
Cinzia De Carolis: Brazen
Andrea Ward: chirurgo

Denny B.

venerdì 26 settembre 2014

Tartarughe Ninja

Tartarughe Ninja


Il clan del piede, guidato dal malvagio Shredder, terrorizza New York City. April O'Neil (Megan Fox) è una giornalista del Channel 6 che cerca insieme al suo cameraman Vernon (Will Arnett) delle prove riguardanti il clan, fallendo miseramente. Ma una notte April, indagando al porto, s'imbatte in un misterioso giustiziere della notte che uccide alcuni membri del clan del piede venuti lì per trasportale del materiale tossico. Durante un sequestro di persone nella metropolitana di New York ordinato da Shredder April filma i quattro giustizieri che salvano tutti gli ostaggi in men che non si dica e scopre che altro non sono che quattro tartarughe ninja mutanti adolescenti che si chiamano come i più grandi artisti del Rinascimento: Leonardo, Raffaello, Michelangelo e Donatello. Ad April pare di averle già viste in passato. 



Tartarughe Ninja è il remake del film Tartarughe Ninja alla riscossa del 1990 e l'intenzione del produttore (Michael Bay) era quella di attuare un'operazione nostalgia che unisse in un unico abbraccio lacrimoso i fan delle tartarughe e farle scoprire alle nuove generazioni? oppure le motivazioni sono da ricercare nelle pieghe avide del suo portafoglio? Più la seconda, certo. Aggiungiamoci la sua incredibile incapacità di produrre pellicole degne di questo nome e di affidarne la regia a qualcuno che non sappia come funziona una cinepresa e il risultato è un operazione fognaria il cui getto maleodorante ci è finito dritto dritto negli occhi facendoci desiderare mai come in questo caso una doccia lunga un ventennio. 



Megan Fox, orfana di Transformers, ha trovato una nuova dimora e ruolo (?) in questa baracconata targata Bay, che l'aveva scaricata forse per motivi legati alla sua insolita frigidità di fronte allo sguardo da lumacone di Michaelino e la rivediamo quindi in tutta la sua inespressività a correre dietro i misteri/crimini della città armata di iphone sperando in uno scoop e a tentare di spiegare quasi senza fiato al suo capo, una Whoopi Goldberg disordinata - che i giustizieri che combattono contro il clan del piede (banda criminale di New York) sono delle tartarughe mutanti adolescenti ninja che fanno pure karate. E il suo capo la sbatte fuori, decisione che avrei preso pure io se avessi avuto potere decisionale durante la produzione del film.



Ogni film di giustizieri ha un villain, giusto? In Tartarughe Ninja ne abbiamo due: uno peggio dell'altro. Il primo è il villain operativo, quello che si sporca le mani: Shredder, il capo del clan del piede, è una specie di Optimus Prime scintillante in scala ridotta che estrae i lunghi e affilati artigli manco fosse Wolverine. E' un potente maestro giapponese di ninjutsu, ci si aspetterebbe un minimo di senso profondo tipicamente orientale per la lotta, invece il suo scontro con Splinter, il topo sensei maestro e padre delle tartarughe, è una bagarre di calci/pugni sterile e registicamente confusa e piena di rallenty di snyderiana memoria come d'altronde lo sono tutte le scene d'azione. Potevamo mai aspettarci qualcosa di buono da Jonathan Liebesman, regista di pellicole quali Non aprite quella porta: l'inizio, World Invasion e La furia dei TitaniEra come pretendere un'accelerazione da 0 a 100 da un bradipo anestetizzato.



Il secondo villain è Eric Sacks che neanche a dirlo ha il volto di William Fichtner, che ha sempre interpretato ruoli da cattivo, quindi il colpo di scenetta va a farsi benedire appena compare sullo schermo. Il suo piano è quello di estrapolare il mutageno dal corpo delle tartarughe, rilasciare sulla città di New York una tossina quasi letale tramite la torre in cima alla sua azienda e quando la città verrà nominata zona di quarantena entrare in gioco proponendo l'antidoto dietro un compenso astronomico e attuare il piano anche in tutte le altre maggiori città del paese. Gli sceneggiatori mentre pensavano alle battute stavano sicuramente giocando a burraco o più probabilmente spiando Megan Fox per mezzo di un foro praticato nel muro del suo camerino. Questo film è la dimostrazione della loro tremenda scarsità di concentrazione, voglia e impegno. Un blockbuster oltre che intrattenere deve essere provvisto di dignità, carattere, e idee stuzzicanti e ben esposte. Tartarughe Ninja è soltanto una tamarrata diretta in maniera incompetente e assolutamente evitabile. 



