Presso quella finestra della sera, da cui
Il suo occhio accurato tiene Woburn SquareSotto un continuo giudizio…
Vedo quest’uomo gotico e cortese
Mentre ammansisce Apollo con la penna.Imputridiscono, sibilando.
(…) quel viso severo, imperiale,
Ha scandagliato la nostra vergogna,E senza tradire nemmeno
Una minima fitta di dolore
Ha visto il mostro malessere
Ricominciare da capo –
Uomo cortese, a lungo sofferente.
(…) come le immense negazioni scorrono
A depredare ogni cosa all’esternoDi quella sua finestra, egli leva la mano
Per scrivere con turbini di vento
Affermazioni che nel proprio nome
Possano sottomettere le grandi negazioni.
……
Questi sono frammenti della poesia Verses for the 60th Birthday of Thomas Stearns Eliot di George Barker.
Eliot è uno dei più grandi poeti della letteratura mondiale, che a differenza di Whitman, è presente nei libri di scuola, con qualche frammento della sua opera più importante che è La terra desolata, per due motivi: perché ha vinto il Premio Nobel per la letteratura nel 1948 e per la sua influenza poetica che ha regnato fino alla metà del ‘900. Tralasciamo il suo acceso antisemitismo, i suoi drammi in versi, poco leggibili e rappresentabili, e i suoi saggi di critica letteraria, e concentriamoci sul suo genio.
Eliot nei suoi momenti migliori raggiunge la statura di poeti come Hart Crane, Walt Whitman e Wallace Stevens. La sua forza sta nell’ironia e nell’autoironia, negli ultimi battiti del lirismo romantico, nelle sue intense allucinazioni, nel monologo drammatico – il cui inventore fu Robert Browning.
È risaputo che il suo maestro fu Ezra Pound, che rivide, aggiunse e tagliò molto del materiale poetico che sarebbe dovuto diventare La terra desolata; ma l’influenza che Whitman ha avuto su Eliot, pochi l’hanno riconosciuta e pochi stentono ancora a riconoscerla. Lo stesso Eliot fu evasivo a questo riguardo. Lui si definiva discendente di Baudelaire e Dante. Pose al di sopra di Whitman il poeta minore francese Jules Laforgue, affermazione che avrebbe stupito lui per primo, che aveva tradotto Whitman e ne aveva grande stima. Eliot (sostenette) che il proprio verso libero derivava da quello di Laforgue (ignorando il debito di questi verso Whitman). Eliot insistette: <<Non ho letto Whitman se non in una fase successiva della vita, e per farlo ho dovuto superare un’avversione alla sua forma oltre che a gran parte della sua materia>>.
Ciò è totalmente falso perché Whitman è il vero padre poetico della Terra desolata.
La terra desolata è il capolavoro di Eliot pubblicato nell’ottobre del 1922 su <<The Criterion>>, la rivista letteraria fondata dallo stesso Eliot e la prima edizione inglese in volume apparve per i tipi dell’artigianale Hogarth Press di Leonard e Virginia Woolf nel settembre del 1923. Riscosse un enorme successo di critica e di pubblico, soprattutto negli ambienti accademici, dove i suoi discepoli la lessero come un inno di salvezza.
La critica letteraria fu quasi del tutto unanime a considerarla un capolavoro, poiché era una vera e propria critica alla società e al mondo dell’epoca; e in questo caso la critica non ha capito un bel niente, come succede molte volte d’altronde. Lo stesso Eliot, durante una conferenza all’Università di Harvard, disse:
<<Vari critici mi hanno fatto l’onore di interpretare il poemetto nei termini di una critica al mondo contemporaneo, l’hanno considerato davvero come un importante pezzo di critica sociale. Per me fu solo il sollievo da una personale e del tutto insignificante lagnanza contro la vita; è proprio un pezzo di lamentela ritmica>>.
Ritmo è la parola giusta poichéLa terra desolata ha una musicalità che ha affascinato molti poeti tra cui Hart Crane e continua ad affascinare lettori e scrittori. È un’opera che a prima vista pare un guazzabuglio di versi inediti dell’autore e altri editi da altri così messi a caso, ma a una più attenta lettura si coglie un filo labile che lega tutta l’opera dalla parola iniziale “Aprile” a “Shantih” , la parola che chiude il poemetto.
L’incipit è famoso:
Aprile è il mese più crudele, generando
Lillà dalla terra morta, mischiandoMemoria e desiderio, eccitando
Spente radici con pioggia di primavera.
L’inverno ci tenne caldi, coprendo
La terra di neve smemorata, nutrendo
Una piccola vita con tuberi secchi.
