martedì 26 maggio 2015

Mad Max: Fury Road (2015)

Great Movie

★★★★

In un mondo post-apocalittico la civiltà umana si è sgretolata come ossa sotto il sole cocente sopra una landa infinita di deserti e canyon. Max (Tom Hardy), solitario ex poliziotto, viene catturato dai Figli della Guerra, un gruppo di guerrieri dalla pelle color bianco capeggiati dal tiranno Immortal Joe, e portato alla Cittadella dove la popolazione è tenuta sotto scacco tramite il possesso delle riserve d'acqua. L'imperatrice Furiosa (Charlize Theron), alla guida di una blindocisterna, ha il compito di recuperare del carburante da Gas Town, ma lungo la Fury Road esce di strada mettendo in atto il suo vero piano: portare le cinque mogli di Immortal Joe il più lontano possibile da lui ricominciando una nuova vita nella sua terra natia: le Terre Verdi. Ma presto il capo dei Figli della Guerra si accorge del furto e si mette all'inseguimento di Furiosa portando con sé i migliori guerrieri, incluso Max, impiegato come una sorta di sacca di sangue per un guerriero bisognoso di salassi continui. Sarà l'inizio di un inseguimento folle lungo l'impervia Fury Road. 

Noi recensori dovremmo avere un tot di bandiere da sventolare, magari tre, con su scritto a grandi lettere CAV ovvero Corri A Vederlo, quando sono disponibili al cinema film che all'uscita dalla sala avreste voglia di ricomprare il biglietto e vedervelo per la seconda volta di fila. Quest'anno ho già utilizzato una bandiera per Birdman (o Le imprevedibili virtù dell'ignoranza) e ora se ne va anche la mia seconda bandiera che sventolo come un forsennato, forse un po' in ritardo - come il folle Figlio della Guerra sventola un candido brandello della veste di una delle cinque mogli di Immortal Joe per farsi vedere dal convoglio di quest'ultimo - per Mad Max: Fury Road di George Miller. Se non lo vedrete al cinema ve ne pentirete per il resto della vostra vita, credetemi. 

La saga di Mad Max mi era sconosciuta fino all'arrivo nelle sale di questo quarto capitolo che altro non è che un reboot, una ripartenza in grande stile e ad alto budget, con il volto di Tom Hardy a sostituire quello di Mel Gibson, scelta per altro oculata visto il talento dell'attore in questione, e, nonostante ciò, il film non mette i bastoni fra le cornee a coloro che non hanno mai visto un solo capitolo della saga post-apocalittica venuta fuori dal folle utero mentale di George Miller, regista e co-sceneggiatore di quello che è l'action movie più straordinario degli ultimi quindici anni che alza l'asticella della qualità del genere in un punto quasi impossibile da scavalcare.  

Mad Max: Fury Road è folle come il suo creatore; esaltato, frenetico e frizzante come un Figlio della Guerra che desidera morire nel modo più spettacolare possibile così da raggiungere i cancelli aperti del Valhalla e banchettare con i più grandi eroi del tempo passato; spettacolare e mozzafiato come gli infiniti inseguimenti sulla Fury Road, nella pericolosa tempesta elettromagnetica, nei canyon in cui i cowboy hanno da tempo optato per le moto, il cui orizzonte trasloca in un luogo sempre più lontano mano a mano che si sembra raggiungerlo; risoluto come Max, tormentato dalle immagini delle persone a lui care che non è riuscito a salvare, che nonostante "sperare è sbagliato, e tentare di aggiustare i pezzi rende pazzi", trova dei compagni di Apocalisse con cui mettere in atto una rivoluzione, mordendo senza pietà gli impoveritori della terrastraziante come gli occhi di Furiosa (una Charlize Theron magistrale) da cui traspare tutta la sofferenza per la perdita della sua terra natia, ma anche la determinazione che la spinge a tradire Immortal Joe  e a ricercare un po' di redenzione; e infine speranzoso come la timida piantina che dal teschio di un animale del deserto cresce nella borsa di una delle poche molte madri ancora rimaste in vita. 

