★★★★
La potente triade di Hong Kong, come ogni due anni, deve eleggere il suo nuovo presidente tra due candidati: Lam Lok (Simon Yam) - pacato, riflessivo e molto apprezzato dai membri anziani - e Big D (Tony Leung Ka-Fai) - l'esatto opposto. Dopo discussioni polemiche da parte dei sostenitori dei due candidati viene eletto nuovo presidente Lam Lok. Ma Big D non prende affatto bene la notizia dimostrando il suo scontento con una serie di azioni, come impedire a Lok che gli venga dato il bastone simbolo della supremazia del leader, che porteranno la triade verso il suo primo delicato punto di rottura. Con Election il regista Johnnie To mette in scena una storia di potere centenario e di supremazia data dallo stringere tra le mani un semplice bastone di legno intagliato. Lok è il capo, ma fino a quando non avrà tra le mani questo sacro oggetto non lo sarà mai a tutti gli effetti. Può sembrare quantomai strano per uno spettatore occidentale assistere a questa guerra per il possesso dell'oggetto quando si è abituati ai gangster movie dove un battesimo di sangue chiude ogni tipo di contrattazione. Ma qui sta la bravura del regista: nel dipingere un mondo reale e crudo, fatto di uomini fedeli alla triade che entrano ed escono dalle proprie celle per parlare con capi della polizia e avvocati, un mondo con le sue regole, con il rispetto per gli antenati e con i suoi riti (bellissima la sequenza del giuramento), il tutto senza l'utilizzo di musiche che enfatizzino i momenti importanti. Il finale pazzesco mostra senza giri di parole inutili che chiunque ottenga il potere, l'idea di condividerlo è completamente inaccettabile.
★★★★
Siamo nei bassifondi di Giacarta. Una squadra operativa di 20 uomini guidata dall'ufficiale Rama (Iko Uwais), il sergente Jaka (Joe Taslim) e il tenente (Pierre Gruno) è incaricata di stanare il pericoloso boss del crimine Tama Riyadi (Ray Sahetapy) che possiede un intero palazzo presieduto dai suoi sottoposti. Sarà una carneficina senza precedenti. The Raid - Redemption non è solo una carrellata di violenza gratuita: perché Gareth Evans confeziona e struttura un film vero e proprio, con una trama semplice ed efficace, farcendolo di combattimenti perfettamente coreografati e di un realismo soprannaturale. La fotografia anch'essa dura come i pugni del protagonista. Regia e montaggio di una qualità tecnica indiscutibile. E' impossibile che durante le riprese di The Raid nessuno si sia fatto male seriamente. Ci sono certe scene che sono in grado di procurare del dolore fisico. Gente che viene lanciata dal parapetto e atterra di schiena su quello sottostante rompendosela di netto (con tanto di crack), facce tagliate da macheti, teste che sbattono violentemente contro muri e stipiti delle porte. Nel finale (ottimo) avrei preso tutti quei registi che inseriscono scene al rallenty ad minchiam e li avrei sottoposti a una bella cura Ludovico.
Ichi The Killer è follia violenta elevata all'ennesimo splatter. In ogni scena è come se il film volesse farti a pezzi. Non mi sono mai sentito così martoriato ed esausto se non dopo la visione di questa pellicola diretta da quel genio criminale di Takashi Miike. Ha degli amici che vogliono passare del tempo con lui? mi domando. Penso di no. Almeno io non lo vorrei neanche morto dopo essere stato torturato. Il prolifico regista nipponico ha esplorato qualsiasi genere armato del suo stile e di un bisogno fisico impellente di masticare e defecare cinema (l'immagine non è delle più poetiche, lo so). Forse non si arriverà mai ad annunciare "L'ultimo film di Takashi Miike!" perché troverà il modo di fare film anche dall'oltretomba. Tratto dall'omonimo manga di Hideo Yamamoto, la pellicola narra principalmente di un incontro: l'incontro tra il (molto sado)masochista Kakihara (Tadanobu Asano) e il sadico Ichi (Nao Omori), manovrato tramite ipnosi dal subdolo Jiji (interpretato dal regista "figlio di Cronenberg" Shinya Tsukamoto), prende quasi la piega di un patologico melò. Kakihara lo attendeva da tutta una vita uno come Ichi. Quando il sadico arriva nella sua tana e stempia i suoi sottoposti invece di correre ai ripari Kakihara gli va incontro come un amante impaziente. E' talmente invaso dalla delusione quando Ichi si avviluppa in se stesso come un bambino qual è facendosi picchiare da Takeshi (il bambino a cui Ichi ha appena ucciso il padre) che Kakihara, nel finale, pur di non sentirne i pianti si buca i timpani con degli spilli. Ed è inutile, per noi, pensare anche solo lontanamente di trovare il modo di eliminare dalla mente le torture che il film ci ha inflitto. Per Ichi The Killer non ci sono spilli che tengano.
★★★★
Tre filmoni, diversi tra loro ma ugualmente potenti.
RispondiEliminaMi piace questa tua svolta orientale! ;)