C'è una scena che descrive chiaramente tale incompetenza e una mancanza di dignità di fondo: la scorreggia di Michelangelo quando è bloccato con i suoi fratelli nell'imboccatura del tunnel. Un'uscita da cinepanettone. Non voglio aggiungere altro su Tartarughe Ninja che si prenota prepotentemente uno dei primi posti nella lista dei peggiori film dell'anno.



Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):


Titolo originale: Teenage Mutant Ninja Turtles
Lingua originale: inglese
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 2014
Durata: 101 min
Genereazione, avventura, fantascienza, fantastico, commedia
Regia: Jonathan Liebesman
Soggetto: dai fumetti di Kevin Eastman e Peter Laird
Sceneggiatura: Josh Appelbaum, André Nemec, Evan Daugherty
Produttore: Michael Bay, Ian Bryce, Andrew Form, Bradley Fuller, Scott Mednick, Galen Walker
Produttore esecutivo: Eric J. Crown, Jason T. Reed, Napoleon Smith III, Denis L. Stewart
Casa di produzione: Paramount Pictures, Platinum Dunes, Gama Entertainment Partners, Nickelodeon Movies, Mednick Productions, Heavy Metal Magazine
Distribuzione (Italia) : Universal Pictures
Fotografia: Lula Carvalho
Montaggio: Joel Negron, Glen Scantlebury
Effetti speciali: Aleksandr Lokensgard, Frazer Newton, John A. Canavan
Musiche: Brian Tyler
Scenografia: Neil Spisak
Costumi: Sarah Edwards
Trucco: Christine Domaniecki, Ashley Ryan

Interpreti e personaggi:
Pete Ploszek: Leonardo
Noel Fisher: Michelangelo
Jeremy Howard: Donatello
Alan Ritchson: Raffaello
Megan Fox: April O'Neil
Danny Woodburn: Splinter
William Fichtner: Eric Sacks
Minae Noji: Karai
Will Arnett: Vernon Fenwick
Whoopi Goldberg: Bernadette Thompson
Abby Elliott: Taylor
Malina Weissman: April O'Neil da giovane
Kevin Eastman: Dottore
K. Todd Freeman: Dott. Baxter Stockman
Taran Killam: McNaughton
Tohoru Masamune: Shredder

Doppiatori originali: 
Johnny Knoxville: Leonardo[1]
Tony Shalhoub: Splinter[1]

Doppiatori italiani:
Daniele Valenti: Leonardo
Alessandro Ward: Michelangelo
Lorenzo De Angelis: Donatello
Stefano Starna: Raffaello
Alessia Amendola: April O'Neil
Massimo Lopez: Splinter
Luca Ward: Eric Sacks
Christian Iansante: Vernon Fenwick
Rita Savagnone: Bernadette Thompson

Denny B.

mercoledì 24 settembre 2014

Jersey Boys: quattro ragazzi sotto un lampione

Jersey Boys

★★★½

Jersey Boys è l'ultimo film di Clint Eastwood che sono riuscito a recuperare con somma gioia perché pochi sono a conoscenza del mio amore incondizionato per il sound dei Four Seasons che hanno sfornato una canzone più bella dell'altra che canto ogni qual volta ne ho l'occasione (lontano da orecchi indiscreti, ovviamente). Speravo che qualche regista si interessasse alla loro storia e ne facesse un film, ma non avrei mai immaginato che l'inossidabile Clint facesse la trasposizione cinematografica dell'omonimo spettacolo teatrale di successo scritturando inoltre gli stessi attori teatrali, tranne Vincent Piazza (famoso per il ruolo di Lucky Luciano nella serie tv Boardwalk Empire), al loro debutto sul grande schermo chiamati a cantare rigorosamente dal vivo proprio come se fossero di fronte a un autentico pubblico in sala ottenendo così un risultato davvero notevole.



Il gruppo di amici del New Jersey composto da Frankie Valli (John Lloyd Young), Tommy DeVito (Vincent Piazza), Nick Massi (Michael Lomenda) a cui si aggiungerà in seguito Bob Gaudio (Erich Bergen), autore dei loro maggiori successi, crescono in un quartiere di italoamericani dove si hanno tre possibilità: arruolarsi nell'esercito, diventare un criminale oppure fare il cantante. L'esuberante Tommy DeVito è l'autista di Angelo De Carlo (interpretato da Christopher Walken), un bonario boss della mala che ha piena fiducia nel talento vocale del giovane Frankie, che incoraggia continuamente. Quando Nick o Tommy non finiscono in galera si preoccupano di dare lezioni di canto a Frankie che raramente canta in qualche locale assieme ai suoi amici. 