I lillà sono un riferimento a Whitman e alla sua elegia Quando i lillà, può essere poca cosa, ma andando avanti nella lettura i riferimenti aumentano.
Città irreale ,
Sotto la nebbia bruna di un’alba invernale (…)Lì vidi uno che conoscevo e lo fermai gridando: <<Stetson!
Tu che eri con me sulle navi a Milazzo!
Quel cadavere che piantasti l’anno scorso nel tuo giardino
Ha cominciato a germogliare? Fiorirà quest’anno?
O l’improvviso gelo ha turbato il suo letto? (…)
Quel cadavere è Whitman. Eliot lo considerava come poeta non proprio alla stregua di un cadavere, ma non gli piaceva per niente, e non lo avrebbe mai inserito nella lista dei più grandi poeti mai esistiti, preferiva invece Laforgue o Pound – “il miglior fabbro”.
Whitman ossessionava Eliot, ma riuscì con i suo genio a costruirsi una poetica che definirei “musicale”; i versi di Eliot sono delle note su uno spartito imprevedibile, perché le sue poesie gettano addosso al lettore la notte con tutto il buio che rende poco visibile quello che però continua ad esistere. Ti offre un nuovo modo di pensare gli oggetti, con la tecnica del correlativo oggettivo – tecnica su cui Montale fonderà le poesie di Ossi di seppia. Ruba gli oggetti del mondo e li dà una nuova collocazione nelle sue poesie.
La tenda del fiume è rotta: le ultime dita delle foglie
S'avvinghiano e affondano dentro l’umida sponda. Il vento
Attraversa la terra bruna, inudito. Le ninfe sono partite.
Dolce Tamigi, scorri lieve, finché non finisca il mio canto.
Il fiume non porta bottiglie vuote, carte da sandwich,
Fazzoletti di seta, scatole di cartone, cicche di sigarette
O altre testimonianze di notti estive. Le ninfe sono partite.
E i loro amici, gli sfaccendati eredi di direttori di banca della City,
Partiti, non hanno lasciato indirizzo.
Presso le acque del Lemano mi sedetti e piansi...
Dolce Tamigi, scorri lieve, finché non finisca il mio canto.
Dolce Tamigi, scorri lieve, perché non parlo né forte né a lungo.
S'avvinghiano e affondano dentro l’umida sponda. Il vento
Attraversa la terra bruna, inudito. Le ninfe sono partite.
Dolce Tamigi, scorri lieve, finché non finisca il mio canto.
Il fiume non porta bottiglie vuote, carte da sandwich,
Fazzoletti di seta, scatole di cartone, cicche di sigarette
O altre testimonianze di notti estive. Le ninfe sono partite.
E i loro amici, gli sfaccendati eredi di direttori di banca della City,
Partiti, non hanno lasciato indirizzo.
Presso le acque del Lemano mi sedetti e piansi...
Dolce Tamigi, scorri lieve, finché non finisca il mio canto.
Dolce Tamigi, scorri lieve, perché non parlo né forte né a lungo.
Semplici oggetti diventano testimonianze, in questo caso, delle notti estive. Le ninfe si riferiscono sia alle figure del mito che alle prostitute moderne che sono sparite col finire dell’estate.
Qui l’io c’è, ma è un io che assume molte maschere, che non si rivela nemmeno alla fine, contrariamente a quanto dicono alcuni critici.
In questi versi la presenza di Whitman si fa più tangibile:
Dolce Tamigi, scorri lieve, finché non finisca il mio canto. (…)
Presso le acque del Lemano mi sedetti e piansi...
Dolce Tamigi, scorri lieve, finché non finisca il mio canto.
Dolce Tamigi, scorri lieve, perché non parlo né forte né a lungo. (…)
Dolce Tamigi, scorri lieve, finché non finisca il mio canto.
Dolce Tamigi, scorri lieve, perché non parlo né forte né a lungo. (…)
Questi versi potrebbe benissimo averli scritti il bardo americano, guardando da una terrazza il Tamigi sotto di lui, e mi ritornano in mente alcuni versi della poesia Sul ferry di Brooklyn:
Marea montante sotto di me! ti guardo faccia a faccia!
Nuvole a occidente — sole lassù ancora alto per mezz’ora — anche voi guardo faccia
a faccia.Nuvole a occidente — sole lassù ancora alto per mezz’ora — anche voi guardo faccia
Folle di uomini e di donne vestite dei soliti abiti, come strane mi sembrate!
E le migliaia che attraversano il fiume sui traghetti, tornando a casa, mi sembrano
E le migliaia che attraversano il fiume sui traghetti, tornando a casa, mi sembrano
più strane di quanto immaginiate.