Insomma, Mad Max: Fury Road è il film d'intrattenimento che ho sempre desiderato vedere, dialogo scarno ed essenziale, giusta dose di esplosioni e inseguimenti da cardiopalma, personaggi coi controcazzi che sfidano la morte perché la percorrono già quotidianamente, e doveva arrivare un regista settantacinquenne a regalarmelo? Un George Miller che muove una cinepresa instancabile coadiuvato da un montaggio ruggente come i motori delle auto sfreccianti nel deserto di una Terra irriconoscibile. Un uomo di cui forse non mi capaciterò mai di come sia riuscito a realizzare questa bomba che esplode negli occhi, nelle orecchie e nel cuore. 

giovedì 14 maggio 2015

Supernova di Isabella Santacroce



supernova

Supernova, il nuovo libro di Isabella Santacroce (edito Mondadori, pp. 162, euro 18), è un romanzo struggente che affronta l'adolescenza e la conseguente innocenza strappata con una consapevolezza strabiliante. Un'opera necessaria, oserei dire. 

Dorothy è una sedicenne dall'aspetto androgino: vive con la madre, prostituta, e la zia. Da piccola s'innamora di Eva, una graziosa bambina, che non rivedrà mai più. 
Divna è una diciassettenne che fa lo stesso mestiere della madre di Dorothy e vive accanto al suo appartamento. E' una gothic girl e sogna di diventare una superstar e di parlare una lingua omonima. 
Thomas è un adolescente autolesionista con il complesso dell'abbandono che trova in Dorothy e Divna una nuova ragione per amare qualcuno. 
I tre protagonisti abitano alla Barona, quartiere popolare di Milano, e sperimentano ciò che li renderà vecchi a soli sedici anni: droghe, alcol, sesso selvaggio e mercenario; entreranno infatti nel giro della prostituzione minorile, si troveranno di fronte al Male che si nasconde nelle case delle persone dabbene, che dietro un sorriso ci celano le fauci del Mostro che inghiotte le identità, e Dorotyhy, Divna e Thomas, nonostante vivano sempre "tra cielo e baratro. Sempre tra cielo e baratro. Sempre in equilibrio su una fune tesa tra cielo e baratro, davanti a noi nessuno" riescono a mantenere una commovente "ingenuità di cristallo" in un mondo abitato da elefanti in una cristalleria, sempre più somigliante a "una spiaggia di ossa, di cuori scheletrici". Loro hanno "le ali nei muscoli", sognano di volare in cima alla Tour Eiffel, e poi ancora più su, fino a raggiungere la luna e abitarci come coloni portatori di una nuova umanità, ancora piena di speranza e voglia di stupirsi. 

Leggere Supernova è un'esperienza dolorosa. E' come ritrovarsi con ferite sulla carne vita e pulsante. E' avere le braccia tagliuzzate di Thomas. Schegge di stelle sulla fronte e sul cuore che anela alla vita come i protagonisti che la mordono come lupi affamati e ne hanno un incontro ravvicinato con la ferocia di questi essere invecchiati e paganti e sbavanti che puzzano di morte, che cibandosi della loro innocente gioventù sperano nella resurrezione della carne e dello spirito. La prosa di Isabella Santacroce opera chirurgicamente sul nostro cuore e sui nostri occhi come un'orafa del dolore. Siamo impreziositi eppure marchiati a vita dalle sue parole che non si cancellano né con l'acqua né con il fuoco. C'è un messaggio che tra milioni di frasi esplode come una supernova: abbiate il coraggio di vivere perché solo vivendolo potremo renderlo un luogo migliore in cui dimorare e continuare a leggere romanzi luminosi come questo. 