La voce di Frankie è unica, e le persone che la ascoltano per la prima volta rimangono di stucco. La svolta avviene con l'arrivo di Bob Gaudio fatto conoscere al gruppo da niente meno che Joe Pesci (c'è un secondo davvero bello in cui Bob dice a Joe "Che buffo" e lui gli risponde "Buffo come?" citazione di Quei bravi ragazzi). Il gruppo ha finalmente un bravo paroliere e pianista e in seguito sotto un'insegna luminosa a intermittenza chiamata "Four Seasons" il gruppo ha finalmente un nome ben preciso. Il successo ha inizio dopo un anno passato a far da coro a diversi cantanti della scuderia di Bob Crewe con la canzone Sherry. Da lì in poi l'ascesa è inevitabile; ma se da una parte si sale dall'altra si scende. Il matrimonio di Frankie naufraga irrimediabilmente. Tommy s'indebita con alcuni gangster e Nick abbandona il gruppo. Frankie e Bob si accollano il debito e proprio quando la voce del gruppo ormai frammezzatosi si riconcilia con la figlia dotata del suo stesso talento il destino crudele gliela porta via all'improvviso e il destino bizzarro fa sì che la sua carriera non s'arrugginisca e risplenda invece di una nuova luce con l'uscita di una delle canzoni più belle mai scritte/cantate che avrà un successo mondiale e inaspettato: Can't Take My Eyes Off You.



Gli attori di Jersey Boys sono eccezionali ed è incredibile come la voce di John Lloyd Young sia quasi del tutto identica a quella del vero Frankie Valli. Il regista Clint Eastwood si dimostra in piena forma sfoggiando il suo stile retrò dalle inquadrature efficaci e precise. Sembra quasi andare a tempo di musica. La scenografia e i costumi sono ben curati e la fotografia non troppo accesa di Tom Stern riesce nell'intento di immergere lo spettatore negli anni in cui il sound dei Four Seasons spopolò in tutto il mondo. 


Jersey Boys è un po' gangster movie e un po' musical. E' un film ottimamente costruito, con i personaggi che parlano dritti verso la telecamera rendendoci partecipi delle loro vicende, dei successi e dei fallimenti, perché il pregio della pellicola è proprio quello della sincerità: si è deciso di raccontare sia il lato negativo e il lato positivo della fama senza censure o divieti. Quello che non ho gradito molto è il modo macchiettistico e blandamente comico in cui viene gestito l'ambiente mafioso. Nonostante nella parte centrale si riscontri una certa lentezza il film si risolleva completamente nello splendido e commovente finale. E non perdetevi i simpaticissimi titoli di coda ballati e cantati dove dovrete buttare un occhio verso il ritmato Christopher Walken. 

Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: Jersey Boys
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 2014
Durata: 134 minuti
Generebiografico, drammatico, musical
Regia: Clint Eastwood
Sceneggiatura: Rick Elice, John Logan
Produttore: Tim Headington, Graham King, Robert Lorenz
Produttore esecutivo: Bob Gaudio, Tim Moore, Denis O'Sullivan, Frankie Valli
Casa di produzione: GK Film, Warner Bros., Malpaso Production
Distribuzione (Italia) : Warner Bros.
Fotografia: Tom Stern
Montaggio: Joel Cox, Gary D. Roach
Costumi: Tina Dowd, Suzanne Pakier

Interpreti e personaggi:
John Lloyd Young: Frankie Valli
Erich Bergen: Bob Gaudio
Vincent Piazza: Tommy DeVito
Michael Lomenda: Nick Massi
Christopher Walken: Angelo De Carlo
Freya Tingley: Francine Valli
Kathrine Narducci: Mary Rinaldi
Francesca Eastwood: Waitress
James Madio: Stosh
Mike Doyle: Bob Crewe
Joseph Russo: Joe Pesci
Steve Schirripa: Vito
Johnny Cannizzaro: Nick DeVito
Jeremy Luke: Donnie
Steve Monroe: Barry Belson
Michael Patrick McGill: ufficiale Mike
Barry Livingston: ragioniere
Ian Scott Rudolph: manager
Josh Hamilton: Robert Irwin
Zach Grenier: John Condon
Gary Werntz: avvocato generale
Josh Stamberg: agente Stokes
Renée Marino: Mary Delgado
Elizabeth Hunter: Francine a 7 anni
Donnie Kehr: Norm Waxman
Lou Volpe: padre di Frankie
Erica Piccininni: Lorraine
Ivan Broggar: giudice
Annie O'Donnell: suora
Jeremy Ratchford: poliziotto di Cleveland
Grant Roberts: Johnny
Dennis Delsing: Al Finney
Jon Paul Burkhart: giornalista
Billy Gardell: Georgie

