★★★★
In un mondo post-apocalittico la civiltà umana si è sgretolata come ossa sotto il sole cocente sopra una landa infinita di deserti e canyon. Max (Tom Hardy), solitario ex poliziotto, viene catturato dai Figli della Guerra, un gruppo di guerrieri dalla pelle color bianco capeggiati dal tiranno Immortal Joe, e portato alla Cittadella dove la popolazione è tenuta sotto scacco tramite il possesso delle riserve d'acqua. L'imperatrice Furiosa (Charlize Theron), alla guida di una blindocisterna, ha il compito di recuperare del carburante da Gas Town, ma lungo la Fury Road esce di strada mettendo in atto il suo vero piano: portare le cinque mogli di Immortal Joe il più lontano possibile da lui ricominciando una nuova vita nella sua terra natia: le Terre Verdi. Ma presto il capo dei Figli della Guerra si accorge del furto e si mette all'inseguimento di Furiosa portando con sé i migliori guerrieri, incluso Max, impiegato come una sorta di sacca di sangue per un guerriero bisognoso di salassi continui. Sarà l'inizio di un inseguimento folle lungo l'impervia Fury Road.
Noi recensori dovremmo avere un tot di bandiere da sventolare, magari tre, con su scritto a grandi lettere CAV ovvero Corri A Vederlo, quando sono disponibili al cinema film che all'uscita dalla sala avreste voglia di ricomprare il biglietto e vedervelo per la seconda volta di fila. Quest'anno ho già utilizzato una bandiera per Birdman (o Le imprevedibili virtù dell'ignoranza) e ora se ne va anche la mia seconda bandiera che sventolo come un forsennato, forse un po' in ritardo - come il folle Figlio della Guerra sventola un candido brandello della veste di una delle cinque mogli di Immortal Joe per farsi vedere dal convoglio di quest'ultimo - per Mad Max: Fury Road di George Miller. Se non lo vedrete al cinema ve ne pentirete per il resto della vostra vita, credetemi.
La saga di Mad Max mi era sconosciuta fino all'arrivo nelle sale di questo quarto capitolo che altro non è che un reboot, una ripartenza in grande stile e ad alto budget, con il volto di Tom Hardy a sostituire quello di Mel Gibson, scelta per altro oculata visto il talento dell'attore in questione, e, nonostante ciò, il film non mette i bastoni fra le cornee a coloro che non hanno mai visto un solo capitolo della saga post-apocalittica venuta fuori dal folle utero mentale di George Miller, regista e co-sceneggiatore di quello che è l'action movie più straordinario degli ultimi quindici anni che alza l'asticella della qualità del genere in un punto quasi impossibile da scavalcare.
Mad Max: Fury Road è folle come il suo creatore; esaltato, frenetico e frizzante come un Figlio della Guerra che desidera morire nel modo più spettacolare possibile così da raggiungere i cancelli aperti del Valhalla e banchettare con i più grandi eroi del tempo passato; spettacolare e mozzafiato come gli infiniti inseguimenti sulla Fury Road, nella pericolosa tempesta elettromagnetica, nei canyon in cui i cowboy hanno da tempo optato per le moto, il cui orizzonte trasloca in un luogo sempre più lontano mano a mano che si sembra raggiungerlo; risoluto come Max, tormentato dalle immagini delle persone a lui care che non è riuscito a salvare, che nonostante "sperare è sbagliato, e tentare di aggiustare i pezzi rende pazzi", trova dei compagni di Apocalisse con cui mettere in atto una rivoluzione, mordendo senza pietà gli impoveritori della terra; straziante come gli occhi di Furiosa (una Charlize Theron magistrale) da cui traspare tutta la sofferenza per la perdita della sua terra natia, ma anche la determinazione che la spinge a tradire Immortal Joe e a ricercare un po' di redenzione; e infine speranzoso come la timida piantina che dal teschio di un animale del deserto cresce nella borsa di una delle poche molte madri ancora rimaste in vita.
Insomma, Mad Max: Fury Road è il film d'intrattenimento che ho sempre desiderato vedere, dialogo scarno ed essenziale, giusta dose di esplosioni e inseguimenti da cardiopalma, personaggi coi controcazzi che sfidano la morte perché la percorrono già quotidianamente, e doveva arrivare un regista settantacinquenne a regalarmelo? Un George Miller che muove una cinepresa instancabile coadiuvato da un montaggio ruggente come i motori delle auto sfreccianti nel deserto di una Terra irriconoscibile. Un uomo di cui forse non mi capaciterò mai di come sia riuscito a realizzare questa bomba che esplode negli occhi, nelle orecchie e nel cuore.