E voi che passerete, di qui a molti anni, da riva a riva, siete per me e per le mie
meditazioni, ben più importanti di quanto possiate immaginare. (…)E voi che passerete, di qui a molti anni, da riva a riva, siete per me e per le mie
Continua a scorrere, fiume! alzati e abbassati con le maree!
E vorrei precisare che sottolineando l’influenza di Whitman su Eliot non voglio assolutamente affermare implicitamente che Eliot abbia rubato qualcosa al poeta americano o che abbia copiato e basta, ma l’influenza poetica che un poeta ha su un altro non è negativa, anzi, se non ci fosse stato Whitman, poeti quali Wallace Stevens o John Ashbery non avrebbero scritto i capolavori che li rendono dei geni. In fondo l’influenza è poetica è una specie di competizione: si compete con i poeti precedenti.
Ignorare l’influenza di Whitman su Eliot è un errore che dovrebbe essere corretto.
Nell’ultima parte della La terra desolata - Ciò che disse il tuono – l’individuo avvia una ricerca di purificazione attraverso una terra desolata, dove si può intuire la presenza di “molti” che stanno morendo:
Dopo la luce delle torce rossa su facce sudate
Dopo il gelido silenzio nei giardini
Dopo l'agonia in luoghi pietrosi
Le grida e i pianti
Prigione e palazzo ed eco
Di tuono di primavera su montagne lontane
Dopo il gelido silenzio nei giardini
Dopo l'agonia in luoghi pietrosi
Le grida e i pianti
Prigione e palazzo ed eco
Di tuono di primavera su montagne lontane
Colui che era vivo è ora morto
Noi che eravamo vivi stiamo ora morendoCon un po’ di pazienza
Proviamo ora a leggere la sezione 15 di Quando i lillà fiorivano l’ultima volta nel prato davanti alla casa di Walt Whitman:
E vidi obliqui schierarsi gli eserciti,
Vidi come in sogni silenti selve di guerrieri vessilli,Volare nel fumo delle battaglie, da proiettili forati li vidi,
Sventolati qua e là per il fumo, laceri e insanguinati,
Ridotti a pochi brandelli penzolanti dall’asta (e sempre in
silenzio,)
E l’asta tutta scheggiata e infranta.
Vidi i cadaveri dopo la battaglia, a miriadi,
E gli scheletri bianchi dei giovani, li vidi,E le reliquie di tutti i soldati uccisi in battaglia,
Ma vidi che non erano come pensavo,
Erano in pace perfetta, non soffrivano più,
I vivi ch’eran rimasti soffrivano, le madri soffrivano,
La moglie, il bimbo, il camerata cogitabondo soffriva,
E gli eserciti ch’eran rimasti soffrivano.
Tutti e due i brani sembrano il resoconto della stessa battaglia però visti da due sguardi differenti
E andando avanti nella lettura del poemetto di Eliot, quest’ultimo pare fondersi con l’elegia di Whitman.
Se ci fosse acqua
E non roccia
Se vi fosse roccia
E anche acqua
E acqua
Una fonte
Una pozza tra la roccia
Se ci fosse il suono dell’acqua soltanto
Non la cicala
Ed erba secca che canta
Ma suono d'acqua su una roccia
Dove il tordo eremita canta nei pini
Drip drop drip drop drop drop drop
Ma non c'è acqua
E non roccia
Se vi fosse roccia
E anche acqua
E acqua
Una fonte
Una pozza tra la roccia
Se ci fosse il suono dell’acqua soltanto
Non la cicala
Ed erba secca che canta
Ma suono d'acqua su una roccia
Dove il tordo eremita canta nei pini
Drip drop drip drop drop drop drop
Ma non c'è acqua
Chi legge per la prima volta questi versi si chiederà che cosa sia il tordo eremita e prontamente leggerà la nota dello stesso Eliot: <<Questo è il Turdus aonalaschkae pallasii, il tordo eremita che ho udito nella provincia del Quebec. Chapman dice (Handbook of Birds of Eastern North America) che “si trova in prevalenza in folte foreste e in macchie appartate […]. Le sue note non sono rimarchevoli per varietà o volume, ma per la purezza e la dolcezza del tono e per la squisita modulazione che non ha l’uguale”. Il suo “canto d’acqua stillante” è giustamente rinomato>>.
Una nota che non può far altro che far sorridere, perché Eliot ha un grande senso dell’ironia e con tale nota riesce a mascherare la vera provenienza della figura del tordo eremita ovvero l’elegia sopra citata:
Un timido uccello gorgheggia il suo canto.
Solitario il tordo,
L’eremita che vive in disparte, e che fugge le case,
Canta a se stesso un canto.