Doppiatori italiani:
Alessio Puccio: Frankie Valli
Gianfranco Miranda: Bob Gaudio
Paolo Macedonio: Tommy DeVito
Andrea Lavagnino: Nick Massi
Andrea Tidona: Angelo De Carlo
Laura Romano: Mary Rinaldi
Franco Mannella: Bob Crewe
Nanni Baldini: Joe Pesci
Fabrizio Vidale: Donnie
Luigi Ferraro: Barry Belson
Emidio La Vella: ufficiale Mike
Alessia Amendola: Mary Delgado
Arianna Vignoli: Francine a 7 anni
Edoardo Siravo: Norm Waxman
Pino Ammendola: padre di Frankie
Ilaria Latini: Lorraine
Ambrogio Colombo: giudice
Graziella Polesinanti: suora
Bruno Conti: poliziotto di Cleveland
Mauro Magliozzi: Johnny
Antonio Palumbo: Al Finney
Marco Baroni: giornalista
Roberto Stocchi: Georgie

Denny B.




lunedì 22 settembre 2014

Maps to the Stars

Maps to the Stars


★★

La famiglia Weiss vive in California tra soldi, fama, successo e fantasmi che ritornano dal passato. Stafford Weiss (John Cusack) è un famoso terapista televisivo che cura moltissime star di hollywoood, sua moglie Christina (Olivia Williams) si occupa della carriera del figlio tredicenne Benjie (Evan Bird), un attore di successo appena disintossicatosi. Ma la coppia ha anche un'altra figlia che non vede da diversi anni, Agatha (Mia Wasikowska), sfregiata dalle ustioni, che stringe amicizia con un autista di limousine (Robert Pattinson) e diventa la nuova assistente di Havana Segrand (Julianne Moore), un'attrice in declino che desidera più di ogni altra cosa interpretare il ruolo che fu della madre nel remake di un celebre film del passato. Riuscirà Agatha a trovare redenzione in questo luogo artefatto dove vive gente intenta a mantenere intatta e candida la propria facciata agli occhi del pubblico?



David Cronenberg arriva da Cosmopolis, un flop da parte di critica e pubblico che ha diviso chiunque dotato di senso critico e propensione al ragionamento civile, e in Maps to the Stars torna a lavorare con Robert Pattinson che se in Cosmopolis interpretava un miliardario che passa il giorno all'interno di una limousine, qui invece interpreta un autista di limousine con aspirazioni cinematografiche che intrattiene un breve rapporto sessuale con una Julianne Moore mai stata così sfatta, ansiogena, e con le allucinazioni dovute all'ingerimento di quantità industriali di narcotici e psicofarmaci. 



Protagonista di Maps to the Stars è la famiglia Weiss. Nell'assolata California del sud loro sono riusciti ad avere successo, fama, soldi e hanno continuato a vivere la loro vita nonostante i fantasmi del passato poco chiari e addirittura incestuosi. Stafford è un terapista (i suoi clienti sono molto famosi) che vediamo occupato in una seduta con l'attrice Havana Segrand piuttosto insolita: sdraiata in bikini su un lettino ripete le parole di violenza di Stafford mentre le tiene le mani costrette dietro la schiena. A quanto dice lei nell'infanzia ha subito abusi sessuali da parte di sua madre, un'acclamata attrice che recitò in un grande film del passato di cui ora un regista sta lavorando a un remake ed è proprio l'ossessione di Havana di interpretare il ruolo che fu di sua madre che le sta causando crolli nervosi e allucinazioni che la colgono in qualsiasi momento (mentre sta facendo sesso con una donna, in bagno o nel bel mezzo di un massaggio rilassante). 



I personaggi al limite non si fermano di certo qui: abbiamo Agatha, che scopriremo essere molto imparentata con la famiglia Weiss, una ragazza con ustioni sul corpo che tiene coperte con guanti neri lunghi fino al gomito e abiti fasciati di pelle, e che finirà per lavorare come assistente personale (o schiavetta) di Havana. E infine Benjie, figlio tredicenne della famiglia Weiss attore divenuto celebre per essere stato il protagonista di un film intitolato "Cattive baby-sitter" che ha incassato in tutto il mondo più di settecento milioni di dollari e che vediamo intento ad andare a trovare una bambina malata all'ospedale e prometterle oltre a un ipad anche un film su di lei - il ruolo sarà interpretato da lui stesso e potrebbero vincere anche l'Oscar - e chiederle come ha contratto l'AIDS peccato che lei abbia tutt'altra malattia. Benjie per l'errore se la prenderà con il suo agente chiamandolo in tutti i modi volgari possibili. Questo breve episodio, assieme a quello in cui compaiono le amiche di Benjie che definiscono le ventitreenni già affette da menopausa, è l'unica buona dose d'inchiostro ben utilizzata dallo sceneggiatore Bruce Wagner la cui sceneggiatura è talmente debole che ricorre a un pretesto banale come una scopata (quella tra la Moore e Pattinson) per far scattare ad Agatha la molla sanguigna che collega il braccio alla mano che afferra un premio cinematografico e massacra con colpi ripetuti alla testa uno dei due (quanto sono bravo a non spoilerare?) prima di scappare dal mondo artefatto e nevrotico di Hollywoood e rifugiarsi tra le braccia di un ricordo felice d'infanzia. 