Denny B.

lunedì 4 maggio 2015

Venere in pelliccia (2013)


★★★½

Chi era quell'uomo di cinema che disse che per fare un film bastano due attori, una cinepresa, e una scenografia? Sidney Lumet in La parola ai giurati diresse dodici attori in un unico set, salvo alcune scene in differenti luoghi. All'età di 80 anni, quando si coltivano olive e pomodori, si fa qualche tiro a bocce, si parla con gli amici del tempo, degli acciacchi e o ci si ritrova tutti davanti a un cantiere per recensirne il lavoro in corso, Roman Polanski se ne esce con Venere in pelliccia, una commedia dalle sfumature erotiche e grottesche, dove in un unico set, un teatro parigino, dirige due soli attori, Mathieu Amalric (che avrete visto nei panni del "villain" nel mediocre Quantum of Solace) ed Emmanuelle Seigner (attuale moglie del regista polacco) che interpretano l'uno un regista della piece teatrale in cerca dell'attrice adatta per la parte da protagonista e l'altra una donna, che si presenta in ritardo all'audizione giornaliera ormai conclusa e che, con insistenza, affermando più volte di essere quella giusta, tenta di convincere il regista a provinarla. Per nostra fortuna Polanski non ha ancora intenzione di fissare i cantieri, e provinarne gli addetti ai lavori. 



Mathieu Amalric interpreta Thomas Novachek, un arrogante fintamente-impegnato-intellettualoide-cerebrale (forse un alter ego di Polanski?) che è il regista della piece teatrale nonché adattatore dell'omonimo romanzo dello scrittore austriaco Leopold Von Sacher-Masoch, un "porno sadomaso" lo bolla Wanda, interpretata da una Emmanuelle Seigner incredibilmente magnetica, che stuzzica Thomas, lo invoglia a recitare, lo blandisce con la sua lingua tagliente, lo affascina, in un caleidoscopio recitativo per nulla semplice se non si ha dietro la cinepresa un regista esperto in grado di indirizzare e di consigliare al meglio gli attori. E Amalric e Seigner sono assolutamente straordinari. Li si può osservare e ammirare come in un momento sono sul limite di prendersi con spirito di possessione e nell'altro pronti ad abbandonare tutto quando Wanda si dimostra per nulla d'accordo con Thomas che a questo punto sbotta lanciando improperi e solo in un frangente una domanda che roboante poteva venire fuori dalla bocca del critico letterario Harold Bloom: "Perché dobbiamo sempre ricondurre tutto a un problema sociale del ca**o?". 


In Venere in pelliccia di Roman Polanski s'innesca un brillante meccanismo di seduzione, malizioso quanto basta, a tratti perverso, e infine frizzante, grazie alle prove recitative dei due interpreti quali Mathieu Amalric e Emmenuelle Seigner dove in un palcoscenico povero di elementi di scena (solo un divano, una scrivania, i resti di un adattamento di Ombre rosse e una statua somigliante a un fallo) si scambiano i ruoli come abiti da scena, e l'effluvio di battute è interrotto da commenti pungenti, adulazioni e sguardi carichi di tensione erotica, fino ad arrivare a un finale dalle tinte grottesche. Polanski scava ancora una volta nell'anima umana tirandone fuori i desideri più perversi con un film seducente che ha un unico grande difetto: non è girato in piano sequenza. Se lo avesse fatto avrebbe guadagnato mezza stellina in più.


Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: La Vénus à la fourrure
Lingua originale: francese
Paese di produzione: Francia
Anno: 2013
Durata: 96 min
Generedrammatico, erotico
Regia: Roman Polanski
Soggetto: David Ives
Sceneggiatura: David Ives, Roman Polanski
Produttore: Robert Benmussa, Alain Sarde
Casa di produzione: R.P. Productions, A.S. Films
Distribuzione (Italia) : 01 Distribution
Fotografia: Pawel Edelman
Montaggio: Hervé de Luze, Margot Meynier
Musiche: Alexandre Desplat

Interpreti e personaggi:
Emmanuelle Seigner: Vanda
Mathieu Amalric: Thomas

Doppiatori italiani:
Emanuela Rossi: Vanda

Angelo Maggi: Thomas

Denny B.