Canto di vita che sgorga dalla morte (perché ben so, caro
fratello,
Che se tu non potessi cantare certamente morresti.)
Ma continuando la lettura del poemetto vi sono sette versi di un’allusività a Whitman così intensa che lascerà confuso il lettore più esperto:
Chi è il terzo che ti cammina sempre accanto?
Quando conto, ci siamo soltanto tu e io insieme,
Ma quando guardo avanti alla strada bianca
C'è sempre un altro che ti cammina accanto
Scivolando ravvolto in un mantello bruno, incappucciato
Non so se uomo o donna
−Ma chi è che ti sta all'altro fianco?
Quando conto, ci siamo soltanto tu e io insieme,
Ma quando guardo avanti alla strada bianca
C'è sempre un altro che ti cammina accanto
Scivolando ravvolto in un mantello bruno, incappucciato
Non so se uomo o donna
−Ma chi è che ti sta all'altro fianco?
Evitiamo di leggere la nota di Eliot. Questa figura misteriosa può essere il Cristo risorto, ma anche il <<pensiero di morte>> o la <<conoscenza di morte>> di Whitman, o le due nozioni fuse insieme.
La terra desolata assomiglia sempre di più ad un’elegia al genio del poeta. Un genio che è capace di fondere assieme immagini tratte dal Dracula di Bram Stoker e dal Marianna o Maud di Tennyson e darci questa meraviglia:
Una donna tirò tesi i suoi lunghi capelli neri
E arpeggiò musica di bisbigli su quelle corde
E pipistrelli con facce di bambini nella luce viola
Fischiarono e batterono le ali
E strisciarono a testa in giù lungo un muro annerito
E rovesciate nell'aria c'erano torri
E arpeggiò musica di bisbigli su quelle corde
E pipistrelli con facce di bambini nella luce viola
Fischiarono e batterono le ali
E strisciarono a testa in giù lungo un muro annerito
E rovesciate nell'aria c'erano torri
Risuonanti campane rievocatrici, che segnavano le ore
E voci cantanti dal fondo di vuote cisterne e di pozzi esauriti.
E voci cantanti dal fondo di vuote cisterne e di pozzi esauriti.
L’opera di Eliot si conclude con un ritorno all’io mascherato da Re Pescatore:
Io sedetti sulla riva
A pescare, con l’arida pianura dietro di me
Riuscirò almeno a mettere ordine nelle mie terre?
Il London Bridge cade giù cade giù cade giù
Poi s'ascose nel foco che gli affina
Quando fiam uti chelidon
Riuscirò almeno a mettere ordine nelle mie terre?
Il London Bridge cade giù cade giù cade giù
Poi s'ascose nel foco che gli affina
Quando fiam uti chelidon
−O rondine rondine
Le Prince d'Aquitaine à la tour abolie
Con questi frammenti ho puntellato le mie rovine
Be’ allora vi sistemo io. Hieronymo è pazzo di nuovo.
Datta. Dayadhvam. Damyata.
Shantih shantih shantih
Con questi frammenti ho puntellato le mie rovine
Be’ allora vi sistemo io. Hieronymo è pazzo di nuovo.
Datta. Dayadhvam. Damyata.
Shantih shantih shantih
Mi piace poter credere che il terzo verso possa essere una metafora per “riuscirò a mettere a posto nelle mie poesie?” perché Eliot solo verso la fine della sua vita ammetterà il suo debito nei confronti di Whitman, e solo dopo la sua morte si è potuto leggere la sua produzione con un occhio differente, non più diluito dall’influenza “minore” di Pound, ma letta con una lente d’ingrandimento diversa, come un cammino verso il suo vero padre poetico che è Walt Whitman.
La lettura di Eliot mi è stata consigliata dal mio professore di scienze sociali in seconda superiore. Comprai al Salone del libro di Torino di quell’anno La terra desolata di Eliot. Arrivato a casa, misi il libro sullo scaffale e mi dedicai alla lettura di altro. Alcuni giorni dopo aprii il libro e cominciai a leggere: non ci capii niente; eppure quest’opera la consideravano una pietra miliare della poesia moderna. Arrivato in quinta superiore riaprii il libro, mi misi d’impegno, e rimasi impegnato per un paio d’ore nella lettura di questo poemetto meraviglioso. Lo tenni mesi sul mio comodino credendo che potesse in qualche modo ispirarmi e così fece, ma più che ispirarmi, mi ossessionò; ripetevo in continuazione l’incipit: oscuro, triste, terribilmente vero, vicino a me; descriveva perfettamente una mia situazione. Così continuai a leggere Eliot e non smetto ancora adesso di farlo seppur il tempo a disposizione è quello che è: poco.
Denny B.
Denny B.