Maps to the Stars vuole essere l'ennesima critica allo star system hollywoodiano fallendo però miseramente a causa di una svogliatezza e sciatteria di fondo che caratterizza l'intera pellicola. Vuoi o non vuoi David Cronenberg riesce sempre a sorprendere, scioccare e far riflettere con la sua poetica, ma in questo caso c'è poco e nulla di suo. E' come se avesse lasciato il pilota automatico acceso senza prima aver deciso la rotta da seguire. Ciò che manca a Maps to the Stars è l'interesse: per il pubblico e prima di tutto per se stesso.

Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: Maps to the Stars
Lingua originale: inglese
Paese di produzione: Canada, Stati Uniti d'America
Anno: 2014
Durata: 111 min
Generedrammatico
Regia: David Cronenberg
Sceneggiatura: Bruce Wagner
Produttore: Saïd Ben Saïd, Martin Katz, Michel Merkt
Produttore esecutivo: Benedict Carver, Renee Tab, Patrice Theroux
Casa di produzione: Prospero Pictures, Sentient Entertainment, SBS Productions, Integral Film
Distribuzione (Italia) : Adler Entertainment
Fotografia: Peter Suschitzky
Montaggio: Ronald Sanders
Musiche: Howard Shore
Scenografia: Carol Spier
Trucco: Verity Fiction

Interpreti e personaggi:
Julianne Moore: Havana Segrand
Mia Wasikowska: Agatha Weiss
John Cusack: Dottor Stafford Weiss
Sarah Gadon: Clarice Taggart
Robert Pattinson: Jerome Fontana
Olivia Williams: Christina Weiss
Evan Bird: Benjie Weiss
Dawn Greenhalgh: Genie
Carrie Fisher: Sé stessa

Doppiatori italiani:
Franca D'Amato: Havana Segrand
Joy Saltarelli: Agatha Weiss
Oreste Baldini: Dottor Stafford Weiss
Valentina Favazza: Clarice Taggart
Stefano Crescentini: Jerome Fontana
Chiara Colizzi: Christina Weiss
Andrea Di Maggio: Benjie Weiss

Aurora Cancian: Genie

Denny B.

venerdì 19 settembre 2014

Si alza il vento

Great Movie

★★★★

Giappone. 1918. Jirō Horikoshi è un ragazzino di provincia che sogna di diventare un pilota d'aeroplani, ma la miopia glielo impedisce, e durante un sogno egli incontra il famoso progettista d'aerei italiano Giovanni Battista Caproni che gli dice con franchezza che lui gli aerei non li pilota bensì li crea e da quella notte Jiro capisce qual è la strada da seguire. Cinque anni dopo durante un viaggio in treno verso Tokyo per studiare ingegneria incontra a bordo una giovane ragazza di nome Nahoko in compagnia della sua domestica. Un violento terremoto mette a repentaglio il viaggio, la domestica di Nahoko si rompe una gamba e Jiro risolve l'emergenza e se ne va senza neanche aver detto il suo nome. Finiti gli studi inizia a lavorare allo stabilimento della Mitsubishi dove viene assegnato a un team di progettisti di aerei da caccia. Tra successi e insuccessi in un mondo che si prepara alla seconda guerra mondiale per Jiro ci sarà tempo anche per scoprire l'amore.



Si alza il vento è l'autentico e commovente testamento artistico del maestro dell'animazione mondiale Hayao Miyazaki che ha donato all'umanità opere indimenticabili quali Nausicaa della Valle del Vento, Principessa Mononoke, Porco Rosso, La città incantata e Il mio vicino Totoro che pongono un preciso e arduo limite per tutti coloro che si avvicinano al mondo che utilizza la fantasia come lente d'ingrandimento per osservare la realtà con l'intento di farne qualcosa di cinematografico. Considero il lavoro di Miyazaki una delle punte di diamante del cinema d'animazione perché le sue opere sono poemi animati dalla fiamma creativa di un genio che invece di esaurirsi in un decennio si rivela tutt'oggi solido e capace di esprimersi per altri dieci anni come minimo. Ed è davvero un peccato mortale che Miyazaki dia l'addio a tutti noi proprio adesso con un film così maturo e dolce in linea con la sua poetica e visionarietà, ma d'altronde gli incompetenti continuano a lavorare mentre chi non lo è si ritira.



Jirō Horikoshi sogna di diventare un pilota d'aeroplani. Lo vediamo sfrecciare nel cielo limpido, superare ponti, passare sopra le teste della gente intenta a lavorare. Nella sua fantasia vola con sicurezza fino a quando una bomba di un aereo nemico colpisce il suo facendolo precipitare. Durante la sera, seduto sul tetto della sua abitazione, in compagnia della sorellina loquace che lo chiama "secondo fratello", fissa il cielo stellato senza occhiali perché si dice che migliori la vista. Mentre la sorellina indica eccitata numerose stelle cadenti Jirō stringe gli occhi per tentare di vederle. Il suo sogno inciampa nell'ostacolo della miopia, ma nella notte ha un incontro onirico con il progettista italiano Giovanni Battista Caproni che lo incoraggia a seguire la strada della progettazione di aeroplani. Ed è quello che Jirō farà. Studierà ingegneria e verrà assunto alla Mitsubishi assieme al suo amico Honjo in un team di progettisti d'aerei da caccia. 



Sapete qual è la cosa bizzarra? E' che a me degli aerei non importa nulla, anzi le nozioni tecniche e i calcoli matematici fondamentali per la loro progettazione sono causa di sbadigli incontrollabili, ma nel film tutto questo peso tecnicistico viene alleggerito come vorrebbe fare Jirō con le mitragliatrici montate sugli aerei che progetta. Lui mangia sempre lo sgombro per poter osservarne la curvatura perfetta delle spine e studiarla per far sì che possa essere utilizzata nella progettazione d'aeroplani - in America l'hanno già fatto: "Che anche gli americani mangino lo sgombro?" - e mi ritrovo a partecipare al sogno di Jirō, questo ragazzo così bene educato che risponde sempre con "la ringrazio infinitamente" e si preoccupa del suo paese indietro di vent'anni nella tecnologia aeronautica e che lavora duramente per poter recuperare lo scarto con gli altri paesi che da lì a poco saranno impegnati nella seconda guerra mondiale anche se è avvilente dover progettare aerei da caccia e bombardieri quando nei suoi sogni cammina sull'ala dell'enorme aereo di Caproni progettato solo ed esclusivamente per turisti del cielo. "L'importante è avere buongusto, poi la tecnologia arriva dopo" gli ricorda Caproni e chi se non un italiano avrebbe potuto dire una frase del genere. Gli aerei, queste fantastiche invenzioni utilizzate per bombardare la terra invece che per osservarla e ammirarla da lontano in tutto il suo splendore. Il mondo non è sempre un bel posto in cui vivere, ed è governato da persone prive di buongusto i cui sogni e progetti di rivalsa e conquista territoriale e culturale non comprendono un'umanità che vive in pace immersa nella bellezza che la circonda.



Miyazaki oltre ad avere buon gusto è dotato di quell'umanità che riesce a cogliere e a ricreare la bellezza che c'è in un aeroplano di carta portato dal vento e nei sogni ad occhi aperti tipici di chi non s'arrende mai. E' di una tenerezza disarmante la sequenza del corteggiamento che vede Jirō e Nahoko (che si rincontrano dopo molti anni) far volare un aereo di carta l'uno verso l'altra ed è ancora più bello il momento in cui Jirō si reca da lei in tutta fretta dopo aver ricevuto la notizia della sua malattia e inciampando nei gradini che portano alla sua camera da letto di fronte al giardino cade tra le sue braccia senza timore del contagio. "Sei bellissima", le mormora e non mi è venuta l'orticaria. In generale le frasi sono sempre quelle, retoriche e tutte uguali, ma è il contesto a fare la differenza tra una scena tenera e veritiera e una scontata e artefatta. 



"Le vent se lève! Il faut tenter de vivre" è la frase di Paul Valéry che ricorre durante il film. Un monito, un insegnamento per il protagonista e per lo spettatore: quando si alza il vento portando via le cose a noi care nonostante il dolore bisogna tentare di vivere. Nei dieci minuti finali assistiamo a uno dei momenti di cinema più belli dell'anno: l'aereo progettato da Jirō si libra perfettamente nel cielo; il suo sogno si è realizzato, ma quando esso sta per toccare terra, una folata di vento soffia contro di lui e Jirō si volta lentamente verso un orizzonte non precisato. Si è alzato il vento. Il sogno atterra mentre il suo amore vola via per sempre. "Le vent se lève! Il faut tenter de vivre". Si alza il vento di Hayao Miyazaki è un film magnifico. Ha un solo difetto: è il suo ultimo film.



Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia): 

Titolo originale: 風立ちぬ Kaze tachinu
Paese di produzione: Giappone
Anno: 2013
Durata: 126 min
Genereanimazione, storico, drammatico, romantico, biografico
Regia: Hayao Miyazaki
Sceneggiatura: Hayao Miyazaki
Produttore: Toshio Suzuki
Produttore esecutivo: Koji Hoshino
Casa di produzione: Studio Ghibli, Toho
Distribuzione (Italia) : Lucky Red
Character design: Katsuya Kondo
Animatori: Kitarō Kosaka
Fotografia: Atsushi Okui
Montaggio: Takeshi Seyama
Musiche: Joe Hisaishi
Tema musicale: Hikōki Gumo (ひこうき雲?) di Yumi Matsutoya
Sfondi: Yōji Takeshige

Doppiatori originali:
Hideaki Anno: Jirō Horikoshi
Miori Takimoto: Nahoko Satomi
Hidetoshi Nishijima: Kirō Honjō
Masahiko Nishimura: Kurokawa
Steve Alpert: Castorp
Morio Kazama: Satomi
Keiko Takeshita: madre di Jirō
Mirai Shida: Kayo Horikoshi
Jun Kunimura: Hattori
Shinobu Otake: signora Kurokawa
Nomura Mansai: Giovanni Battista Caproni

Doppiatori italiani:
Emiliano Coltorti: Jirō Horikoshi
Riccardo Suarez: Jirō da bambino
Rossa Caputo: Nahoko Satomi
Agnese Marteddu: Nahoko da bambina
Massimo De Ambrosis: Kirō Honjō
Ambrogio Colombo: Kurokawa
Edwin Alexander Francis: Castorp
Luca Biagini: Satomi
Giulia Tarquini: Kayo Horikoshi
Chiara Fabiano: Kayo da bambina
Aurora Cancian: signora Horikoshi
Ugo Maria Morosi: Hattori
Barbara De Bortoli: Signora Kurokawa
Benedetta Degli Innocenti: Kinu
Angelo Maggi: Giovanni Battista Caproni

Denny B.












mercoledì 17 settembre 2014

Porco Rosso


★★★½

Marco Pagot è un abile aviatore della Regia Aeronautica che in seguito a un misterioso incidente in un combattimento durante la prima guerra mondiale è diventato un maiale antropomorfo. Abbandonata l'aeronautica si ritira sulla costa dalmata sbarcando il lunario con le taglie poste sui pirati del cielo che combatte con il suo idrovolante monoplano di colore rosso e da qui il soprannome con cui è conosciuto da tutti: Porco Rosso. Ma il suo talento lo rende ben presto un ostacolo per i traffici dei pirati dell'aria che riuniscono le forze ingaggiando un asso dell'aviazione quale l'americano Donald Curtis che in uno scontro con Porco Rosso riesce ad abbattere l'aereo ritrovando poi alcuni pezzi in mare e se ne va credendo di averlo ucciso. Marco sopravvive alla battaglia e si reca alla Piccolo S.p.A a Milano dove fa la conoscenza della giovane ed energica Fio che si occuperà della riparazione dell'idrovolante. 



Non ho mai sopportato i discorsi sugli aerei e sui suoi intricati componenti e diavolerie meccaniche prodigiose. Noia e noia e noia è tutto ciò che pensavo quando li ascoltavo ai tempi di una noia cosmica che mi attanagliava ogni dì a causa della mia buona educazione nel far parlare le persone. In questi due ultimi anni mi sono liberato di codeste scocciature, ma non avrei mai detto che un film d'animazione in cui gli aerei sono parte integrante dello stesso mi avrebbe affascinato e meravigliato e fatto provare rabbia durante il minuto finale tanto che se mi trovassi davanti Hayao Miyazaki gli domanderei con sbigottimento "Perché? Perché tanta fretta?". Capirete in seguito. 



Porco Rosso è un film d'animazione, e l'animazione è un arricchimento, quel qualcosa in più che rende una cosa già bella ancora più bella, protetta da una pellicola magica che la rende superiore a qualsiasi momento che altrimenti si passerebbe non guardandolo. I grandi registi sono anche dei maghi che gettano incantesimi sui nostri nervi sensibili che invano tentiamo a volte di coprire, non essendo totalmente coscienti, al fine di non lasciarci in balia dell'illusione realizzata che è il cinema. Hayao Miyazaki è sicuramente uno stregone o uno sciamano e noi ci mettiamo con lui attorno al fuoco per vederne uscire fuori storie epiche animate dalla sacra fiamma primordiale del genio creativo. 



Noi non sappiamo perché Marco Pagot è stato trasformato in un porco. Non ci viene svelato e per questo gli sono grato: ognuno di noi può esprimere la propria idea a riguardo. Il fantasticare non è fine a se stesso, ma è una prolunga che ci permette di fare elucubrazioni anche dopo la fine. Il bello dei grandi film, no?
Forse proprio un porco perché è la dimostrazione che persino un porco è meglio di un fascista. Una citazione a Orwell e al suo La fattoria degli animali? Sta di fatto che Porco Rosso si ritira su una piccola isola e mette da parte l'amore per la bella Gina che quando non gestisce un locale molto frequentato dai pirati del cielo attende l'arrivo di Marco nel suo giardino privato. Nuovamente il femminismo dello Studio Ghibli viene fuori dalle donne della famiglia Piccolo che cucinano e partecipano alla costruzione dell'aereo con perseveranza e forza d'animo. Indimenticabile però è Fio Piccolo, una ragazzina tutta pepe piena di idee che non si ferma mai, che mette a tacere una disputa coi pirati e si offrirà come premio della sfida tra Curtis e Porco Rosso, innamorata di quest'ultimo a cui darà, a un minuto dalla fine, un tenero bacio d'addio (con la convinzione che possa ritrasformarlo in un umano): uno dei personaggi femminili migliori del maestro giapponese. 



Porco Rosso è un film che vola leggero e fresco sul bordo della perfezione. Fino al minuto 87. E' come se avessi davvero volato assieme a Pagot nel cielo limpido; poi però dal nulla una pallottola ha colpito il motore ed è successo così rapidamente che mi sono ritrovato sfracellato in acqua, bagnato, offeso come un pulcino fino a lì coccolato e amato. Miyazaki ci ha voluto un bene immenso, ci ha meravigliato con la sua animazione eccellente, con i suoi personaggi audaci e profondamente umani e poi è come se si fosse stufato e abbia lasciato il compito di scrivere il finale a qualcun'altro di meno amorevole nei nostri riguardi. Ho sentito la necessità di parecchi minuti in più. Un finale frettoloso che è uno schiaffo sul viso che brillava di sogni. 

Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):


Titolo originale: 紅の豚 Kurenai no buta
Lingua originale: Giapponese
Paese di produzione: Giappone
Anno: 1992
Durata: 93 min
Genereanimazione, fantastico
Regia: Hayao Miyazaki
Soggetto: Hayao Miyazaki, Hikōtei Jidai (manga)
Sceneggiatura: Hayao Miyazaki
Produttore: Toshio Suzuki
Produttore esecutivo: Yoshio Sasaki, Sokai Tokuma, Yasuyoshi Tokuma, Matsuo Toshimitsu
Casa di produzione: Studio Ghibli
Distribuzione (Italia): Lucky Red
Art director: Yoshitsu Hisamura
Animatori: Megumi Kagawa, Toshio Kawaguchi
Fotografia: Atsushi Okui
Montaggio: Hayao Miyazaki
Effetti speciali: Kaoji Tanifuji, Setsuko Tamai, Tomoji Hashizume
Musiche: Joe Hisaishi, Tokiko Kato (compositore della canzone-tema "Toki ni wa Mukashi no Hanashi o")
Scenografia: Katsu Hisamura

Doppiatori originali:
Shuichiro Moriyama: Porco Rosso
Akio Otsuka: Donald Curtis
Tokiko Kato: Madame Gina
Akemi Okamura: Fio Piccolo
Tsunehiko Kamijo: Mamma Aiuto Boss
Sanshi Katsura: Mr. Piccolo

Doppiatori italiani:
Massimo Corvo: Porco Rosso
Fabrizio Pucci: Donald Curtis
Roberta Pellini: Madame Gina
Joy Saltarelli: Fio Piccolo
Paolo Buglioni: Boss Mamma Aiuto
Massimo De Ambrosis: Ferrarin
Armando Bandini: Mr. Piccolo
Roberto Draghetti: Boss Francese
Gerolamo Alchieri: Boss Siciliano
Carlo Reali: Boss Austroungarico
Paolo Marchese: Sgherro con maglia rossa di Boss M.A.
Luigi Ferraro: Sgherro fuciliere di Boss M.A.
Elena Magoia: Nonna
Franco Mannella: Giornalista
Bruno Conti: Barista

Denny B.